Non-dualism (in Sanskrit: Advaita) is the most subtle and “scientific” expression of human spiritual thought. For practical purposes it can not be defined as a philosophy, as it poses “before” and “beyond” thought, so it can never become a topic of study or debate. Non-dualism was aptly represented by one of its most recent proponents, Sri Poonja of Lucknow (Papaji), with these words: “Imagine the One not followed by the two and then abandon the very concept of One”.
No mental speculation is possible on what is meant with this clear and absolute indication of reality.
The Non-dual concept faces the scene of human thought five thousand years ago, in the last portions of the Vedas (Vedanta) called Upanishad, which states: “From the One rises the One, if from the One remove the One only the One remains “. In the VIth century BC the Indian civilization is prey to empirical and mathematical depressions, at that time the Vedantic subtleties were shelved and replaced by ritual formalisms, theisms and sophisms of various kinds, for this reason the Buddha’s coming marked a revival of the authentic spirit in the attempt to overcome spiritual materialism.Thus it happened that the Buddhist doctrine of the “sunyata” (emptiness or void), in which the substance and value is denied to the forms and manifestations of the world, brought attention to the percipient.
The description of the empirical existence as origin and source of suffering restored stamina and impetus to the realization of pure spirit, but already in the 5th century AD. the internal diatribes of the various Buddhist systems were deteriorating the cleansing of the original teaching of the Buddha.And it is precisely in that historical context that the great sage Adi Shankaracharya appeared on the scene, who from an early age began to bring Hindu society back to understanding the One without a Two. He did this by indicating the daily spiritual practice of renunciation of dualistic thought forms: “Neti … Neti” (not this … not this).
The great movement that emerged is still alive and well and has therefore produced countless essays referring to this line.It can not be said that Non-dualism can be perfected, but as regards the descriptive way we can say that this statement is appropriate in the case of Ramana Maharshi, the sage of Arunachala, the solitary sacred mountain in Tamil Nadu, where he lived in permanent retreat in the first half of the last century. Ramana is universally recognized as the popularizer of the Non-dualist Advaita beyond the borders of India. He, in the verse X of his ‘Forty Verses on Existence’ thus states: “There is no separate knowledge from ignorance, there is no ignorance separate from knowledge. Whose knowledge and ignorance are these? True Knowledge is that which knows the Awareness that it knows, which is the basic principle “.
According to the experience of Ramana, there is no separation, and everything is therefore brought back to the Self. This sublime expression of the Consciousness that knows itself has been subsequently explained, in a refined and culturally acceptable way for our speculative mind, by the Indian sage Nisargadatta Maharaj, who in his extreme descriptive simplicity simply stated: “I am That”. In the direct realization of the Self there are no descriptions that can adequately convey this ineffable experience, and this is why the denial or refusal of any spiritual assumption and proposition was the characteristic of a last sample of the line, namely U.G. Krishnamurti – the saint who denied every sanctity that was other than the pure state of awareness – exclaiming: “my words are like the braying of an ass … there is only life that marvelously accomplishes the work”. With this signaling the final point of “no return” to empirical dualism.
Paolo D’Arpini
Fonte: https://bioregionalismo.blogspot.com/2018/10/non-dualism-from-shankaracharya-to.html
Testo italiano:
Il Non-dualismo (in Sanscrito: Advaita) è l’espressione più sottile e “scientifica” del pensiero spirituale umano. Agli effetti pratici non può essere definita una filosofia, in quanto si pone “prima” ed “aldilà” del pensiero, quindi non potrà mai divenire un argomento di studio o di dibattito. Il Non-dualismo è stato intelligentemente rappresentato da uno dei suoi più recenti fautori, Sri Poonja di Lucknow (dettoPapaji), con queste parole: “Immagina l’Uno non seguito dal due e poi abbandona il concetto stesso di Uno”. Non è possibile alcuna speculazione mentale su quanto viene significato con questa netta e assoluta indicazione della realtà.
La concezione Non-duale si affaccia sulla scena del pensiero umano già cinquemila anni fa, nelle ultime porzioni dei Veda (Vedanta) dette Upanishad, in cui si afferma: “Dall’Uno sorge l’Uno, se dall’Uno togli l’Uno solo l’Uno rimane”. Nel VI° secolo a.C. la civilizzazione Indiana è preda di depressioni empiriche e matematiche, in quel periodo vennero accantonate le sottigliezze vedantiche e sostituite da formalismi rituali, teismi e sofismi di vario genere, per questo motivo la venuta del Buddha segnò un rifiorire dell’autentico spirito nel tentativo di superare il materialismo spirituale.
Avvenne così che la dottrina Buddista della “sunyata” (vacuità o vuoto), in cui si nega la sostanza ed il valore alle forme e alle manifestazioni del mondo, riportasse l’attenzione al percipiente. La descrizione dell’esistenza empirica come origine e fonte della sofferenza restituì stamina ed impeto alla realizzazione del puro spirito, ma già nel V° secolo d.C. le diatribe interne ai vari sistemi Buddisti andavano deteriorando la pulizia dell’insegnamento originario del Buddha.
Ed è proprio in quel contesto storico che apparve sulla scena il grande saggio Adi Shankaracharya, che fin da giovanissimo iniziò a riportare la società induista verso la comprensione dell’Uno senza un Due. Lo fece indicando la pratica spirituale quotidiana della rinunzia alle forme pensiero dualistiche: “Neti…Neti” (non questo… non questo). Il grande movimento che ne nacque è ancora vivo e vegeto ed ha quindi prodotto innumerevoli saggi che si riferiscono a questa linea.
Non si può affermare che il Non-dualismo possa venir perfezionato, ma per quanto concerne il modo descrittivo possiamo dire che questa affermazione è appropriata nel caso di Ramana Maharshi, il saggio di Arunachala, la solitaria montagna sacra del Tamil Nadu, ove egli visse in ritiro permanente nella prima metà del secolo scorso. Ramana è universalmente riconosciuto come il divulgatore dell’Advaita Non-dualista oltre i confini dell’India. Egli, nella strofa X del suo ‘Quaranta Versi sull’Esistenza’ così afferma: “Non vi è conoscenza separata dall’ignoranza, non vi è ignoranza separata dalla conoscenza. Di chi sono questa conoscenza e quest’ignoranza? Vera Conoscenza è quella che conosce la coscienza che conosce, che è il principio base”.
Secondo l’esperienza di Ramana, non vi è alcuna separazione, e tutto perciò viene ricondotto al Sé. Questa sublime espressione della Coscienza che conosce se stessa è stata susseguentemente spiegata, in modo raffinato e culturalmente accettabile per la nostra mente speculativa, dal saggio Indiano Nisargadatta Maharaj, il quale nella sua estrema semplicità descrittiva si limitò ad affermare: “Io sono Quello”. Nella diretta realizzazione del Sé non esistono descrizioni che possano adeguatamente trasmettere questa ineffabile esperienza, ed è per questo che il diniego o rifiuto di ogni assunzione e proposizione spirituale fu la caratteristica di un ultimo campione della linea, e cioè U.G. Krishnamurti – il santo che negava ogni santità che fosse altra dallo stato puro della consapevolezza – esclamando: “le mie parole sono come il raglio di un asino… esiste solo la vita che meravigliosamente compie il lavoro”. Con ciò segnalando il punto finale di “non ritorno” al dualismo empirico.
Paolo D’Arpini