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È quanto emerge dallo studio presentato da Deloitte nel corso del World Economic Forum 2021, quest’anno previsto in edizione totalmente virtuale

«Sempre più consapevoli del cambiamento climatico e sempre più convinti del grande impatto che potrebbe avere sulle proprie attività di business. Più della metà dei manager italiani (52%) indica il tema ambientale come la più rilevante questione sociale da affrontare per le aziende nei prossimi anni». Lo dichiara Fabio Pompei, Ceo di Deloitte Italia, illustrando il Resilience Report 2021 di Deloitte. Presentato in occasione del World Economic Forum 2021, lo studio della società di consulenza e revisione indaga l’atteggiamento verso gli scenari economici futuri e la fiducia nella propria capacità di gestione di eventi straordinari come il Covid-19 da parte di 2.260 amministratori delegati di 21 Paesi nel mondo, tra cui 102 italiani.

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«Con numeri addirittura superiori alla media globale (47%), il 52% dei leader d’azienda italiani ritiene che il cambiamento climatico sia la questione numero uno da affrontare per le aziende, perché il fenomeno potrebbe avere effetti dirompenti sul proprio business», spiega Pompei. Le altre due tematiche sociali che più preoccupano i manager sono quella sanitarie (46%) e quella relativa all’istruzione della forza lavoro (38%). «Mentre l’attenzione per il tema dell’assistenza sanitaria e della prevenzione delle malattie è sicuramente correlata all’insorgere della pandemia da nuovo Coronavirus, la rilevanza del tema dell’istruzione della forza lavoro era già emerso da tempo. I dati presentati a Davos, infatti, confermano quanto era già stato messo in evidenza dal nostro studio RiGeneration Stem: in Italia il disallineamento tra skill possedute dalla forza lavoro e quelle richieste dal mercato del lavoro è così importante che quasi un’azienda su quattro (il 23%) non riesce a trovare i profili professionali di cui ha bisogno, specialmente se sono di ambito Stem», afferma Pompei.

Ad accrescere la consapevolezza sull’importanza della tematica ambientale, invece, sicuramente è stato l’impatto del Covid-19. Secondo la comunità scientifica internazionale, infatti, la scarsa sostenibilità di alcune attività umane contribuisce in maniera determinante alla distruzione degli ecosistemi naturali, aumentando le probabilità di spillover (o salto di specie) e quindi di nuove pandemie. Ma non tutti i manager italiani sono d’accordo sulla portata dei fenomeni correlati al cambiamento climatico. Alla domanda “Il cambiamento climatico è una crisi di portata maggiore, minore o simile rispetto alla crisi covid-19?”, solo il 38% ha risposto affermando che si aspetta che le conseguenze del cambiamento climatico possano essere più severe di quelle del Covid-19. Il 35% si aspetta una portata simile, mentre il 24% degli intervistati pensa che l’impatto del cambiamento climatico sarà minore di quello della pandemia in corso.

Per quanto riguarda l’impegno per l’ambiente portato avanti dalle aziende, le risposte dei manager sembrano segnalare che, a fronte di una crescente preoccupazione per la tematica ambientale, le azioni intraprese non siano ancora ottimali e possano ancora migliorare. Mentre la media globale di rispondenti che pensa di avere fatto bene nell’onorare i propri impegni ambientali è del 35%, il corrispondente italiano è del 32%. E mentre la media globale di chi pensa di aver fatto benissimo è del 24%, in Italia lo stesso dato si ferma al 22%.

«La crescente consapevolezza dei rischi e delle opportunità legati al cambiamento climatico possono essere osservati anche nei bilanci della società», aggiunge Stefano Dell’Orto, Audit & Assurance Leader di Deloitte Italia. «È con questo obiettivo che abbiamo condotto lo studio Climate Change – Un’opportunità per veicolare un’informativa consapevole e responsabile al mercato, con il quale abbiamo rilevato che il 42% delle relazioni finanziarie include un’informativa climate, seppur con livelli di dettaglio molto diversificati tra loro», spiega Dell’Orto.

«Il processo è certamente nelle sue fasi iniziali e in corso di evoluzione, ma il fatto che più del 40% delle relazioni finanziarie annuali affrontino la tematica significa che un nuovo processo è stato avviato e che la necessaria consapevolezza ambientale è crescente tra i preparers. Per questo nei prossimi anni ci aspettiamo importanti cambiamenti e impatti significativi per le società, e conseguentemente per i loro bilanci, sia in termini di assunzioni sottostanti le stime, sia in termini di articolazione e trasparenza dell’informativa fornita. In questa direzione, del resto, va l’iniziativa di Deloitte in partnership con il World Economic Forum che ha portato alla creazione di un prototipo di standard di informativa finanziaria relativa al clima», conclude Dell’Orto. «Solo con iniziative di questo tipo, capaci di imprimere una svolta alla governance globale del tema, si potranno cambiare i meccanismi operativi con cui le imprese possono contribuire ad affrontare la sfida del cambiamento climatico. Detto in altre parole: solo creando metriche universali ESG le imprese potranno davvero fare la propria parte assumendo impegni ambientali concreti e misurabili, dunque realmente efficaci».

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