«Su 7 del Corriere lancio la proposta di dote per i diciottenni. Per la generazione più in crisi un aiuto concreto per studi, lavoro, casa. Per essere seri va finanziata non a debito (lo ripagherebbero loro) ma chiedendo all’1% più ricco del paese di pagarla con la tassa di successione». Così, Enrico Letta. E questa è stata la risposta di Mario Draghi: “Non è il momento di prendere soldi ma di darli”. Trascrivo, in proposito, le sagge parole di un lettore sul blog de L’Espresso: “Cosa significa allora la frase di Draghi? Semplicemente il fatto che non è il momento di prendere dai cittadini ricchi per dare ai cittadini poveri. Ma, se non ora, quando? Quando, se non in questi tempi in cui chi è ricco e addirittura straricco sta accrescendo i suoi dividendi e chi è meno agiato, povero, addirittura strapovero sta accrescendo i suoi affanni? In particolare nel mondo giovanile intorno a cui ruotano intere famiglie preoccupate per se stesse e per il futuro dei propri ragazzi”.
Il fatto è che quando si tratta di toccare i ricchi, anzi, gli straricchi, molti cristiani dimenticano d’essere cristiani. E così ha fatto il cristiano Mario Draghi. Del resto non c’è da stupirsi, giacché a dimenticarsene sono persino gli uomini della Chiesa, preti, vescovi e cardinali, sebbene gran parte della predicazione di Gesù sia proprio contro i ricchi e la ricchezza.
Riguardo a Mario Draghi, voglio ricordare le parole dell’economista Luigino Bruni, su Famiglia Cristiana del 10 febbraio 2021: «E’ molto presto per incensarlo come stanno facendo molti cattolici e laici, la grande finanza non ha mai avuto molta attenzione per la sussidiarietà e le fasce più deboli».
Renato Pierri