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Negli ultimi 12 mesi ci siamo trovati costretti a ricorrere agli strumenti digitali per qualsiasi cosa: dalla didattica a distanza all’uso di strumenti di comunicazione, dall’e-commerce ai servizi per dialogare con la Pubblica Amministrazione.

È chiaro a tutti che, senza questi strumenti, affrontare la pandemia da Covid-19 e le restrizioni ai movimenti sarebbe stato ancora più difficile di quanto non lo sia già stato.

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Parallelamente, sono emersi tutti i limiti che il sistema paese sconta a livello digitale, come il (cronico) deficit di infrastrutture e un ancora scarso accesso alla connettività. Tutti aspetti su cui si può e si deve intervenire in tempi piuttosto rapidi e, come è stato spesso sottolineato da più parti, in questi ambiti il fattore determinante è quello della volontà.

Il tema più spinoso, però, riguarda un altro aspetto: quello dell’alfabetizzazione digitale. L’Italia, in questo campo, sconta un preoccupante ritardo su due fronti distinti.

  Il primo riguarda la capacità di utilizzare in maniera efficace (e

consapevole) gli strumenti digitali. Le nostre scuole non prevedono didattica dedicata a questo tema e le pur lodevoli eccezioni si riducono, normalmente, a progetti estemporanei, spesso promossi da singoli docenti.

Il secondo fronte, ben più problematico, riguarda la formazione di quegli esperti nel settore di Internet e delle nuove tecnologie di cui c’è estrema necessità per arrivare a quel “salto di qualità” che da più parti si invoca. Sia chiaro: non si tratta di un problema che riguarda solo il nostro paese.

  Tutti i principali istituti di analisi, anche nel settore privato, segnalano da tempo una scarsità cronica di risorse adeguatamente formate per fare fronte alle richieste del mercato. Colmare questo gap è estremamente urgente, soprattutto per quanto riguarda il settore pubblico.

In questo quadro, infatti, le istituzioni rischiano di rimanere (ancora una volta) indietro, stritolate dalla concorrenza del settore privato.

La sfida, per il settore dell’istruzione, non è però solo quantitativa, ma anche qualitativa. Chi si occupa di formazione nel settore IT deve infatti fare i conti con un panorama estremamente dinamico, in cui le esigenze (e di conseguenza le competenze richieste per sodisfarle) cambiano a una velocità impressionante. Non solo: le specificità del settore portano anche a concentrare l’attenzione sul tema dell’aggiornamento delle competenze stesse.

Saremo in grado di immaginare e mettere in campo forme adeguate a trasformare la formazione in modo che possa garantire questi elementi di dinamicità e flessibilità?

Forma e modalità sono tutte da inventare. Avere la consapevolezza di dover affrontare la questione, però, sarebbe già un primo (grande) passo avanti.

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