L’imprenditore aquilano tra telecomunicazioni, ricettività di pregio e produzione di birre eccellenti
di Goffredo Palmerini
L’AQUILA – L’ho conosciuto giovane studente quando frequentava il bar della stazione ferroviaria dell’Aquila, allora gestito dai mitici coniugi Michelina e Giacomino De Amicis. Maurizio Cirillo frequentava il bar non certo per bighellonare, ma per incontrare Anna Grazia, la bella figlia dei gestori con la quale era fidanzato, poi diventata la sua compagna di vita. Dopo, quando finì gli studi universitari e cominciò a lavorare, lo persi di vista. Intanto Maurizio girava l’Italia, dirigente in grandi aziende di telecomunicazioni, poi manager in Brasile dove pure avviava sue attività imprenditoriali, poi in Africa, in Angola, infine il rientro in Italia, dove ora dirige un’azienda di protesi ortodontiche. Ma L’Aquila, la sua città, è sempre nel suo cuore, anche se la vita è divisa tra Italia e Brasile, laddove nel grande paese sudamericano continua a tenere attività imprenditoriali. Una di queste è nel settore della produzione di birre artigianali, nel quale ormai ha raggiunto l’apice dell’eccellenza.
Qualche settimana fa, infatti, la notizia è rimbalzata direttamente da Rio de Janeiro, in un articolo uscito sulla Gazzetta italo brasiliana, rivista diretta da Giuseppe Arnò, avvocato d’origine calabrese anche editore della testata, figura di spicco nella comunità italiana e presidente dell’ASIB, l’Associazione Stampa Italiana in Brasile. Questa in breve la notizia: il birrificio “Quadra 66”, con la sua birra nello stile “Special Bitter o Best Bitter, trionfa al recente concorso nazionale “Brasileiro de Cervejas”, dedicato al mondo delle birre artigianali, al quale hanno partecipato diverse migliaia di etichette di circa 500 produttori. “Quadra 66” è stata eletta migliore birra dell’anno nel corso della nona edizione del concorso, vincendo la rigorosa selezione secondo i ferrei crismi internazionali dell’eccellenza.
Parla aquilano questo risultato. Il birrificio, che occupa una superficie coperta di 1000 mq con una produzione di circa 400mila litri annui, si trova nella città di Sâo Luis, capitale dello stato del Maranhão nel nord del Brasile. Dell’impianto produttivo è appunto titolare l’eclettico imprenditore aquilano Maurizio Cirillo, manager che in Brasile ha lavorato per molti anni con grandi società di telefonia, ma che ha saputo espandere su altri campi le sue attività, compreso quello della produzione artigianale di birra nel quale ha toccato l’eccellenza. Il marchio “Quadra 66” è cifra di qualità, grazie ad una realtà artigianale che seleziona il meglio delle materie prime per assicurare al prodotto la freschezza e la sapidità di un gusto eccellente. Il birrificio ha saputo cogliere le migliori caratteristiche della tradizione brassicola, nello stesso tempo adottando le più avanzate tecnologie nella produzione. Cosicché la birra prodotta si presenta dorata, con schiuma abbondante, compatta e persistente, nitida e nettante al gusto. Caratteristiche organolettiche davvero eccezionali e la giuria non ha avuto dubbi nel dichiarare la “strong bitter” della Quadra 66 come migliore birra dell’anno nello stile Special Bitter.
Maurizio Cirillo è un imprenditore di talento che riesce a coniugare le sue attività su due e talvolta tre continenti. E’ una di quelle persone poliedriche, creative e appassionate del proprio lavoro, il cui impegno si carica di ulteriori significati e valori che si richiamano all’orgoglio delle radici e dell’italianità. In Brasile si è distinto per la sua qualificata attività manageriale, ma anche con numerose iniziative in favore della comunità italiana residente nel grande Paese sudamericano. Per questo è stato insignito “Personaggio dell’Anno 2017”, in una cerimonia tenutasi al Comune dell’Aquila nell’ottobre 2018. Il riconoscimento premia gli italiani distintisi in Brasile nel campo della cultura, dell’imprenditoria, della solidarietà. Di solito l’evento si tiene a Roma, all’Ambasciata del Brasile in piazza Navona. Quell’anno si tenne a L’Aquila, in omaggio ai natali del dr. Cirillo. Giuseppe Arnò, direttore della Gazzetta italo brasiliana, figura di spicco della comunità italiana e presidente dell’Associazione Stampa Italiana in Brasile, gli consegnò la Targa d’argento con questa motivazione:
Attestato di Benemerenza a
MAURIZIO CIRILLO
Eletto da una giuria indipendente miglior Personaggio dell’Anno 2017, nella categoria “Social Work”, per le importanti iniziative svolte a favore della Comunità italiana in Brasile.
Portando il saluto della Municipalità l’allora vicesindaco dell’Aquila Guido Quintino Liris, ora assessore in Regione Abruzzo, così tra l’altro annotò: “[…] Dobbiamo gratitudine a Maurizio Cirillo, dirigente di valore in grandi società di telecomunicazioni in Italia, in Brasile e in Angola, ed imprenditore nella nostra città e all’estero. Con il suo talento egli ha reso e rende onore a L’Aquila, la sua città. Sono dunque fiero, a nome dell’amministrazione comunale, di poter esprimere a Maurizio Cirillo l’orgoglio della città e la soddisfazione per il riconoscimento che gli viene conferito”.
Maurizio Cirillo è nato a L’Aquila il 22 aprile 1959. Ha studiato nella città natale fino alla maturità, poi all’Università di Teramo dove si è laureato in Economia. Altri studi specialistici ha seguito a Milano e corsi superiori in Italia e all’estero. Entrato fresco di laurea nella Telecom, ha svolto ruoli direttivi dal 1982 al ‘92, prima a L’Aquila poi a Pescara. Ha quindi lavorato a Roma presso la direzione generale Telecom e in TIM, a Torino, come direttore vendite del Nord Ovest. Successivamente, a Roma, è stato direttore di HQ Tim. Trasferitosi nel 2001 in Brasile, ha svolto attività manageriale a Curitiba come direttore commerciale della TIM-Sul. Per due anni è stato Presidente start up della TIM nel Nord Brasile e a Rio de Janeiro. Dal 2009 al 2014 ha infine diretto il settore commerciale di Timbrasile e Intelig Brasile, grandi società di telecomunicazioni di quel Paese. Dal 2016 in Angola, a Luanda, è stato direttore commerciale di Movicel. Dall’ottobre del 2018 è direttore generale di Wilocs, primaria impresa italiana per la produzione di protesi ortodontiche. Approfitto dell’amicizia e della disponibilità di Maurizio Cirillo per una raccogliere da lui un’intervista, utile a raccontare l’esperienza fatta all’estero.
Maurizio, puoi dare ai lettori alcune impressioni sulla tua esperienza di manager in Brasile?
Difficile avere una sola impressione del Brasile, in quanto il paese vastissimo ha diverse culture, differenti approcci al lavoro e differenti sensibilità all’approccio professionale. Il primo arrivo in Brasile (2001) è stato a Curitiba, dove mi era stato assegnato l’incarico di Direttore operativo di TIM SUL (Impresa di Telefonia Mobile Brasiliana con licenza per operare nel sud del Brasile negli stati del Paranà, Santa Caterina e Rio Grande do Sul) di cui TIM Italia possedeva una partecipazione importante. Curitiba era, ed è anche oggi, una città con una forte concentrazione di industrie di automotive con marchi importanti, tra cui Renault, Wolkswagen, New Holland. Quindi, una città con cultura europea, molto organizzata, con PIL elevato e tecnologicamente avanzata. Ricordo all’epoca che la città disponeva già di un sistema di fermate autobus completamente automatizzato e informatizzato, difficile oggi da trovare in molti dei nostri capoluoghi. Per chi come me veniva da una città a cultura FIAT come Torino, dove ricoprivo il ruolo di direttore vendite TIM per Piemonte-Liguria-Valle d’Aosta, il gap culturale e professionale era abbastanza contenuto, se non la sfida della lingua. Ricordo che l’Amministratore delegato dell’epoca, Alvaro de Morais, alla mia prima riunione, disse che nonostante fosse un’azienda “italiana”, dove tutti erano in grado di parlare italiano ed inglese, tutte le riunioni si sarebbero svolte in Brasiliano, in quanto eravamo in Brasile. Cosi i primi mesi non dormivo la notte per ripassare le riunioni del giorno ed evitare di perdermi qualcosa. Ciò evidenzia che nonostante l’ammirazione che hanno verso altri paesi, tra cui l’Italia, sono forti della loro nazionalità. Se fosse stato da noi avremmo detto che sarebbe stato politicamente “scorretto”, mentre altre aziende, come la telefonica VIVO legata alla Telefonica spagnola, aveva lo spagnolo come lingua ufficiale al proprio interno.
Quasi 3 anni dopo la TIM m’inviò a fare lo startup del GSM nel nord del Brasile. L’area di competenza andava dal Maranhão all’Amazzonia, a Macapa e Boa Vista. Confinava con Perù, Colombia, Guyana… Territori tra loro distanti quasi 3 ore d’aereo, fusi orari differenti, stagioni invertite rispetto al resto del Brasile, in quanto sopra l’equatore, culture totalmente differenti tra loro ed il resto del Brasile. Mentre la famiglia, che sempre mi ha appoggiato e supportato nel mio percorso professionale, era rimasta a Curitiba, dove tornavo nei fine settimana, circa 6 ore di volo (per avere idea delle distanze). Integrare questa realtà tra loro ed alla TIM Brasile nazionale è stata la sfida più importante. Qui è venuta fuori la flessibilità e adattabilità che contraddistingue noi italiani quando siamo espatriati. Una capacità di adattamento che spesso non immaginiamo di avere, ma che al momento giusto viene fuori. Le persone del nord, contrariamente agli stereotipi, lavorano molto, hanno voglia di apprendere, sono oneste e molto legate al lavoro. Ma anche realtà diverse. Ricordo una domenica che il responsabile del negozio di Marabà (nel sud dello stato del Parà) mi chiamò per dirmi che un cliente voleva acquistare un Motorola startac, carissimo, e che voleva pagare con pepite d’oro, con tutte le certificazioni del caso. Sì, perché in quei posti ci sono molte miniere d’oro e l’oro è anche una loro moneta di scambio. Dopo un’esperienza di poco più di un anno decisero di assegnarmi l’area GSM degli stati centrali del Brasile (Rio de Janeiro/Espirito Santo) con sede a Rio de Janeiro. Nuova città, nuovo “paese” direi. Rio è una città di una bellezza “mozzafiato”, con una natura esplosiva di energia e bellezza, a volte in competizione con la cultura d’impresa dei propri funzionari. Modelli culturali completamente diversi fino a quelli vissuti ad allora.
Anche qui il nostro spirito italiano mi ha permesso di creare relazioni forti sia all’interno dell’azienda che con la comunità locale brasiliana ed italiana. Qui ho avuto l’opportunità di conoscere ed apprezzare il mio carissimo e fraterno amico Giuseppe Arnò, un avvocato italiano di successo che innamoratosi del Brasile ha lasciato l’Italia per vivere e lavorare nella città carioca. In tutta onestà anche io sono rimasto innamorato di Rio, una città che nonostante le sue contraddizioni ti affascina e ti prende nell’anima. Non solo io, ma anche la mia famiglia che, dopo il terremoto del 2009, mi ha raggiunto. Mia figlia Michela si è laureata in Brasile, prendendo l’abilitazione come avvocato tributarista. Oggi è in Polonia, a Cracovia, presso un’importante multinazionale, e mi dice sempre: “Io sono uscita da Rio de Janeiro, ma Rio non è uscita da me”. La saudade è grande, ma avendo comprato un appartamento nel cuore di Ipanema, quando è possibile facciamo in modo di tornare a Rio. Quando mi hanno assegnato la responsabilità di seguire tutto il Brasile ho sempre cercato di essere continuamente presente nelle diverse realtà territoriali per meglio comprendere ed adattare le nostre politiche commerciali e le nostre pubblicità alle loro specificità locali.
Sì, perché, come detto, il Brasile ha una tale diversità che non può essere trattato e considerato come se fosse un unico stato. Per cui la grande lezione che mi sono portato dietro come manager è stata quella di imparare a “definire centralmente ma realizzare localmente”, ossia ascoltare molto, decidere anche insieme a chi deve poi mettere in campo le decisioni prese. Un modo di lavorare diverso, se non sconosciuto, al modo in cui si lavora in Italia, ancor più se le imprese hanno dimensioni medio/piccole. Questo modello di lavoro “integrato” è però risultato inizialmente meno efficace nel periodo in cui ho lavorato in Angola, in quanto la cultura locale, nonostante la voglia di apprendere delle persone, è molto volta all’esecuzione e meno sviluppata nella partecipazione al processo decisionale. Ciò ha portato ad un maggiore sforzo iniziale per vincere l’inerzia iniziale. Anche qui va una lesson learned: la forma di collaborare con le organizzazioni deve tener conto non solo delle differenze locali ma anche delle culture di partenza. Facile da dirsi, lo abbiamo ascoltato tante volte, ma metterla in campo è una vera sfida, con se stessi prima di tutto.
Quali iniziative imprenditoriali, oltre l’azienda Quadra 66, hai avviato in quel grande Paese sudamericano?
Nel mio primo periodo brasiliano con alcuni amici di San Paolo decidemmo di aprire una Scuola di preparazione agli esami di ammissione all’università, (c,d, prevestibular) che stanno prendendo piede anche da noi, per quanto attiene la preparazione ad università a numero chiuso. La sede era in Campinas (nello stato di San Paolo), città di oltre un milione di abitanti con altissima di concentrazione di università d’eccellenza. Quindi una scelta, pensata per attingere un pubblico con buona dimensione economica e alla ricerca di università d’eccellenza. Il risultato fu ottimo, in quanto grazie all’elevato indice di studenti che erano ammessi, incrementammo i corsi preparatori. Successivamente ci siamo uniti ad un gruppo imprenditoriale locale per aumentare il numero di sedi. Ad oggi la Quality riveste un ruolo di primo piano tra le scuole di preparazione agli esami. Nel 2017 insieme alla mia collega decidemmo di valorizzare la passione per la birra d’eccellenza ed investire nell’apertura di un birrificio artigianale (Quadra 66) nel nord del paese. Area questa caratterizzata da elevati trend di crescita nei settori produttivi e turistici. La scelta del luogo cadde su São Luis, città della mia socia, baricentrica per tutta l’area di interesse.
Tra le altre iniziative intraprese posso citarti:
1. L’apertura d’un ristorante a Rio de Janeiro con un amico aquilano, noto chef della città. Non il solito bello, elegante ristorante italiano in location famose, ma un locale situato nel centro business della città, dove pranzare con qualità e velocità, rivolto alle centinaia di migliaia di persone che lavorano nel centro della città. Una ristorazione italiana d’eccellenza servita in modo smart ad pubblico, sempre crescente, che preferisce una scelta “italiana” ai tanti street food o buffet che caratterizzano la ristorazione del centro città. Problemi personali hanno fatto fare un passo indietro al mio amico, ma due anni dopo l’idea è stata realizzata da una famiglia sarda che ad oggi ha all’attivo tre ristoranti di successo nel centro economico di Rio de Janeiro.
2. L’apertura di una “Pousada” sul mare, ossia un piccolo hotel di charme con una decina di suite nel nord est del Brasile (Maceio, stato di Alagoas) insieme ad un amico della nostra costa teramana.
3. Un progetto di interscambio culturale “cinematografico” insieme ad un amico ed importante imprenditore aquilano, attivo anche nel settore della produzione cinematografica, con un noto regista italiano che voleva fare un film sul passaggio della sua famiglia nel Rio Grande do Sul, lo stato brasiliano con la maggiore percentuale di persone di origine italiana rispetto alla popolazione.
In Brasile si stimano oltre 25 milioni d’oriundi, San Paolo è la città che nell’area metropolitana conta quasi 7 milioni di italiani. Quale ruolo hanno gli italiani nel Paese e quale, secondo la tua diretta osservazione, l’influenza culturale apportata dalla nostra comunità?
Numeri da paura, come dire che in Brasile vive una popolazione quasi metà dell’Italia. In Brasile dire Italia significa dire eccellenza, eleganza, qualità. I migliori hotel e ristoranti di San Paolo, e non solo, sono di origine italiana. Nel sud del paese l’italianità è cresciuta anche in altri settori come quello della produzione e delle vinicole. Ho trovato imprenditori di successo di origine abruzzese e aquilana anche nelle città minori. I manager italiani delle poche multinazionali italiane si sono sempre distinti nel panorama brasiliano, sia per i successi raggiunti che per le iniziative volte al sociale, a conferma del nostro italianissimo DNA che penso trovi origine nel nostro cattolicesimo sociale. Ovunque gli italiani si sono fatti apprezzare in tutti i settori delle attività economiche e della vita sociale. Anche se San Paolo ha una grande quantità di persone il sud del paese, in particolare Rio Grande do Sul, è il posto dove la maggior parte della popolazione ha origini italiane. Vie, quartieri italiani, dialetto veneto, forte cultura enologica e di ospitalità da anni plasmano questa regione con cultura italiana secolare. Complice la globalizzazione, i vini prodotti da queste aziende hanno raggiunto livelli di eccellenza che nulla hanno da invidiare ai nostri produttori italiani. Non solo, ma in questa zona è molto cresciuta la produzione del vino Malbec, fatto con l’omonimo vitigno di origine veneta, che da noi è quasi scomparso. Nel nord del Paese abbiamo delle eccellenze nell’ambito delle costruzioni edili, anche da parte di nostri concittadini. Ossia in tutto il Brasile la nostra comunità ha generato valore, e continua a generarne, attraverso lo sviluppo di attività economiche, lavorando e producendo eccellenze che sono un riferimento non solo per il Brasile, ma per tutta l’America latina.
Quali altre osservazioni, operando in tre continenti – Sud America, Africa ed Europa -, puoi esprimere sull’emigrazione italiana?
Sicuramente la grande capacità di adattamento ci contraddistingue, penso sia il nostro valore/virtù fondamentale. Non è un luogo comune. Nei paesi che ho frequentato tutti gli italiani sono riusciti ad inserirsi, adattandosi, innovando e realizzando con eccellenza. Forse anni di emigrazione ci hanno formato. Contrariamente, invece, ho notato una minor facilità da parte di altre popolazioni, e qui prendo a riferimento i brasiliani nell’adattarsi all’Angola, nonostante accomunati dalla stessa lingua, cosi come degli angolani in Brasile, questo senza considerare la loro adattabilità in Italia, anche per l’effetto linguistico.
Conosco il tuo amore per L’Aquila, la nostra città, dove hai deciso di investire in ricettività di pregio proprio come risposta positiva alla tragedia del terremoto. Hai ulteriori progetti in città o nel territorio aquilano?
Ritengo che il nostro territorio possa offrire grandi opportunità. Sto pensando non solo a quelle turistiche, ma anche a quelle offerte dalla produzione di prodotti locali d’eccellenza. Un esempio tra molti la produzione dello zafferano che, nonostante la crescita della domanda a livello italiano e mondiale, la nostra produzione, considerata un’eccellenza mondiale, sta quasi scomparendo. Purtroppo le opportunità offerte dal nostro territorio non trovano un adeguato supporto allo sviluppo da parte delle amministrazioni locali, rendendo così poco “appetibile” investire da parte di privati.
Quale futuro speri per la nostra città, anche in ragione della tua esperienza, in Italia e all’estero, di dirigente di grandi aziende e imprenditore? Quale indicazione ti sentiresti di dare a chi è chiamato a governare i difficili anni della rinascita?
Su questo punto ci sarebbe da discutere a lungo, ma alcuni punti che mi saltano all’occhio sono riconducibili innanzitutto alla eccessiva frammentazione degli attori, alla scarsa visione di quanto abbiamo e delle relative opportunità di come valorizzarlo e comunicarlo. Ti faccio un esempio. Mi colpì a Dubai una costruzione risalente ad inizio Novecento, valorizzata da iniziative di promozione pubbliche per attrarre turisti come fosse una Cappella Sistina. Nel nostro territorio abbiamo tesori inestimabili di storia, di aree, sentieri, percorsi ciclabili, di siti archeologici e musei che non si riesce a valorizzare al massimo. Pensa solo ai siti archeologici che abbiamo qui nell’aquilano che non sono neanche aperti ai turisti. Pensa a quanti eventi potrebbero ospitare queste meravigliose cornici storiche, invece nulla. Tra poco aprirà in città il MAXXI, una eccellenza tra i musei d’arte moderna con sedi a Roma, New York e L’Aquila. Ad oggi non c’è, o quanto meno non si conosce, alcun piano per valorizzarlo a vantaggio della nostra collettività. Le nostre amministrazioni cercano sempre di fare da sole, con pochissima integrazione tra loro e con la collettività e sempre senza risorse. Le nostre amministrazioni hanno risorse limitate e vincoli, per cui unire le forze ed andare verso un’unica direzione potrebbe essere un modo per aumentare l’efficacia del poco che abbiamo. Ossia dovremmo ricorrere alla nostra fantasia di italiani – che nel mondo tutti ci riconoscono – mettendola in campo per superare le tante rivalità, gli orientamenti politici differenti, insomma tutto ciò che frena la nostra capacità di valorizzare le nostre risorse. Più che dare indicazioni, essendo il tema ampio e complesso, sento di dover e poter mettere le mie esperienze e conoscenze a disposizione delle nostra amministrazione e della comunità aquilana.
Infine, un amarcord dei tuoi anni verdi, quando frequentavi la stazione ferroviaria dell’Aquila dove i genitori di tua moglie Anna, Giacomino e Michelina, gestivano il magnifico bar molto frequentato. In quegli anni noi ci siamo conosciuti. Quali ricordi hai, dopo 50 anni, di quel luogo della città e dell’umanità che lo frequentava?
All’epoca in cui ci siamo conosciuti la stazione dell’Aquila era un posto frequentatissimo non solo da studenti e pendolari, che giornalmente usavano il treno per i loro spostamenti, ma anche come punto d’incontro del personale che frequentava i punti d’interesse della zona. Tra questi l’Ufficio Tecnico Erariale, l’INAIL, il vicino tribunale, il mercato ortofrutticolo, il mattatoio, il Consorzio agrario, l’Italtel, naturalmente gli studenti della vicina scuola per geometri ed i residenti del quartiere di stesso di Villa Gioia. Infine il personale delle FS che, all’epoca, era consistente, in quanto gestiva tutta la tratta da Sulmona ad Antrodoco in un contesto che di automazioni digitali aveva ben poco. In questo crocevia di persone, di tutte le età, professioni e provenienze, Giacomino era il punto di riferimento nel suo bar della stazione, aperto 7 giorni a settimana dalle 5 di mattina alle 22. Sempre disponibile, con un sorriso per tutti, ma anche a richiamare quei teenager che spesso marinavano la scuola per bighellonare nel bar. Noi giovani all’epoca, quando ci incontravamo per andare a giocare a tennis nel vicino campo del dopolavoro ferroviario oppure per andare in giro con i nostri motorini, ci davamo appuntamento “da Giacomino”, o da “spazzolò” – per via dei suoi capelli perennemente a spazzola – come amichevolmente lo soprannominavano i ragazzi di Villa Gioia, che lo conoscevano da quando aveva il negozio di generi alimentari all’interno del quartiere. Ciò sottolinea e rinforza la centralità che aveva la sua figura rispetto al bar stesso. E lui di tutti i clienti conosceva le abitudini ed i gusti, anticipandoli sempre nelle loro richiesta. Il bar era quindi un luogo denso di persone, di allegria e di umanità, anche di fumo in certi giorni freddi, ma era sempre un luogo piacevole, familiare e sereno da frequentare. Totalmente all’opposto di come oggi è la stazione stessa e tutto l’ambiente circostante.
Per concludere, possiamo dire che la vita d’imprenditore di Maurizio Cirillo si divide ora essenzialmente tra Italia e Brasile. L’attività imprenditoriale all’Aquila, dopo le collaborazioni giovanili con le attività commerciali della famiglia (bar Stazione, bar Castello, ristorante Le Madie), si esplica attraverso lo splendido gioiello B&B Celestino V. Forte però per Maurizio è il desiderio di nuovi investimenti nel cuore della città che sta rinascendo dalle ferite del terremoto del 2009, ampliando a L’Aquila l’attività ricettiva di grande pregio, contando sul prezioso supporto della moglie Anna Grazia e sulla collaborazione – sebbene “da remoto” – della talentuosa figlia Michela. Assai interessanti ed utili per la comunità aquilana sono le sue annotazioni rilasciate da Maurizio nell’intervista, sincere e volte al bene comune della nostra città. Anche questa considerazione dà il senso del suo amore per L’Aquila.