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L’analisi di Luigi Balestra

Presidente Osservatorio Riparte l’Italia

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L’immagine di Ursula von der Leyen rimasta in piedi, in evidente situazione di imbarazzo, al cospetto di due uomini i quali, senza alcun indugio, si sono accomodati sulle poltrone disponibili, è di una tale eloquenza da lasciare sgomenti.

Evidenzia, a mio modo di vedere, alcuni profili sui quali è bene soffermarsi:

le pur lodevoli iniziative, anche di matrice legislativa, volte a introdurre le quote rosa, sono, da sole, inidonee a costruire una società in cui le distinzioni (a voler citare il testo costituzionale: di sesso, di razza, di lingua, di religioni, di opinioni, politiche, di condizioni personali e sociali) siano vissute come fattore di arricchimento e di crescita collettiva. Esse sono insufficiente a favorire il progresso di una società in cui l’unità e la coesione traggono linfa vitale dalle diversità, dal pluralismo, da visioni aperte, non assolutizzanti;

è stata obliterata, con totale disinvoltura, una regola cardine del galateo.

Sul primo profilo. Il riequilibrio numerico della componente femminile – in tutti i consessi, le istituzioni, gli organi, che si collocano, in ragione delle decisioni da assumere, in posizione apicale nell’organizzazione economica, sociale, amministrativa e culturale di un Paese – è solo il punto di avvio dell’itinerario che si proponga di colmare il gender gap, non certo il punto di arrivo. Questo significa che non ci si può trincerare, né arrestare, al cospetto di regole formali che pur intendano far fronte al problema. Più in generale, non ci si può fermare al cospetto dell’ineludibile necessità di garantire pari opportunità di crescita professionale.

 

È certamente meritorio che, nella drammatica e attuale contingenza, la prospettiva di ripartenza, tracciata a livello europeo, sia diretta a costruire l’organizzazione socioeconomica del futuro alla stregua di modalità che risultino compatibili con l’esigenza di promozione del benessere psicofisico degli individui, all’uopo facendo perno sui fondamentali canoni dell’equità, della sostenibilità, del superamento delle diseguaglianze, siano esse di genere, generazionali o territoriali. Non a caso le donne rappresentano una delle tre priorità trasversali da attuare nell’àmbito delle tre priorità concordate a livello europeo: digitalizzazione e innovazione, transizione ecologica e inclusione sociale.

 

Non meno apprezzabile appare la presa di posizione dell’Onu in occasione della giornata internazionale delle donne nelle scienze, celebrata l’11 febbraio: le scienze e l’uguaglianza di genere costituiscono tappe ineludibili perché si possa assistere a un reale sviluppo a livello internazionale, ivi compresa l’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile.

 

Ragion per cui, ben vengano anche tutti gli invocati provvedimenti concretamente in grado di porre le donne in una posizione di reale competitività (introducendo misure family-friendly,combattendo le disparità salariali).

 

Ma ciò non basta. C’è bisogno di innescare un forte movimento culturale che sappia far chiaramente percepire la forte riprovazione cui sono destinati tutti coloro i quali pretendano di affermare – ancor più quando in modo abile e sotterraneo – ignominiose supremazie di genere. Occorre esser pronti a stigmatizzare chiunque, anziché adoperarsi per abbattere gli steccati, utilizzi le distinzioni – le quali costituiscono un tratto innegabile di ogni società, ancor più di quella contemporanea, fagocitata da un’inarrestabile complessità – alla stregua di un grimaldello per affermare posizioni prevaricatrici.

 

Gli interventi legislativi, aventi chiara connotazione promozionale, possono svolgere un’encomiabile funzione, ma occorre che siano sostenuti da un dibattito intenso e da un movimento di pensiero forte. È fondamentale favorire la sedimentazione di idee che sappiano tradurre in valori condivisi ciò che dovrebbe essere scontato ma che, alla luce dell’esperienza reale, ancora non lo è. È responsabilità di tutti divenire lodevoli protagonisti di un siffatto percorso.

 

Sul secondo profilo. Il galateo esprime le regole di buon comportamento, le quali si fanno risalire alla pubblicazione di un trattato, avvenuta nel sedicesimo secolo, sui costumi e sulle buone usanze. Il costume beninteso si evolve, sicché i precetti dell’agire corretto mutano col tempo. Non possono però sussistere dubbi circa il fatto che il trascorrere del tempo non sia in alcun modo in grado di offuscare le regole fondamentali del buon vivere, le quali non abbisognano di essere declamate, tanto meno in un testo scritto, poiché sono radicate in ogni forma di sana e pacifica convivenza civile.

 

Più in generale, sarebbe bene che tutti tenessero bene a mente che il fluire del tempo, non solo non ha appannato, ma ha esaltato l’esigenza di rispettare gli individui, anche attraverso l’osservanza dei doveri di ospitalità.

 

Ursula von der Leyen, agli occhi di coloro che poggiano la propria sensibilità su quest’ordine di idee, esce vittoriosa da quell’indecoroso «balletto delle poltrone».

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