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Caro Barillari, un’emozione lunga più di sessanta anni racchiusa in una mostra. A Todi nella Sala delle Pietre del Palazzo del Popolo fino al 23 maggio è possibile ripercorrere attraverso le sue foto la storia d’Italia dalla Dolce Vita a oggi.

E’ un viaggio nel tempo, dai protagonisti della Dolce Vita alle donne agli uomini in maschera, anzi con la mascherina. Il caleidoscopio di sessantuno anni di carriera. Le dive della Dolce Vita ci sono tutte. Liz Taylor, Ava Gardner, Brigitte Bardot e tanti altri personaggi che nel bene e nel male hanno fatto di Roma la capitale mondiale di un’epoca irripetibile. Da via Veneto a via Condotti e Piazza di Spagna, tutto il mondo parlava di Roma, la Hollywood sul Tevere. Di una città nel pieno del suo splendore che negli studi di Cinecittà produceva più di trecento film all’anno. Per qualsiasi personaggio del mondo venire a Roma era come venire a ricevere una benedizione. La città dei Sette Colli, la città delle Chiesa, la città dove non c’era ancora il divorzio, dove non ci si poteva baciare per strada e non ci si poteva truccare, ma la città del raduno perenne delle celebrità, degli scatti dei paparazzi, del gusto della vita, dell’esibizione, del desiderio di rompere gli argini e trasgredire.

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Come è cambiato il suo mestiere dal dopoguerra a oggi?

E’ cambiato tutto. Non cambiamo noi. Cambia la società. Gli editori chiedono servizi completamente diversi. I personaggi più famosi mettono a nudo su Facebook e sugli altri social la loro vita come se fosse un romanzo a puntate: figli, amori, gioie e dolori.  Prima una notizia era una copertina. Oggi in venti secondi è di tutti. Non c’è più l’esclusiva. E neppure il mistero. Perché di un personaggio meno cose sai e più diventa eclatante. Ora la gente vuol sapere. Vuole sapere a tutti costi e impazzisce se non ci riesce. Un tempo, invece, c’era l’esclusiva mondiale di un momento rubato. Le istantanee di una leggenda dall’alba al tramonto.

Ci si affeziona alle proprie foto? Quale è quella che più ama e quale quella che reputa la più importante?
Per me sono tutte belle e tutte importanti. Ogni foto è un momento della mia vita e della storia della nostra Italia. Si fa oggi un gran parlare di privacy. Se tu in nome della privacy mi impedisce certi scatti, una società si annulla perché perde il ricordo. Non ha più memoria di sé.

Quale dei personaggi che ha ritratto le sono rimasti nel cuore?
Tre su tutti: Alberto Sordi, Marcello Mastroianni e Federico Fellini. Fellini, ogni che lo incontravo, mi ripeteva che io ero il più grande fotografo del mondo o magari mi prometteva una parte in un suo film come fotografo di scena. L’ho capito solo dopo. Era il suo modo di evitare uno scatto che non gradiva. Come a dire: “Io sono un tuo amico, tu non mi puoi tradire”. E io, in quanto suo amico, non lo tradivo e non scattavo la foto.

Quale è il suo asso della manica. Come si diventa Rino Barillari, il re dei paparazzi?
Dal punto di vista del mestiere, stando sempre in giro, osservando, guardando, riconoscendo i personaggi dal modo di camminare e dai capelli, imparando in fretta i luoghi e i locali che frequentano, vivendo in sintonia con loro. Se vuole conoscere le tappe della mia carriera, all’inizio mi chiamavano paparazzetto, poi principe, perché frequentavo tutti i principi. Poi il grande salto in una indimenticabile serata romana. C’era tutto un mondo: Tazio Secchiaroli, Marcello Geppetti, Francesca Fellini, Elio Sorci Irma Capeci Minutolo, Andrea Nemiz, Rodolfo Valentini, Anna Mascia e soprattutto Ivan Kroscenco, iI re dei paparazzi, un uomo formidabile, che mi incoronò seduta stante come suo unico successore. Mi cedette il suo trono. Ero giovanissimo, spericolato, felice, orgoglioso di appartenere alla famiglia dei paparazzi e di esserne diventato il re. Fotografavo le persone di nascosto. Poi mi avvicinavo e chiedevo di poter scattare delle foto con il loro permesso. In mezzo secolo non è cambiato niente. Mi hanno sempre risposto di no. Questo vuol dire essere il re dei paparazzi.

Io sono un giornalista che ha fatto tanta televisione. Ci sono servizi che non rifarei e di cui magari mi vergogno un po’? C’è una foto che lei non rifarebbe?
Le foto che ho scattato le rifarei tutte. In quel momento dovevi farle. Poi sono la tua coscienza, il direttore del giornale, il capocronista che devono stabilire i limiti e fare la cernita. Rifarei anche quelle foto che mi hanno proibito. Hanno cancellato pezzi di storia di questa nostra grande Italia in nome della paura. La paura che quella foto potesse nuocere a politici, a medici, a poliziotti o magistrati, perché una foto, amico mio, può anche far cadere un Governo. Oggi qualsiasi cosa che fai viene vista come un pericolo. Oggi vanno di moda “i rubati”, che rubati non sono. Foto concordate, magari di un bacio o di una carezza, che devono sembrare come se fossero state scattate di nascosto. E’ il fallimento totale. La verità è che questi personaggi non hanno una storia e non hanno niente da raccontare. Per loro il massimo del successo è fare la madrina all’inaugurazione di un supermercato o di un mobilificio.

Una storia lunga più di sessanta anni. Quale è il suo sogno professionale? Quale foto potrebbe essere scelta per il manifesto della prossima mostra a dedicata a Rino Barillari?
La foto che immortalerà donne e uomini tornati a sorridere dopo il grande buio della pandemia. L’Italia che rinasce. L’Italia che torna a lavorare. L’Italia che sconfigge la povertà, la depressione e il dolore. Sarebbe come un arco che si chiude. Dalla Dolce Vita a alla vita dolce.

 

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