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di Roberto Falcone

“Dobbiamo” è stata una delle parole frequenti nel discorso del Presidente del Consiglio al Senato del 19 gennaio 2021. Ad ogni “Dobbiamo” è seguita la descrizione dei cambiamenti e dei traguardi che tutti noi desideriamo per la nostra società; nessuno di essi è stato tralasciato. Così i detrattori del Presidente non possono sostenere che egli manca di visione, anche perché le visioni che esprimono i suoi concorrenti sono tutte meno brillanti e complete. Questa superiorità è stata puntualmente premiata dai tanti applausi a scena aperta e dal sostegno compatto ricevuto dai suoi sostenitori nella votazione finale.  I tanti “dobbiamo” hanno posto in secondo piano gli altri due oggetti del discorso: la valutazione dei risultati dell’opera del governo e la sua strategia.

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Il campo della valutazione dei risultati si presta all’ambiguità del bicchiere pieno a metà: mezzo pieno per il governo e mezzo vuoto per l’opposizione. Quello della strategia è stato totalmente diluito nel mare dei “dobbiamo”. Ma non è proprio sulla qualità della sua strategia che va riposta la nostra fiducia in chi ci governa?

La strategia non è stata percepibile dalle parole del presidente, così come non lo è nel corposo documento chiamato “Piano di Ripresa e Resilienza” (PNRR) pubblicato il 13 gennaio scorso. Esso è all’esame del Parlamento per venire approvato in sede legiferante. Dati i suoi contenuti, al Parlamento viene chiesto di approvare, emendare e respingere, non una strategia, bensì una visione che è la stessa contenuta nel mare dei “dobbiamo” del 19 gennaio.

L’errore nel quale il governo ci sta portando è quello di farci “confondere la mappa con il viaggio”. Sappiamo dove sarebbe bello andare, ma nulla ci viene detto su come arrivarci, o come almeno ottenere alcuni dei cambiamenti elencati nella “visione” contenuta nei “Dobbiamo”.  Ai parlamentari, a tutti, sia favorevoli che contrari, non dispiace l’assenza di strategia, per alcuni perché non conoscono la differenza fra strategia e visione, per altri perché il giorno che dovessero governare vogliono poter disporre dello stesso strumento usato dal presidente. Infatti, i “dobbiamo”, poiché parlano al cuore degli elettori, portano voti, mentre la razionalità di un piano strategico ne lascia indifferente la maggioranza e si presta facilmente alle critiche degli avversari. In conclusione, sia i parlamentari che gli elettori sono vittime consenzienti dell’inganno nascosto nelle parole del presidente.

Cerco di spiegare perché ritengo che le conseguenze di questa complicità fra ingannatore ed ingannati arrivino a minare le radici stesse della nostra democrazia parlamentare. L’abbandono della deprecata “austerity” da parte della UE ha posto i governi europei, fra cui il nostro, nella necessità di pianificare la spesa dei fondi congiuntamente messi a disposizione dei singoli paesi nei prossimi sette anni. Sono riportate in questa tabella https://lnx.societalibera.org/wp/wp-content/uploads/2021/02/tabella.jpg Come si vede sono di una entità impressionante, sia per la capacità di Governance richiesta, sia per il peso di debito che fa gravare sulle prossime generazioni.

L’inganno di far passare per piano strategico l’elenco dei “dobbiamo” autorizza il nostro governo a far passare per piano strategico una semplice ipotesi di allocazione di queste risorse, che è il dato conclusivo del PNRR. Sulle variazioni di tale ripartizione verteranno, con tutta probabilità, gli emendamenti che verranno richiesti. Una impostazione che assomiglia a quella dei piani quinquennali del socialismo reale sovietico, attraverso i quali l’autorità del Gosplan fissava “top down”, risorse e traguardi da raggiungere, e li faceva rispettare disponendo dei necessari strumenti coercitivi. Nel frattempo, però, forze di cui non si era tenuto conto nel fissare i traguardi producevano gli altri cambiamenti che sul finire del secolo scorso affossarono quel tipo di governo. Nel caso nostro, poiché mancano gli strumenti coercitivi, l’allocazione dei fondi, stabilita indipendentemente dalle capacità e dalla richiesta che verrà espressa “bottom up” dal sistema dell’economia, della produzione e del mercato, rischia di restare in parte inutilizzata ed in parte di tradursi in sprechi e favori clientelari.

Il piano strategico di un paese democratico non può invece che consistere nella decisione di una serie di priorità, di scelte selezionate fra un vasto numero di possibilità frutto di valutazioni, di previsioni e di scenari, anche di obiettivi, purché accompagnati da percorsi per raggiungerli. Scelte che siano atte ad evitare che forze dannose per la società, come l’avidità, l’aggressività, l’ignoranza e altre negatività, foggino la realtà, e dalle quali discendano le condizioni affinché le persone abbiano la libertà di esprimere la loro razionalità, iniziativa, creatività e responsabilità personale (Copyright Mc Namara). È solo se esistono tali condizioni che la società può esprimere, in modalità “bottom up”, il fabbisogno di risorse da investire proficuamente e nell’equità anche intergenerazionale. La rinuncia, alla quale a quanto pare il nostro governo è orientato, alla formulazione di un piano strategico, ci condanna ad una democrazia parlamentare incompiuta e allo status quo che tanto vorremmo sostituire con i “dobbiamo” del presidente.

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