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di Domenico Bilotti

Un bell’anacronismo circonda il mondo del cantautorato italiano. Come si può pensare, in tempi in cui le macchine si sono impossessate delle partiture e la musica dal vivo è un rischioso miraggio, di registrare un disco di suoni ben cesellati e parole pesate, pensanti e pensate, con una pattuglia di musicisti rodata e valida, quanto curiosa e plurigenere?

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Salvatore Gullì, avvocato nella vita, cultore della teoresi per formazione e musico poeta per passione, non deve essersi proprio posto il problema; anzi, le canzoni del suo nuovo “Rotta del Tempo” hanno tutte una certa urgenza, come se si fossero annoiate di star negli scaffali del lockdown e volessero mettersi a disposizione dell’orecchio di tutti per raccontare i nostri giorni con lirismo, sofferenza, slanci e una erudizione mai costruita a tavolino, ma sempre viva e naturale.

Musicalmente, il lavoro ha echi ethno, blues, persino jazz e rock mediterraneo. È il lavoro di un’equipe affiatata, sempre in cerca delle soluzioni migliori (citiamo a memoria, nella batteria dei collaboratori del disco, le eleganti invenzioni della Rizzello, i fiati di Riccelli, l’impasto sonico dietro la sei corde di Vescio). Del resto, Gullì è compositore delle parole e delle musiche e ha evidentemente scelto gli attori migliori del film che aveva in testa, da regista dello studio e speriamo presto del palco.

Nei testi, il disco è una riuscita interrogazione sul presente, dalla quale non si riesce a prescindere per trovare ancoraggi a dinamiche universali, orgogliosamente senza tempo. Molti gli omaggi “colti”, che ci rimandano a quell’arte di far canzoni di un Gianmaria Testa, di un Giorgio Conte, di un Luigi Grechi: c’è la delicata “Come Charlot” per l’attore Massimo Troisi, maschera perfetta di sensibilità meridionale; c’è “Canti di Rino”, struggente omaggio a Rino Gaetano che non inforca mai i piagnistei postumi; c’è “Lucrezia”, contro-lettura palpitante del personaggio di Lucrezia Borgia. Ed è però con l’intimismo della vena autoriale che si raggiungono le vette liriche, peraltro ben amalgamate alla voce schietta di Gullì, contraddistinta da aperture soffiate e da più robuste insistenze che preludono ulteriormente al ritorno alle scene: intense come poche “Mia Anima”, “Dissenso” e “Brigante”. Ci portano dal personale al politico e dal politico al personale con la rapidità di testi e temi molto azzeccati: il dialogo con le proprie inquietudini, la livorosa insoddisfazione verso il senso comune, la ribalda provocazione contro ogni sistematica sopraffazione di potere. “Rotta del tempo” è un gran lavoro, che segna bene questo inizio anno: come tutti i “nuovi”, sempre alle prese coi problemi vecchi eppure pronti a guardare un po’ il domani nella magia eterna delle sette note una in fila all’altra.

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