Sono passati più di otto mesi da quando, lo scorso 27 settembre, l’Azerbaigian in piena pandemia ha scatenato una guerra contro la piccola repubblica armena de facto del Nagorno Karabakh – Artsakh.
Quarantaquattro giorni di violenti attacchi militari con supporto logistico turco e aiuto di mercenari jihadisti provenienti dalla Siria, di bombardamenti a tappeto sulla popolazione costretta alla fuga.
Sei settimane drammatiche raccontate, da ultimo, anche da una nuova pubblicazione editoriale “Pallottole e petrolio” di Emanuele Aliprandi (disponibile su piattaforma Amazon).
Ma a preoccupare è ora soprattutto il dopo guerra. Il regime di Aliyev lungi dal voler cercare una soluzione pacifica al contenzioso (che con l’accordo di tregua del 9 novembre è stato solo interrotto) rafforza la politica di odio contro gli armeni.
Chiese e monumenti armeni che si trovano nei territori ora occupati dagli azeri vengono sistematicamente distrutti per cancellare ogni traccia del nemico: lo stesso dittatore ha dato pubblicamente ordine di rimuovere tutte le iscrizioni armene da ogni edificio civile o religioso. Le lastre dei cimiteri vengono usate per costruire strade, le provocazioni dei militari sia nel territorio conteso che lungo il confine con l’Armenia sono all’ordine del giorno.
Ma c’è di più. Non passa settimana senza che non vi sia una dichiarazione di minaccia contro gli armeni e l’Armenia stessa. Il tiranno (ricordiamo che secondo Freedom press index 2020 l’Azerbaigian si colloca al 168° posto su 180 nazioni al mondo per libertà di informazione!) ordina e pretende, reclama nuovi territori armeni, avverte che la sua pazienza è al limite, che risolverà i suoi problemi con le buone o con la forza come già fatto mesi fa.
Sulla spinta del collega dittatore Erdogan, vuole realizzare il sogno panturanico di un impero turco dal Mediterraneo alla Cina. Gli armeni, come nel 1915, sono il solo unico ostacolo alla realizzazione di questo progetto. L’Europa assiste, quasi impassibile, e non si rende conto del pericolo che si sta creando ai suoi confini orientali.
Quando capirà, sarà forse troppo tardi per lei e per gli armeni del Caucaso?.
Consiglio per la comunità armena di Roma