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Necessità presente in ogni tempo (ci viene in mente Solone della Grecia antica) è il riformare, vale a dire l’impegno a trasformare per migliorare ogni cosa, sia il sistema politico, amministrativo e quindi legislativo, sia le strutture economiche, sociali e culturali, o anche la stessa Chiesa cattolica (problema avvertito sin dal sorgere) e i suoi ordini religiosi.                                                                                                                                   La necessità di migliorare investe tutto, sembra, però, essere di quelle zone della Terra dove è ammesso l’anelito a mutare per portare a una forma diversa che viene ritenuta migliore. Non sempre poi risulta tale, dato che può venire da intenzioni a vantaggio non di tutti ma del singolo o di pochi, non qualificabili quindi buone, e ciò sia se prodotte in autonomia da uno Stato, sia per seguire quanto voluto da interessi di potenze estere che, con il pretesto di migliorare, mettono in atto strategie a loro vantaggio. Può pertanto il riformare produrre peggioramenti, come la storia del cammino umano insegna, nella nostra era, a esempio, la storia degli ultimi decenni di alcune parti del globo, dove si è passati a situazioni non migliori. E’ speranza che possano essere passaggi per un progresso.                                                                                                                                Il mondo degli esseri viventi è nel XXI secolo ancor più in sofferenza, la stessa Terra, come tanti scienziati vanno da lungo tempo affermando con scarso ascolto, lo è per incuria e saccheggio, e ciò ancor prima della pandemia da Covid 19. Questa, però, ha maggiormente portato a galla nei vari Stati (non ci riferiamo soltanto al nostro) le falle, particolarmente quelle sanitarie e amministrative. Si possono, le falle di ogni specie, ridurre con leggi prudenti, giuste e integre, volte a realizzare per tutti salute, giustizia e pace, quindi con riforme dove non c’è verso il riformatore sospetto di interesse per sé e per i suoi accoliti. Riformare non è senza sofferenza perché il privilegio dovrà essere messo al bando, per cui quando si ha intenzione di riformare una nazione il lavoro è davvero duro. E, per porlo in atto, bisogna “in primis” riformare sé stessi. Cosa non semplice, come diceva anche lo zar Pietro il Grande che apertamente confessava di non essere in grado, nel mentre voleva riformare i sudditi, di riformare sé stesso.                                                                                                                      Riformare lo Stato negli aspetti che poco funzionano (prendiamo, a esempio, la nostra burocrazia) è quel che i vari Governi si affrettano, di volta in volta, a promettere come impegno prioritario, ma immancabilmente ciò che si dovrebbe per necessità riformare viene, dopo averlo tanto sbandierato, accantonato. Si abbracciano riforme che al momento non dovrebbero essere considerate prioritarie perché solo abbaglio di giustizia da cui si lascia prendere la massa dal pensiero massificato, in una società dove a scintillare è quel che al momento è sull’onda della fuffa mediatica, dove le cose sono solo “chrémata”, vale a dire ricchezze, i veri nemici dell’uomo e della vita.                                                                                                                             E aggiungiamo che la Chiesa cattolica è sulla stessa linea, il Vaticano con la pecunia anche a uso improprio e le lotte intestine, con la pedofilia e tanto altro insabbiato da tempo remoto. Una necessità riformare su vari fronti, avvertita da tempo lontano: basti pensare a Valdesi, Catari e Albigesi, allo stesso francescanesimo. Molti i Concili ecumenici sin dalla prima era, notissimo poi il Concilio di Trento (1545- 1562) e, nella seconda metà del Novecento, quello di Papa Roncalli, il Vaticano II (11 ottobre 1962 – 8 dicembre 1965), che diede priorità all’approccio pastorale perché le verità della fede potessero dialogare con la modernità. Critiche negative, anche per la riforma liturgica, da parte dei cattolici tradizionalisti, come l’arcivescovo francese Marcel Lefebvre (Tourcoing 1905- Martigny 1991).                                                                                                                                    Ma Hans Küng (Sursee, 19 marzo 1928 – Tubinga, 6 aprile2021), il presbitero e teologo svizzero negatore dell’infallibilità del Papa, scomparso da poco e vicino all’area cattolica tedesca (anche Papa Francesco sembra essere vicino), cui venne nel 1979 revocata la “missio canonica”, apprezzava il Concilio Vaticano II. Per il teologo Küng infatti la norma fondamentale della teologia cristiana “deve essere il Vangelo”, non “un’istituzione o una tradizione ecclesiastica o teologica”. Si augurava pertanto che l’allora nuovo Papa Karol Wojtyla fosse portato a recuperare “lo spirito di Giovanni XXIII e l’impulso riformistico”. Rimase poi deluso definendo Giovanni Paolo II un “missionario di vecchio stampo”, il Papa “più contraddittorio del secolo XX”, che “predica i diritti degli uomini all’esterno ma li ha negati all’interno, cioè ai vescovi, ai teologi e soprattutto alle donne”. Negativo pure il giudizio su Papa Ratzinger, compagno di studi con cui ebbe celebri dispute teologiche, perché, a suo avviso, “vede solo il mondo vaticano” ignorando i problemi dei fedeli.                                                                         Riformare sembra essere una necessità, e dovrebbe essere in primis del soggetto (è la riforma più difficile ma fondamentale perché possa avvenire il generale miglioramento), poi anche dello Stato, della Chiesa cattolica, come delle altre istituzioni religiose.Il Premier Mario Draghi, citando nel suo primo discorso Cavour, ha detto: “Le riforme compiute a tempo, invece di indebolire l’autorità, la rafforzano”. Citazione quanto mai opportuna, da tenere in conto.

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Antonietta Benagiano

 

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