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Scenari post-pandemici

C’e grande fervore attorno ai processi di ricomposizione della geografia politica del paese che il governo di Mario Draghi ha accentuato in modo oramai ineluttabile, anche se le resistenze a non voler dismettere le vecchie abitudini sembrano non voler dare il passo a nuovi stili.

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Certo che nessuno avrebbe mai scommesso sulla conversione a 180 gradi dei 5Stelle.

Sentire Di Maio dire che il movimento è una forza “moderata e liberale” è davvero stupefacente come sentire dire alla pecora che non c’è animale più buono del lupo.

È tempo di non farci distogliere da inganni che possono allontanarci dal nostro naturale orizzonte.

Seppur sempre più insistenti appaiono le sollecitazioni ad una grande rassemblement di tipo giscardiano da una parte e dall’altra con il mischiarsi di tutte le possibili antinomie che sono l’anti essenza di una qualsivoglia seria proposta politica.

E così che sta prendendo piede un modo singolare di inventarsi collocazioni innaturali per effetto di un’operazione verticistiche di cui sono capaci tutti i vagheggiatori un centro politico senza popolo, ossia senza alcun radicamento nella società civile.

Insomma come dire più adusi ad operazioni di potere che di sfide ideali e di proposte politiche nate dal territorio e dalle comunità.

Così è che il grande smottamento creato dalla inedita prassi con cui è nato questo governo, fuori dalle liturgie del sistema dei partiti, continua a provocare divaricazioni e fermenti all’interno delle forze politiche.

Tra i più clamorosi effetti v’è il grande malessere che sta serpeggiando nel Pd con un tira e molla delle varie correnti sull’opportunità o meno di tenere subito il Congresso.

Una discussione, in molta parte sotterranea, che ha avuto ed ha come bersaglio la gestione poco incisiva del segretario Zingaretti, uscito, dopo una grigia subalternità ai 5 Stelle,con le ossa rotte per essersi attestato irragionevolmente su una posizione che,agli occhi di tanti,appariva  perdente nel tira e molla delle consultazioni esplorative durante l’anomala crisi del governo Conte.

Dimissioni che sicuramente al momento, anche nell’ipotesi di un reggente,

dato che Zingaretti appare assai risoluto nella sua decisione, non faranno che congelare ogni diatriba interna, in attesa del Congresso.

Ma non v’è dubbio che questa crisi del Pd investe massicciamente tutto il processo di destrutturazione e di riconversione che si è repentinamente avviato.

Emblematica la recente mossa di costituire un intergruppo parlamentare

Che prefigura nell’intento dei leader di quelle forze di voler andare al di là degli attuali recinti.

Un obiettivo che si allinea al tentativo di Conte di mettersi, intanto, da sperimentato leader, a disposizione del movimento 5 stelle e consentire quella sorta di catarsi del gruppo, ma con un orizzonte più ampio, ossia porsi alla guida di una coalizione di centro sinistra.

Un atto di generosità o un gesto di supponenza politica?

Certamente non si può dire che non sia in linea con il percorso che passo passo ha seguito con il movimento nelle antitetiche esperienze di governo.

Che,a dir poco, lo connotano come un campione di incoerenza programmatica e politica ove è stato capace di perseguire obiettivi antitetici,:affrettandosi nel secondo governo a neutralizzare e rimuovere misure varate nel primo esecutivo.

Se vogliamo, in perfetta linea con la convergente esperienza governativa dei 5 Stelle, oggi alle prese con un forte disorientamento identitario causato dalle ultime impudenti disinvolture con cui si sono sbarazzati delle loro purezze ideologiche( si fa per dire)per abbracciare la coabitazione con personalità che fino a ieri ritenevano espressione delle oligarchie e dei potentati economici o politici denigrati a più non posso.

In questo vortice di acerrima resa dei conti, registriamo la dichiarata voglia da parte del vertice governista grillino di abbandonare la maschera dell’antipolitica, del populismo e del settarismo giustizialista e proporsi come forza “ moderata e liberale” come incredibilmente affermato da Di Maio in una recente intervista televisiva.

Un’affermazione talmente a buon mercato che ha fatto trasecolare tutta quell’area di pensiero politico centrista che non ha assolutamente nulla a che spartire con questi improvvisatori ed avventurieri che ci hanno condotto con le loro dottrine della decrescita felice e di uno strisciante antiparlamentarismo,ad un disastro senza precedenti.

Evidentemente si ritengono giunti sull’orlo di un imminente default per indursi a riciclarsi in una nuova veste, come fosse un gioco delle tre carte.

E lo fanno con la disinvoltura e la spregiudicatezza di sempre, provando a ricompattare l’arsenale politico intestandosi ideali e valori mutuati bellamente da filoni di pensiero e culture lontane un miglio dalla loro genesi ed esperienza politica che fino a ieri hanno aborrito e aspramente osteggiato, come fonti di tutti i mali.

Un grande esempio di opportunismo politico.

Ma basterà a salvarli dall’estinzione?

Non credo!

L’operazione sa tanto di imbellettamento artificioso e di facciata,dietro il quale si sta nascondendo una spregiudicata operazione di camaleontismo mai vista nel nostro sistema politico,

Una metamorfosi tipica delle crisalidi che da bruco si trasformano in farfalla.

Insomma un modo astuto per buttare a mare tutto quell’armamentario di vaffa, anti tav, antivax, antipolitica e anti sviluppo, servito speciosamente per conquistare il potere.

Un inganno al quale sicuramente questa volta l’elettorato non abboccherà viste le disinvolture con cui si sono trattate, da parte di questo ceto politico, le promesse fatte all’inizio della loro avventura, tra cui il doppio mandato, che un nuovo più corposo riciclaggio metterà definitivamente nell’ombra per consentire a quella ristretta oligarchia che tiene in mano il movimento di perpetuarsi politicamente.

C’è poi da tenere in debito conto un’altra questione.

In questo dipanarsi di eventi all’insegna del più ardito trasformismo, c’è da fare i conti con le regole che l’attuale “società liquida” impone, ossia la facile deperibilità del credito mediatico.

Se per avventura se ne perde l’immanenza, il favore dei sondaggi, almeno per quella quota di rendita che si era accumulata,si disperde nel giro di poche settimane.

Ed è una regola aurea che vale per tutti.

E vale anche per Conte che di questa regola ne ha fatto un cavallo di battaglia capitalizzando le sue apparizioni iper quotidiane fino al punto di attirarsi anche da parte dei suoi alleati qualche, non proprio velata, critica di autocrazia.

Ma non saranno però sonni facili neanche per il Pd che,in aperto dissidio interno, al punto da spingere il segretario Zingaretti alle dimissioni, ancora una volta in cerca di una identità, smarrita da tempo, si crogiolano dietro la società civile o dietro esponenti presi a prestito da altre esperienze non di casa propria per presentarsi ad un elettorato che mostra ancora tanta diffidenza.

Evidentemente ha pesato, ancora una volta, la palese assenza di un’idea convincente di paese.

Ma ha pesato di molto anche la corriva subalternità ai 5 Stelle che li ha ulteriormente logorati e disorientati, con l’unica certezza che non sono più espressione neanche del ceto medio.

Così che il tentativo che essi stanno accreditando non ha retroterra culturale serio e credibile.

Il fatto è che parallelamente, al momento, faticano ad emergere proposte politiche che possano coerentemente interpretare una politica di centro che si atteggi come sintesi virtuosa di aderente attuazione della nuova frontiera ben delineata, nei suoi assi, dalla next generation eu.

Ma serve fare i conti con una verità incontestabile:la crisi irreversibile del capitalismo e delle dottrine liberiste con i valori che li sottendono sempre più effimeri.

Servono politiche che propongono nuovi modelli di vita, di politica, di società, di economia, di lavoro che abbiano come invalicabile punto di riferimento la persona umana, ma che non perdano il radicamento nella tutela della famiglia, capaci di invertire il pauroso decremento demografico, di incentivare alti livelli occupazionali del sistema produttivo, di reale alleggerimento fiscale, soprattutto con riferimento al ceto medio che in questi anni ha pagato più di altri il peso della crisi e poi dell’emergenza, con tutte le disarmonie reddituali che si sono creati con la pandemia rispetto al settore del pubblico impiego.

Pre-condizioni imprescindibili per l’avvio di un bilanciato processo di rilancio nel quadro di attuazione della transizione ecologica e della digitalizzazione.

E allora se guardiamo al dopo Draghi ed alla legislatura che ne succederà in questa imprevedibile evoluzione del sistema non possiamo non domandarci quali compatibilità avranno quei modelli di riforma degli Ordinamenti che si troveranno a delineare, tanto lo schieramento di destra che quello di sinistra, che fanno ancora del sovranismo o del populismo, sia pure sotto traccia (ma non proprio se i 5 Stelle restano l’espressione della piattaforma Rousseau) magari in forma più gentile, la loro bandiera ideologica?

Una preoccupazione che ha la sua ragion d’essere perché quel grande lavoro che si accinge a mettere in campo il governo Draghi quale continuità coerente e compatibile saprà trovare nella prossima legislatura per mantenere l’equo bilanciamento dei diversi e contrapposti interessi tra le forze produttive e lavorative affinché non si ricreino le condizioni di forti divari nel territorio e disarmonie nel processo di crescita, causa di distonie incolmabili dall’unità d’Italia?

Qui è, prima di tutto, una questione di cultura politica e di etica.

Forse sarebbe il caso che le forze politiche si liberassero veramente di ogni zavorra populista e sovranista.

Ma questi sono processi lenti e richiedono profonde analisi e autocritiche che non si ottengono con dichiarazioni improvvisate.

Mentre urge una organica proposta liberale e moderata per il prossimo futuro governo che si prenda l’onere davanti al paese dell’attuazione coerente del programma di ammodernamento infrastrutturale, dei provvedimenti di rilancio economico, del ridisegno delle protezioni sociali e della ridefinizione della pubblica amministrazione, in un ridefinito rapporto tra cittadino e Stato.

Ma la crescente estremizzazione che da anni ha marcato il nostro sistema non ci rende rassicurante l’alleanza strutturale Pd-5Stelle a prevedibile guida di Giuseppe Conte, il cui background non è certo esilarante per poter rendere credibile una politica moderata e liberale.

Pur volendo ammettere una inevitabile evoluzione che ogni forza politica attraversa nel suo cammino istituzionale, ci sembra troppo inverosimile e smaccatamente inattendibile che chi ha fino a ieri inneggiato,sia pure facendo poi disinvoltamente marcia indietro, ai gilet gialli, ha reso ponti d’oro,con lo slogan della via della seta, all’imperialismo economico cinese, quasi a surclassarne il tradizionale atlantismo, ha guardato con interesse a teorie antiscientifiche, si è fatto precipuamente guidare da un’idea prevalente di statalismo e assistenzialismo sulla libertà d’impresa, a favorire politiche securitarie discutibili nelle ambivalenti versioni governative e a perseguire un giustizialismo bieco, possa rigenerarsi una così contrapposta identità.

E tanto meno ci rassicura la coalizione di centro destra a guida sovranista.

Ove non scorgiamo da queste visioni di paese un’idea efficace di coesione sociale e di progresso armonico.

E la ragione principale sta nelle degenerazioni populiste che hanno preso il campo con l’avvento dei partiti leaderisti.

Sempre più attenti a orientare le politiche pubbliche sul mantenimento di steccati e di appartenenze che di tutela universale della persona come fine e non come strumento di progresso ingannevole.

E pensare che questa sfida è stata prepotentemente lanciata da Papa Francesco con le sue ultime encicliche e con il suo forte richiamo ad un Umanesimo integrale dove al centro v’è l’uomo e la sua dimensione non solo umana.

Compiti sublimi che in questa prospettiva chi fa politica ha il dovere di saper coniugare negli interessi contrapposti per una armonica composizione tra il bene comune e l’interesse del singolo e della famiglia.

Temi che non si prestano alle improvvisazioni o agli estremismi con cui da qualche tempo i nostri governanti hanno affrontato le agende della politica.

Molto più redditizie in termini di consenso e di crescita personale.

Non a caso i leader preferiscono ricorrere ad un dialogo diretto con quella parte di opinione pubblica che si dispone  alle suggestioni delle facili promesse e delle decisioni istintuali.

Con il risultato di solleticare quella pancia del paese che facilmente cade nei settarismi e nelle faziosità più inopportune.

In questo quadro, quanto hanno a che fare con la vera peculiarità delle politiche centriste i tanti partiti che speciosamente stanno virando al centro nella convinzione di accaparrarsi quella parte di elettorato che finora è rimasto orfana di rappresentanza.

Fino a che punto potranno dissimulare tutto quel bel retroterra di esperienze politiche che le hanno caratterizzate nella originaria identità perché portatori di offerte distinte e distanti da politiche moderate non divisive?

Certamente l’inverosimiglianza ne scoperchera’ la poca sostenibilità del tentativo di riedizione forse di un nuovo “Ulivo” con alla guida “l’avvocato del popolo”, che fino a ieri ha ondeggiato tra populismo di destra e di sinistra.

Mentre qualcuno più compiacente lo accreditava tra i probabili leader di un nuovo centrismo (Tabacci che in un’intervista su Huffpost lo paragonava a Moro,non possiamo di certo iscriverlo al club dei veggenti, se non ne azzecca una).

E altrettanto apparirà la subitanea e poco convincente conversione di Salvini e della sua Lega nel proseguire con coerenza un indirizzo governativo che sta impegnando Draghi alla concordia nazionale.

Ma lo stato dell’arte nel campo centrista non ci rende entusiasti perché il processo di ricomposizione delle forze, la cui rappresentanza parlamentare è al momento pressochè inesistente,ossia quelle che realmente hanno nella loro natura originaria tale vocazione, stenta il passo.

L’attuale tentativo di ricomposizione tarda a rendersi funzionale ad un processo di raggruppamento federativo con cui far convivere le diverse anime cattoliche, popolari, liberali e riformiste.

Sarebbe davvero un grande evento se questo processo si avviasse non come intesa tra apparati ma come espressione di un’offerta politica che indichi le linee di intervento e i modelli ordinamentali di riforma che si debbono mettere in campo parallelamente agli impieghi finanziari per gli ammodernamenti infrastrutturali.

È certamente il focus principale del travaglio programmatico che sta impegnando il partito di centro per eccellenza, ossia la DC storica che ha ripreso le fila con il XIX Congresso del 14 ottobre del 2018, rimettendosi in moto con tanto di simbolo e di candidati alle prossime amministrative di ottobre.

E, seppur lentamente, si cominciano a vedere i primi approcci nei territori,come a Torino e dintorni dove il partito sta mettendo a punto una serie di iniziative diffuse sul territorio ed ha in cantiere proprie liste per le prossime amministrative di ottobre.

E un buon avvio si sta avendo in Sicilia che sta facendo registrare una gran messe di adesioni anche da parte di rappresentanti delle amministrazioni locali, e così in tante altre parti e capoluoghi del territorio.

Una concreta risposta ai tentativi di balcanizzazione e alle dispersioni personalistiche.

Frutto della perseveranza di quanti stanno sperimentando impegno e coraggio nel recuperare la spinta inesauribile di quegli ideali e valori che seppero dare energia e impulso a ricostruire, nel secondo dopoguerra, un paese distrutto, nella consapevolezza di una loro attuale spendibilità.

Mentre sarebbe il caso di archiviare ogni tipo di rivalità personale, se non si vuol far perdere l’ultimo treno per un rientro nella politica attiva,nel momento in cui ci si dispone ad offrire al  paese un così valoroso patrimonio di idee e di competenze istituzionali.

Ma non basta il richiamo a quei comuni valori e ideali.

Perchè su questi assi vanno costruiti programmi e progetti per la ricostruzione e per i territori.

Cosa che ancora poco riusciamo a ben vedere.

Un piano di interventi che, pur senza poter contare su rappresentanze parlamentari dirette, visto che l’Udc ondeggia in una evanescenza senza fine, oltre a porsi come prezioso contributo al lavoro di definizione del recovery plan, renda noto al paese su quali direttive la nuova formazione della Democrazia Cristiana si vuole muovere nelle attuazioni e messa in campo delle opere e delle riforme ordinamentali, soprattutto nella P.A, nella sanità, nella giustizia, nella scuola, nel lavoro e nel campo degli ammortizzatori sociali,ed ogni altro ambito da adeguare alle nuove realtà sociali ed economiche.

Anche per dare continuità al gravoso compito del premier Draghi di rimettere sui binari giusti il cammino politico e un progetto di rilancio del paese che non si esaurisca come un miraggio nel tempo del governo in carica.

Ed in questa chiave questo vuoto va colmato al più presto perché il paese attende un reale cambio di passo e risposte autorevoli e durature.

Ma c’è anche da scongiurare l’esiziale pericolo di una nuova polarizzazione delle forze politiche, se si dovesse ripresentare un’ipotesi di maggioritario, che trova facile pretesto nella leggenda della maggiore stabilità del sistema: un effetto che non abbiamo visto nei diversi lustri nei quali abbiamo sperimentato questo meccanismo elettorale, oltre a far strame delle rappresentatività di tutte le forze in campo.

E certamente non aiuterebbe a ridurre le contrapposizioni e a creare coesione sociale.

Mentre non può non tenersi in conto la priorità che dovrà avere la prossima legislatura nell’attuazione di politiche attorno al Recovery plan, ossia la concordia nazionale e la ricomposizione del tessuto sociale ed economico: presupposti necessari per uscire da una prova così dura che la pandemia ha concorso ad aggravare pesantemente.

Ma, non da meno, per ridare a tutti i ceti sociali.a cominciare dai ceti medi, e a quelle categorie che non godendo dell’ombrello del settore pubblico si sono trovati più esposti alla crisi, la speranza in un futuro più rassicurante in un quadro di sviluppo che abbia rispetto dell’ambiente e della dignità della persona.

Una sfida epocale che ha cominciato a trovare ascolto da parte dei potenti della Terra, ma che non è sufficiente con i ritmi jurassici con cui siamo abituati ad affrontare le grandi questioni del mondo.

Un tale compendio di obiettivi rende l’area di centro cruciale.

E non c’è di certo molto tempo visto che è molto probabile che con la nuova elezione del Capo dello Stato, si possa andare a nuove elezioni.

Ed inoltre una nuova proposta politica di centro può far venire al pettine tutte le contraddizioni di questa ibrida coalizione di governo che solo la sapiente capacità e l’autorevolezza dell’ex presidente della Bce ha saputo agglomerare attorno alla sua visione di paese, mentre ne stiamo attendiamo intrepidi i primi risultati, dopo una qualche falsa partenza, cui non ha ben contribuito il riportarsi ai vecchi metodi a proposito della nomina dei sottosegretari..

Ci sembra di grande rilievo però il diverso modo di comunicare del premier: ove viene messa al bando la facile demagogia degli annunci.

Mentre le impudenti sollevazioni di alcuni esponenti di sinistra, intorno all’incarico di consulenza affidato  alla McKinsey per la miglior verificazione delle coerenze procedurali mentre nulla eccepivano quando il governo Conte non faceva che replicare tavoli di esperti, certamente non gratuiti, appare solo come una tempesta in un bicchier d’acqua.

Questo diverso modo fa sperare anche nel fatto che Draghi non si avvierà a ripercorrere l’uso dei Dpcm e riporterà le procedure istituzionali nel solco della più attenta osservanza della Costituzione, predisponendo le necessarie misure ed i provvedimenti conseguenti attraverso il pieno coinvolgimento del Parlamento e se del caso facendo ricorso ai DPR così da non bypassare i controlli istituzionali.

Con lo stesso fervore attendiamo la riscrittura del Recovery plan che non sembrava aver trovato gradimento e credibilità, almeno nelle prime anticipazioni da parte delle istituzioni dell’Ue.

Insomma un adempimento tanto delicato su cui non si può improvvisare.

Da esso dipendono i diversi stadi di finanziamento del next generation eu.

Ma la partita non finisce qui.

Perché non si gioca solo sull’elaborazione del piano.

Questo sarà solo il primo tempo.

È la seconda parte della partita che ci preoccupa.

Ossia il problema della prosecuzione del programma e della messa in campo delle opere e delle riforme ordinamentali una volta chiusa la parentesi di questo governo che potrebbe avvenire con l’avvio del nuovo settennato presidenziale, ossia tra un anno.

Ci vorrà un’intera legislatura per realizzare gli ammodernamenti previsti dal Recovery fund e tutte le riforme connaturate agli obiettivi di sviluppo del nostro paese.

Una prospettiva che impone una idea chiara di quale modello di società e di sviluppo tenere come punto di riferimento.

In questa prevedibile evoluzione molta parte la gioca il sistema elettorale che questo governo varerà.

Se come pare,dagli intendimenti che stanno emergendo, si dovesse andare verso un sistema maggioritario, non ci sarà molto spazio per i partiti di centro e per politiche di equilibrata mediazione.

Costretti a schierarsi si troverebbero alla mercè degli estremi che fino a questo momento hanno avuto il vento in poppa,soprattutto a destra.

Insomma conterà molto la tattica politica che ciascuno di questi partiti metterà in campo nel tavolo della trattativa sulla legge elettorale, ove anche gli assestamenti che stanno cercando di avvalorare possono,ancora una volta,avere una valenza evanescente in funzione di posizionamenti mirati ad una nuova polarizzazione non più nella identità di ciascuna forza ma come amalgama di una sintesi programmatica di destra e di sinistra.

In questo caso l’estremizzazione la farà da padrona e la funzione cruciale delle forze di centro si perderà inevitabilmente.

08.03.2021

 Luigi Rapisarda

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