di Francesco S. Amoroso
Il nostro Paese conta, per chi non lo sapesse, 4889 musei, 293 aree e parchi archeologici e oltre 800 chiese possedute dallo Stato attraverso il Fondo edifici di culto, queste ultime tutte di particolare interesse storico artistico: un immenso patrimonio quindi che ha come conseguenza la necessità di preservarlo, conservarlo, restaurarlo.
Recentemente è stata data notizia della scomparsa di Gianluigi Colalucci, che per i non addetti ai lavori, è stato uno dei più illustri restauratori del Novecento, la cui fama resta indissolubilmente legata al “restauro del secolo”, quello degli affreschi di Michelangelo nella Cappella Sistina, durato quasi quindici anni passati a rimuovere lo strato di sporco secolare costituito dal fumo delle candele di sego, cera e fuliggine che ne cancellavano la bellezza.
Colalucci si era diplomato in restauro, presso l’Istituto oggetto di questo articolo, nel 1953.
Nel 1979 venne nominato restauratore capo del Laboratorio Restauro Dipinti e Materiali Lignei dei Musei Vaticani.
È stato docente universitario in Europa, Stati Uniti, Australia e Giappone, e nel 1991 ha ricevuto la laurea honoris causa dalla New York University e nel 1995 dall’Università Politecnica di Valencia.
L’Istituto Centrale per il restauro venne fondato nel 1939 con il supporto del Ministro dell’Educazione Nazionale Giuseppe Bottai, su impulso di Giulio Carlo Argan storico e critico d’arte (Torino 1909 – Roma 1992) che fu Sindaco della Capitale dal 1976 al 1979 e Senatore dal 1983 al 1992, e diretto dai suoi inizi fino al 1959 da Cesare Brandi (Siena 1906 – Siena 1988) uno dei maggiori critici e storici dell’arte, scrittore nonché fondatore della teoria del restauro le cui basi teoriche e di metodo è possibile rileggere negli scritti che Brandi pubblicò sul bollettino dell’Istituto Centrale del restauro e successivamente raccolse in un’unica pubblicazione intitolata “Teoria del restauro”.
Brandi fu il primo che colse in tutta la sua portata teorica e metodologica la centralità e il nuovo significato delle attività di recupero e conservazione delle opere d’arte.
Insegnò nell’Università di Palermo e in quella di Roma; per due volte vinse il Premio Feltrinelli per la critica d’arte, e nel 1977 vinse il Premio Viareggio per la saggistica.
Accademico dei Lincei fu insignito della Medaglia d’oro per i benemeriti della Cultura nel 1960, e fu anche firma prestigiosa del Corriere della Sera.
L’Istituto fu inaugurato nel 1941 e il primo corso si tenne nel 1942.
È un organo tecnico del Ministero per i beni e le attività culturali specializzato nel campo del restauro e della conservazione delle opere d’arte e del patrimonio culturale.
Possiede un’autonomia scientifica, finanziaria, organizzativa e contabile.
Al suo interno opera la Scuola di Alta Formazione che si occupa dell’attività formativa dei futuri restauratori.
L’unicità di questo ente risiede nel fatto che in esso si svolgono contemporaneamente la ricerca, la formazione e l’attività sistematica e continua di restauro e sperimentazione.
Al suo interno sono presenti molteplici figure professionali: storici dell’arte, architetti, archeologi, fisici, esperti nei controlli ambientali, chimici, biologi, restauratori delle diverse tipologie di materiali costitutivi delle opere di interesse storico e culturale come: dipinti, tessuti, opere d’arte su carta, metalli, ceramiche, pietre, cuoio, legno che operano all’insegna della multidisciplinarietà e della interdisciplinarietà intese come fondamento di una corretta e precisa pratica del restauro.
L’attività odierna segue le indicazioni di Cesare Brandi: la conservazione preventiva, l’aggiornamento tecnologico e scientifico applicato alle opere d’arte, la realizzazione di importanti restauri tra i quali si annoverano: Assisi, il Cenacolo di Leonardo, la statua del Marc’Aurelio, i Guerrieri di Riace, le pitture murali di Tarquinia e Pompei, la Torre di Pisa.
Un aspetto rilevante dell’attività dell’Istituto è la realizzazione del sistema informativo territoriale della Carta del rischio del patrimonio monumentale, un gruppo di banche dati finalizzate alla mappatura della vulnerabilità del patrimonio, monumentale e archeologico, disseminato nelle città storiche e nel territorio nazionale italiano in relazione ai principali fenomeni di rischio naturale quali terremoti, frane, alluvioni, inquinamento e a quelli che possono essere causati dall’uomo come furti, e incendi.
Fine della Carta del rischio è la definizione di una politica programmata di interventi conservativi, di manutenzione e di restauro, che tenga conto delle risorse economiche disponibili in relazione alle necessità di prevenzione e di intervento nei musei, nelle chiese, nei palazzi storici e nelle aree archeologiche di cui il nostro Paese è ricco.
Si stima infatti che l’Italia concentri dal 60% al 75% di tutti i beni artistici esistenti al mondo.
Si devono all’Istituto importanti lavori su alcuni dei maggiori monumenti italiani, e supervisioni tecniche sui lavori di maggior difficoltà.
La sua consulenza è inoltre richiesta da molte nazioni straniere.
Dal novembre 2015, oltre alla sede di Roma, è attiva anche la nuova sede di Matera.
L’Istituto svolge inoltre programmi di formazione anche all’estero, in Cina, Egitto, Iraq, India, Afghanistan e Kosovo.
La sede storica di piazza San Francesco di Paola è stata abbandonata nel 2010.
L’ente è attualmente ospitato presso il complesso monumentale di San Michele a Ripa Grande.