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Hanno amato e continuano ad amare i tedeschi la letteratura italiana, Dante Alighieri, Sommo Poeta universale. Basti citare il critico e filologo tedesco Erich Auerbach (Berlino1892 – Wallingford 1957) con la sua critica filologica e filosofica sulla Divina Commedia, con quel giudizio su Dante che aveva, a suo avviso, “scoperto il mondo”. E a chi potrebbe obiettare la lontananza di Auerbach dal nostro tempo diciamo ciò che il critico stesso ribadiva, cioè che la interpretazione e valutazione di una qualsiasi opera letteraria e artistica non può escludere dall’analisi del tempo in cui viene prodotta, come dall’analisi di quanto va, a livello di creatività e di estetica, al di là dello stesso tempo per divenire patrimonio universale.                                          Diciamo che per fare ciò bisogna tutelarsi con una formazione, oltre che letteraria, anche filosofica e storica, vale a dire addentrarsi in quanto viene oggi trascurato o colto superficialmente ricadendo in giudizi o addirittura in condanne frutto solo della superficialità che si fa presunzione.                                                                                     E la nostra società è caratterizzata inoltre dalla ricerca di una notorietà a poco prezzo, vale a dire condannando anche chi non si dovrebbe avere l’ardire neppure di menzionare se non dopo valida formazione, prodotta solo da studi approfonditi.                                                                                                                        Lo scorso 25 marzo 2021 si è festeggiato il “Dantedì”, quest’anno a 700 anni dalla morte del Poeta. Una data che, secondo gli studiosi, dovrebbe celebrare l’inizio del suo viaggio ultraterreno, accompagnato da Virgilio. Ovunque in Italia, ma anche altrove, si è festeggiato il Sommo Poeta, come la chiusura dettata dal Covid 19 ha permesso, anche al Quirinale dove il Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella ha ascoltato Roberto Benigni recitare il canto XXV dell’Inferno.                                                           Intanto sul giornale tedesco “Frankfurter Rundschan” compariva un articolo di uno per noi sconosciuto giornalista, definito anche critico, che preferiamo non menzionare per non far crescere la notorietà con quell’articolo acquisita.                                  Come preferiamo non menzionare il suo difensore italiano, un autore che, scrivendo ciò che già era noto, nulla ha ridimensionato, facendo lievitare solo il proprio conto in banca e inculcando maggiore timore col dare potenza a certe organizzazioni.                                                                                                                                Molta parte ha, in quel che l’articolista tedesco scrive, la traduzione, e Umberto Eco giustamente osservava che tradurre dovrebbe essere “dire la stessa cosa in un’altra lingua”. Dobbiamo aggiungere che lo stesso linguaggio di chi scrive è già una traduzione del suo mondo non verbale. A maggior ragione va quindi accolto ciò che Gottfried Wilhelm Leibniz asseriva, che “nessuna lingua potrebbe esprimere le parole di un’altra lingua con la medesima forza”.                                                                                          Dante “arrivista e plagiatore?… L’Italia ha poco da festeggiare?” Altro ancora.      Fuoco di stampa, lo ridimensiona qualcuno che sostiene di conoscere il tedesco, poi qualche altro su Facebook annuncia che non c’è nessun attacco al Poeta Sommo, che “si tratta di un noioso articolo che parte dalla poesia provenzale per poi parlare della “Divina Commedia” e arrivare a Shakespeare… Si cita un articolo dell’arabista Miguel Asin Palacios, secondo il quale Dante conosceva la storia dell’ascesa in cielo di Maometto e si sarebbe ispirato. Arrivista? Si parla di spirito agonistico invitando a non sottovalutare Dante, non certo per attaccarlo”.                                                                               Ma il tedesco Eike Schmidt, storico dell’arte e direttore delle Gallerie degli Uffizi di Firenze, pone in rilievo “la completa ignoranza dell’argomento da parte dell’articolista” che “non rappresenta nemmeno una corrente di pensiero”.                                                                              Siamo quasi digiuni di lingua tedesca, non possiamo dire da che parte stia la verità o, per meglio dire, la mezza verità, dato che dire che la verità trionfa a tutto tondo non è, come giustamente considerava Anton Cechov, una verità.                                                                      Comunque, dal discorso del giornalista tedesco su Dante, così come lo cogliamo sia da accusatori sia da difensori, emergono semplificazione e travisamenti per cui col Sommo Poeta, insieme al Ministro Dario Franceschini ripetiamo: “Non ragioniam di lor…”.                                                                                                                              Abbiamo già dato troppo rilievo.

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Antonietta Benagiano

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