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Il nome di Partito Popolare Italiano è intimamente legato alla persona di don Luigi Sturzo, sacerdote di Caltagirone molto attivo, colto, attento al sociale che aveva fatto dell’impegno pubblico la sua missione, considerando la politica al servizio del prossimo.

Sturzo, legato all’obbedienza e alle regole della Chiesa cattolica romana mai pensò di ritenere il Ppi il suo braccio operativo, perché la Chiesa è universale e il partito di parte.

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Il Ppi per il sacerdote di Caltagirone doveva essere laico, aconfessionale, nazionale, popolare, di ispirazione cristiana in grado di accogliere anche chi non l’avesse.

“Non si corregge l’immoralità solo con le prediche e gli articoli dei giornali. Bisogna che la prima a essere corretta sai la vita pubblica: ministri, deputati, sindaci, consiglieri comunali, cooperatori, sindacalisti diano l’esempio di amministrazione rigida e di osservanza fedele ai principi della moralità. Mi rideranno dietro gli scettici di professione, coloro che non credono che l’uomo sappia e possa resistere alle tentazioni. Il mio articolo non è diretto a loro. È principalmente diretto ai democratici cristiani”. (Luigi Sturzo, Moralizziamo la vita pubblica, 3 novembre 1946

Luigi Sturzo è stato prima considerato un campione di antiliberalismo e antifascismo e poi, una volta tornato in Italia dopo il lungo esilio imposto da Mussolini, uno strenuo difensore di un liberalismo antistatalista.

 

Lo stesso Sturzo, in un articolo del 1956, così si esprimeva in terza persona: “Si accusa don Sturzo che, dal ritorno in patria, con la sua critica non risparmia i socialisti, i partitini, anche la D.C., specie l’ala sinistra; mentre nel trentennio della sua attività politico-sociale in Italia (1895-1924), e nello stesso esilio, le sue critiche, oltre che a Giolitti nominatim, andavano alla classe politica di allora, la demo-liberale; andavano ai nazionalisti, ai fascisti, agli industriali, non sempre ai socialisti, mai ai sindacati dei lavoratori.

E ancora, nel1956 il fondatore del PPI , Luigi Sturzo così dice di sé: “don Sturzo è stato sempre uguale a se stesso, costantemente un critico di coloro che detengono il potere. Nel primo trentennio erano al potere i democratici-liberali o liberali-democratici (come amavano chiamarsi), poi vennero i nazional-fascisti; nel presente decennio sono i democristiani col contorno dei partitini (sia contemporaneamente, sia parzialmente, sia a turno, salvo i cinque mesi del governo Pella). La critica si dirige a chi fa e a chi parla; i governi del dopo guerra han parlato molto, han legislato moltissimo (troppo, dico io); hanno fatto e sbagliato parecchio; nessuno di loro pensa divenire un Mussolini che ‘ha sempre ragione’. Dall’altro lato, la critica di don Sturzo ai nenniani e ai sinistroidi della coalizione governativa (ogni partito ha la sua freccia al fianco sinistro) è per quello che essi dicono e, quando hanno un briciolo di potere, anche municipale, per quello che fanno. È chiara la mia posizione? Spero di sì” [L. Sturzo, “La critica di Sturzo e i filo-socialisti” (1956), cit., p. 301].

 

Per questa sua posizione sempre costruttivamente critica nei confronti di chiunque stia al governo, ha pagato con un esilio di 22 anni, in Inghilterra prima e negli Stati Uniti poi, non essendosi piegato al regime fascista.

 

Rientrato in Italia nel 1946, riprese una vita politica attiva, ma non aderì formalmente alla Democrazia Cristiana.

In questi giorni vi sono parole ricorrenti in politica, come ‘(ri)costruire’ e ’costruttore’, sulle rovine della nostra salute, delle relazioni sociali, del lavoro, della scuola e dell’economia.

Ma qual è il terreno solido su cui gettare le fondamenta e quali sono i mattoni con cui tirare su la casa?

È un’illusione quella di costruire ad ogni costo affidandosi a delle fondamenta fatte di emozioni, paure, rivalse, orgoglio e amor proprio, cioè di interessi privati, seppur si copre il tutto con un dichiarato “spirito di servizio”.

 

Risulta pertanto quanto mai attuale il libro edito da Rubbettino,  Luigi Sturzo – Servire non servirsi, La prima regola del buon politico.

 

Nella prefazione di Giovanni Palladino, ex presidente del Centro internazionale studi Luigi Sturzo (C.I.S.S.) di Roma, a cui si deve l’inizio della causa di beatificazione del sacerdote calatino, figlio del fu Giuseppe, esecutore testamentario di Luigi Sturzo, si legge: “Da queste pagine emerge la grande importanza che Sturzo poneva nella funzione pedagogica della buona politica. Egli credeva in una specie di causa-effetto: la politica è utile se buona ed è tale se sostenuta dalla buona cultura. Questa si acquisisce con lo studio del vero e del bene, studio a cui il Cristianesimo ha dato un fondamentale contributo. È  tempo che inizi a ‘fare scuola’, direbbe oggi Sturzo”.

 

Ed è vero che è un non bene costruire una casa sulla sabbia, mentre è bene costruirla sulla roccia?

 

Avversità  alla persona e alla società non sono mancate da un anno a questa parte, e si prospettano ancora mesi difficili in campo sanitario, economico, culturale, educativo e civile, con tanto  da recuperare per l’unità dell’uomo, della famiglia e delle relazioni sociali.

 

Occorre decidersi e decidere su cosa e su chi (ri)costruire.

 

La grandezza dei costruttori non sta nel loro ingegno politico, nei calcoli nel prevedere la risposta dell’umore dei cittadini, e men che meno nella furbizia di vendere il falso come se fosse vero.

 

Bisogna ricostruire l’umano  che è in noi e tra di noi e questo, senza Dio, è impossibile all’uomo, “essendo Lui – come ricorda san Paolo – che dà a tutti la vita e il respiro e ogni cosa” (At 17, 25).

 

Bisogna recuperare Colui che  è stato scartato in Europa che come altri continenti ha bisogno di riprendersi e fare leva  sulla roccia.

 

Colui che è disponibile da duemila anni alla libertà dell’uomo che può fare di Lui il centro di gravità di ogni sua costruzione, rendendola stabile, e della casa di tutti e per tutti che è la società.

 

In questo tempo drammatico non ci servono governanti “benefattori” dell’umanità, ma servitori dell’umano, ‘liberi’ da altri condizionamenti e per questo anche ‘forti’, che siano testimonianza e che ci educhino, con  lo sguardo fisso al nostro destino buono, e ad una speranza certa che non delude, a “servizio”  di un disegno più grande di loro.

 

Il popolarismo sturziano è ciò, un efficace antidoto al populismo dilagante. La sua cultura dell’incontro, la sua laicità positiva, il suo riformismo coraggioso e responsabile, la sua concezione di una democrazia sostanziale, pluralistica, solidale orientata al bene comune sono ancor oggi un valido strumento per superare la grave crisi politica attuale.

 

“Sturzo, che subì tante sconfitte nella vita politica, è oggi un vincente: perché oggi ha ancora tanto da dire a noi e domani ai giovani che verranno. I suoi avversari, invece, nulla ci hanno lasciato, se non i loro errori, le loro distruzioni e talora, i loro orrori” (Dalla postfazione di Marco Vitale).

 

Bisognerebbe diffondere il pensiero di Sturzo tra i cattolici praticanti e non, perché poco conosciuto e letto, ma soprattutto tra i giovani visto che neanche nei libri scolastici la sua figura viene trattata nonostante sia stato il personaggio più illustre del novecento in tutti i campi.

Vito Piepoli

 

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