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“L’Italia presenta oggi uno dei peggiori gap salariali tra generi in Europa, oltre una cronica scarsità di donne in posizioni manageriali di rilievo. Una vera parità di genere non significa un farisaico rispetto di quote rosa richieste dalla legge: richiede che siano garantite parità di condizioni competitive tra generi”.
Così, il presidente del Consiglio, Mario Draghi, al Senato.
Mi permetto di modificare così: “Una vera parità di genere non significa soltanto il rispetto di quote rosa richieste dalla legge, ma anche che siano garantite… “.
Così come è stato formulato il discorso appare chiaramente un voler farsi perdonare l’esigua presenza di donne nel nuovo governo.
Riguardo all’espressione “quote rosa”, trascrivo da “Parlare civile – Comunicare senza discriminare”: «L’espressione “quote rosa” è imprecisa e considerata fuorviante da molte esperte perché induce a credere che si tratti di un meccanismo che porterebbe ad assegnare una quota di posti alle donne (il genere “rosa”) a prescindere dal merito, dalle competenze e dalle capacità. In realtà, si tratta di norme antidiscriminatorie che hanno lo scopo di permettere un’equa partecipazione di entrambi i generi e, a tal fine, stabilisce che una percentuale di posti sia destinata al genere sottorappresentato. Nella loro formulazione, queste norme non contengono il riferimento alle donne ma sono gender neutral, garantendo quindi in modo paritario i due generi. E non intendono sostituirsi alla valutazione del merito ma favorire l’impiego di professionalità e competenze femminili, pari (o superiori) a quelle maschili, attualmente sottoutilizzate. Rosa i sistemi di quote si chiamano solo in Italia: in inglese e nel linguaggio delle istituzioni europee sono chiamate quote di genere, gender quotas ».
Renato Pierri

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