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Sta per essere commemorato il Giorno della Memoria, come ogni 27 gennaio dal 2005. Ma quest’anno il ricordo entra prepotentemente a monito di un futuro purtroppo già presente: il riaffiorare dell’antisemitismo.

 I criteri antistorici dell’odio verso gli ebrei sono cresciuti nel tempo e non si sono affievoliti neanche dopo le prese di posizione da parte di figure eminenti della Chiesa o di altre importanti personalità pubbliche. Il nazifascismo (o quel che si vorrebbe far passare come tale) esce dalle tenebre e riprende forza. Tanti sono gli atti criminali e vandalici che in diverse parti del pianeta colpiscono persone e organismi israeliti, non ultime le teorie complottiste antisemite riguardo la diffusione del virus Covid-19.

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 Non mi è bastato essere figlio di genitori, che da piccolo supponevo – o speravo nel loro bene – volessero disfarsi del loro triste passato, come se anche agli umani fosse data l’eliminazione dei dati dalla memoria, ma che poi mi sono accorto che forse per questo restavano legati all’obbligo di tramandare, affinché quel che era accaduto non trovasse più ripetizione.

 Mi commuovo ancora riascoltando le testimonianze delle vittime della Shoah, pur avendo trascorso parecchi 27 gennaio nelle scuole e nelle università per raccontare il mio essere “seconda generazione” e nonostante io abbia conosciuto e frequentato tanti ex-deportati. Mi arrabbio ancora vedendo i filmati di una piazza Venezia che esaltava i discorsi del Duce ed i nazisti che controllavano paesi e città, villaggi e campagne di quasi tutta l’Europa, neanche fossero stati un miliardo di persone; ma la storia mi ha insegnato di quanti altre nazioni si sono sentite in dovere di definirsi “razza pura”, macchiandosi delle nefandezze più atroci, divenendo anch’esse carnefici, naziste più dei tedeschi, disumane nel loro essere.

 Rammento di quando venni accusato in quinto liceo, a causa del mio cognome “germanico”, di aver imbrattato il bagno della scuola con la scritta “Juden Raus” (ebrei fuori) e mentre il preside gettava su di me sguardi accusatori, i compagni di classe sghignazzavano per il suo errore. Alla fine di una lunga predica, ricordo di averlo abbracciato ringraziandolo, ma lui rimase stupito da questo, sicuramente immaginando che lo stessi prendendo in giro. 

 Il Giorno della Memoria vuol far conoscere quel che è stato, ma purtroppo ancora oggi in pochi sono a conoscenza di cosa sia ad esempio lo Yom Kippur, altre festività ebraiche o di altre religioni e culture. Questo perché c’è ancora indifferenza verso le cosiddette minoranze, pur essendo parti integranti plurimillenarie della storia del paese, dell’Europa intera, del mondo. Questa mancanza di conoscenza e del desiderio di sapere crea quell’ignoranza neanche troppo recondita, che spesso una malsana politica fa diventare cultura dello stato, a danno della condivisione culturale come parte formativa necessaria alla crescita di ogni paese. Ironicamente (ma non troppo) potremmo parlare di “Legge che non legge”. Non parliamo poi dell’insegnamento dottrinale politico legato a tempi passati recentemente, dove va condiviso e deriso l’avversario, tanto da renderlo nemico. Per questo, senza domandarsi le verità storiche, si accusa di nefandezze lo Stato di Israele, al di fuori dell’antipatia verso un suo governo, ma favorendo chi nutre la bieca volontà di eliminarlo. Chi vuole la distruzione di quel che viene comunemente ed erroneamente chiamato “stato degli ebrei”, vuole allora l’eliminazione di un intero popolo, come già successo meno di ottant’anni fa. Prima che sia troppo tardi, l’Europa dovrebbe indurre gli stati membri ad adottare la definizione dell’International Holocaust Remembrance Alliance (IHRA) con la condanna contro ogni riabilitazione storica di chi partecipò ai crimini della Shoah, ribadendo una presa di coscienza sulla condizione ebraica moderna e sul collegamento tra odio anti-ebraico e antisionismo.

 La società tende ancora a differenziare i propri componenti: nazioni, colori, politiche, religioni, culture, orientamento sessuale, ecc., creando un marasma che la fa tornare indietro di secoli. Eppure si supponeva che sotto l’influenza di un’epidemia mondiale, ci si capacitasse che ne eravamo tutti vittime ed a pari livello.

Vivo questo Giorno pensando ai 41 parenti diretti trucidati, usciti o strappati dalle loro case. Vivo pensando ai 6 milioni di morti innocenti, ma vivo anche sperando che un amico non ebreo mi chiami una volta l’anno, solo per augurarmi buon Rosh haShanah (il capodanno ebraico).

 

 

Alan Davìd Baumann

 

Nella foto Ilona e Margit, zie di mio padre, deportate assieme ai genitori

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