Professor Tedeschini, partiamo dalla strettissima attualità. La Corte europea ha circoscritto il ricorso alle intercettazioni solo ai casi più gravi. E’ la fine di un abuso?
C’è molto di più rispetto a quello che lei mi dice. La Corte europea, ha stabilito, una volta per tutte, senza possibilità di diverse interpretazioni, che l’utilizzo delle intercettazioni deve essere autorizzato solo da un giudice e non dal pubblico ministero, che difende per sua natura i diritti dell’accusa. Sinora, nella stragrande maggioranza dei casi avveniva esattamente il contrario, con l’abusata scusa dell’urgenza.
L’abuso delle intercettazioni da parte dei pubblici ministeri è anche frutto di quel corto circuito malagiustizia-informazione che lei ha più volte denunciato senza mezzi termini.
Io penso che i grandi problemi della giustizia italiana, non solo di quella penale, derivino dal consolidamento di un pactum sceleris fra i mezzi di informazione e i magistrati, intesi come un potere dello Stato rappresentato soprattutto dal Csm. Un patto scellerato in base al quale, in cambio della fornitura, a richiesta, di scoop e notizie della più varia natura, la stampa nasconde le inefficienze e gli errori, spesso drammatici, di tutto il sistema giudiziario. Inefficienze che, per quanto riguarda il diritto penale, nascono soprattutto dalla confusione che si fa nell’ambito della magistratura tra pubblico ministero e giudice. E non c’è dubbio che la scelta della Corte europea di riservare al giudice l’autorizzazione all’uso delle intercettazioni, apra uno squarcio di luce e di aria pulita su una deriva barbarica. E’ stato, infatti finalmente chiarito che il pubblico ministero non è un giudice. E’ solo una parte del processo.
A proposito di corto circuito giustizia-informazione è di strettissima attualità anche lo scalpore per il processo calabrese “Rinascita Scott” contro alcune cosche della ndrangheta, celebrato, prima ancora di iniziare, su Rai Tre, nel programma Presadiretta.
Sul processo in corso non mi pronuncio. E’, però, inquietante che, altri non abbiano ritenuto di osservare altrettanto silenzio. In un processo contro trecento persone, molti imputati sono finiti in carcere e successivamente la maggioranza di loro è stata liberata, nel silenzio dei media, dalla Corte di Cassazione. Si sbattono i mostri in prima pagina. Poi si scopre che mostri non erano, ma è troppo tardi, perché per l’opinione pubblica restano per sempre i mostri che erano descritti sui titoli dei giornali. Questa consolidata barbarie riguarda non solo “Rinascita Scott”, ma un’infinità di altri processi. E’ di strettissima attualità anche il caso dei manager dell’Eni. Per anni, molti giornali hanno promosso le loro vendite sul cosiddetto scandalo della corruzione internazionale per le tangenti, che sarebbero state riscosse in Nigeria. Ora si è accertato, una volta per tutte, che quelle tangenti erano un’invenzione. Mi domando chi risarcirà le persone colpite e affondate a livello mediatico. Io non dico che la giustizia non debba fare il suo corso, ma la gogna mediatica, per di più preventiva, è una vergogna inaccettabile in un Paese civile. Tornando a Rinascita Scott, le pare ragionevole che un programma televisivo di grande ascolto dia quasi tutto lo spazio all’accusa e quasi nessuno alla difesa, contrabbandando le tesi dell’accusa come delle verità, senza ricordare che quelle verità devono essere ancora accertate nel processo. Con l’aggravante che l’evento mediatico in questione è stato celebrato da un’emittente che dovrebbe per sua natura svolgere un servizio pubblico. In un Paese civile avrebbero già mandato a casa i vertici della Rai. C’è stato, invece, un sostanziale silenzio generale, a partire dalla Commissione di Vigilanza, salvo qualche intervento spot che lascia il tempo che trova. E’ tutto un sistema incompatibile con le regole europee sulla tutela delle libertà fondamentali. Dobbiamo decidere, una volta per tutte, se noi nel processo ci crediamo o no. Se decidiamo di non crederci, basta abolirlo. Le verità dell’accusa non sono ancora la verità processuale. Oltretutto, una volta sbandierate sui giornali, creano un clima di legittima suspicione, perché tutti quelli chiamati a giudicare saranno stati nel frattempo condizionati da quello che hanno letto sui giornali. Lo squilibrio fra accusa e difesa viola palesemente l’articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.
Del rapporto perverso fra i pubblici ministeri, giornali e tv ha parlato anche Luca Palamara nel libro-intervista di Alessandro Sallusti, da tempo in testa a tutte le classifiche di vendite. Ha letto il libro?
Un testo di contenuto tecnico, che viene stampato in trecentocinquantamila copie, è diventato un contraltare alla grande stampa. Io vi leggo, innanzi tutto, la prova dell’’abbandono da parte del nostro sistema di quel fondamentale principio, secondo cui l’esercizio del potere implica sempre una responsabilità. Un principio di civiltà giuridica, che vale per tutti, meno che per i magistrati. Ci sono state molte indignate smentite, qualche querela, ma nulla di più. Il libro è servito a spiegare agli italiani quello che la stampa non aveva neppure accennato. Gli italiani hanno potuto capire che il sistema giudiziario ha tutti difetti di un sistema politico. Con una differenza non da poco. I politici, se esagerano, non vengono rieletti. I magistrati restano, invece, in ruolo.
La tanto invocata e mai realizzata riforma del Csm potrebbe essere utile?
Lo dicono tutti, anche quelli che vorrebbero mantenerla così come è. Sarebbe necessaria perché si potrebbe rompere il sistema delle correnti. Qualcuno dovrebbe spiegarmi come quel sistema sia compatibile con il principio della certezza del diritto. Come può un giudice dispensare serenamente giustizia se appartiene a questa o a quella corrente portatrice di interessi diversi da quelli delle altre?
Che cosa l’ha fatta più arrabbiare?
La stessa cosa. Da sempre. Non accetto che i cittadini siano in balia dei pubblici ministeri, e anche purtroppo dei Tribunali della Libertà, senza potersi in alcun modo difendere. Uno stato di soggezione, prostrazione e frustrazione, incompatibile con il sistema disegnato dalla Corte europea dei diritti dell’umo. Ma ci stiamo arrivando.
A che cosa stiamo arrivando?
A renderci finalmente conto, nonostante il contributo nullo della grande stampa, della necessità di riformare il nostro sistema per renderlo uguale a quello degli altri Paesi europei. Una delle condizioni, imposteci dall’Europa per l’accesso al Recovery Fund, è la riforma della giustizia. E, anche a questo proposito, la stampa omette di scrivere che l’Europa vuole una giustizia non solo efficiente, ma soprattutto “giusta”. La giustizia italiana non è una giustizia garantista. E’ sotto gli occhi di chi voglia vedere. Oltre che guardare.
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