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di Domenico Bilotti

Probabilmente non esistono una teoria politica e una teoria filosofica della critica letteraria. Esse tuttavia avvengono in prassi, in quella scrittura di scritture che si prende il gusto e il lusso della parola che riflette e che diventa oggetto di riflessione. È la Madonna che scioglie i nodi di cui parlava, in modo molto laico e per questo molto toccante, Adriano Sofri. Non possono non venire in mente suggestioni similari accostandosi al nuovo saggio di Antonina Nocera, per i tipi di Divergenze, “Metafisica del sottosuolo”. È un volume che riposa il suo peso: una scrittura molto breve, quasi al quarzo da quanto è pulita, che alla letteratura di secondo grado preferisce la meditazione introspettiva sui testi, con una posta in gioco di rara articolazione. La studiosa mette in rete di comunicazione due autori che non c’è abitudine a far risuonare insieme: Sciascia e Dostoevskij, ma lo fa secondo un percorso argomentativo che trova specifiche corrispondenze etiche ed estetiche.

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L’uno e l’altro in fondo squadernano da tavolozze diverse prismi che si echeggiano vicendevolmente. Sciascia è quello che trasforma l’inchiesta in un vettore sociale. Non solo l’inchiesta giudiziaria – così spesso percorsa con qualità nelle sue opere dal sapore noir mediterraneo – ma anche l’inchiesta archivistica, quella dei libri di critica storica e storiografica, di riflessione attualistica, di saggio e commento, di narrazione da decifrare. Ed è così fuori dall’opera e dall’operato di Dostoevskij la dimensione dell’inchiesta? Non è inchiesta l’interlocuzione del sé alle prese con lo sconfinato bivio che divide l’ingiusto verso un dirupo apparente e il giusto verso una gloria illusoria? Non è anche quel tracciato un percorso dialettico, di empatie, di istanze prese in carico, di narrazioni personali che simbolicamente somigliano ad azioni giurisdizionali?

E c’è Dostoevskij, appunto, il filosofo morale, quello che con tutta la sua autorevolezza un gigante della storia filosofica del diritto come Fassò rubricava a “irrazionalista giuridico”. È vero: in Dostoevskij la pratica deliberante non è concatenazione procedurale. E né è detto che il rovello di suggestioni giunga mai a un dispositivo, in un’opera incessante di significati aperti. Non è però ispezione di abissi smisurati anche l’enigmatico razionalismo sciasciano, che con la stessa penna aggredisce il sopruso e tiene a sé le miserie, le fatiche, chi le umiliazioni subisce e patisce?

Nel bel libro della Nocera, una veloce quanto cristallina confrontazione costante sul fil di pagina, i due mondi si trovano per come son sempre stati: ad unum. Due grandi voci di quel livello che danno veste stilisticamente perfetta quanto talora umbratile alla ragione del vinto, non per seguire un illuminismo meridiano o un misticismo vagamente apocalittico. Nossignore: per far del dono del pensiero in scritture una possibilità (fosse solo una contro un milione!) di liberazione integrale.

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