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di Avv. Nicola Bruno

Dopo aver affrontato la tematica del concordato preventivo e delle procedure di composizione concordata, un altro importante tassello all’interno del Nuovo Codice della Crisi d’Impresa è quello che riguarda la liquidazione giudiziale.

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Come più volte detto, la ratio soggiacente alla formulazione di questo nuovo Codice è quella di cercare di recuperare l’azienda in difficoltà affinché possa restare nel tessuto economico attivo della società, agendo prima che la situazione di crisi e/o insolvenza diventino a tal punto gravi da portare la società alla chiusura. Alla luce di questa ragione di fondo, il CCI ha previsto la sostituzione della disciplina attuale del fallimento con la procedura di liquidazione giudiziale.

Lo scopo è quello di liquidare il patrimonio dell’imprenditore insolvente per ripartirlo in favore dei creditori (gradatamente in base ai loro crediti specifici). Al contrario di quanto accadeva in precedenza, il fallimento perde la connotazione “negativa” di strumento atto a espellere l’imprenditore insolvente dal mercato, ma viene invece concepito sempre più come un accidente che può interessare un’attività intrinsecamente connotata dal rischio economico. Proprio per questo motivo il Legislatore ha voluto eliminare i termini contenuti nella precedente Legge Fallimentare quali “fallito” e “fallimento” per sostituirli con un lessico meno connotato e più in linea con la terminologia usata negli altri Paesi europei, ossia “debitore” e “liquidazione giudiziale”, procedura che comunque sarà da considerarsi come extrema ratio nel caso in cui gli strumenti preventivi non abbiano portato ai risultati prefissati.

 

Presupposti della liquidazione giudiziale

Il presupposto soggettivo che delimita l’ambito di applicazione della liquidazione giudiziale è individuato negli imprenditori commerciali che “non dimostrino il possesso congiunto dei requisiti di cui all’art.2, comma 1, lettera d)” (art.121 CCI), escludendo così le cd. imprese minori e le imprese agricole e includendo invece tutti coloro che esercitino un’attività commerciale o artigiana, anche non a fini di lucro, operando o come persona fisica o come persona giuridica, o come altro ente collettivo, gruppo di persone o società (a esclusione dello Stato e degli Enti qualificati pubblici).

Il presupposto oggettivo per l’apertura della liquidazione giudiziale è, invece, il sussistere dello stato di insolvenza (definito nell’art. 2, comma 1, lettera b) che lo definisce come “lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti o altri fatti esteriori quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni”).

 

Organi della liquidazione giudiziale

Gli organi della liquidazione giudiziale, ossia tribunale concorsuale, giudice delegato, curatore e comitato dei creditori, sono gli stessi previsti dalla Legge Fallimentare e medesime anche le loro funzioni, è dunque importante sottolineare quali siano e dove si trovino le piccole differenze introdotte dal CCI, dato che a una prima e poco attenta lettura potrebbero sfuggire.

Il tribunale concorsuale si configura quale organo apicale, avendo competenza diffusa su tutta la procedura, opera in forma collegiale e ha le seguenti funzioni:

  • nominare, revocare o sostituire se intervengono giustificati motivi gli organi della procedura;
  • vigilare sull’intera procedura, e dunque sull’operato del curatore e del comitato dei creditori;
  • decidere le controversie riguardanti la procedura e che non sono competenza del giudice delegato.

Il giudice delegato, in continuità con la Legge Fallimentare, non si occupa di dirigere la procedura (l’amministrazione dei beni del debitore è nelle mani del curatore), ma principalmente di esercitare funzioni di controllo e vigilanza sul suo svolgimento regolare, quali:

  • riferire al tribunale sulle questioni per le quali è richiesto un provvedimento dello stesso;
  • emettere provvedimenti a tutela della conservazione del patrimonio;
  • convocare il curatore o il comitato dei creditori quando ravvisi qualcosa che necessiti di chiarimenti o per sollecitarli nello svolgimento delle loro funzioni;
  • liquidare i compensi e disporre la revoca dall’incarico, su proposta del curatore, di quelle persone che il curatore stesso aveva richiesto di nominare;
  • autorizzare il curatore a presenziare in giudizio (come attore o convenuto);
  • nominare gli arbitri, su proposta del curatore;
  • accertare il passivo e/o i diritti di terzi compresi nella liquidazione giudiziale;
  • esercitare il potere di vigilanza e controllo anche tramite la richiesta di ulteriori relazioni da parte del curatore.

In aggiunta, da segnalare come l’esercizio di vigilanza venga sottolineato rispetto al passato nell’art.213 del CCI (particolarmente nei commi 7 e 8) nel quale, a proposito di programma di liquidazione, si rende normata quella che era ormai prassi comune di molti tribunali, ossia prevedere prima dell’approvazione del programma da parte del comitato dei creditori che esso venga sottoposto al controllo del giudice delegato.

Il curatore, nominato dal tribunale concorsuale in apertura della procedura di liquidazione giudiziale, conserva la qualifica di pubblico ufficiale (come già secondo la L.F. art.30), ma vede potenziati i suoi poteri diventando a tutti gli effetti il vero e proprio dominus della liquidazione. Il curatore, secondo quanto riportato nell’art.128 CCI, si vede assegnata l’amministrazione del patrimonio compreso nella liquidazione ed è soggetto in tutte le sue attività e funzioni al controllo da parte del giudice delegato e del comitato dei creditori. Deve altresì assicurarsi che i soci e i creditori siano sempre tempestivamente informati circa gli atti e le operazioni organizzative e finanziarie del programma di liquidazione e che siano tutelati adeguatamente in sede concorsuale. In aggiunta a questo il CCI legittima il curatore a promuovere (o proseguire) azioni giudiziali specifiche, che allo stato attuale competono invece ai soci o ai creditori sociali.

Infine, per quanto riguarda il comitato dei creditori, nominato dal giudice delegato entro 30 giorni dall’apertura della liquidazione giudiziale, il CCI rimane nel solco della precedente Legge Fallimentare confermando che questo organo è il necessario interlocutore del curatore nella gestione del patrimonio da liquidare e rendendolo titolare di maggiori e più ampi poteri. Il suo ruolo, sinteticamente, si riassume nella vigilanza dell’operato del curatore, nell’autorizzazione degli atti emessi dal curatore e nell’espressione di pareri su richiesta del tribunale concorsuale o del giudice delegato. Rimane invariato il criterio di rappresentanza affinché l’organo sia appunto rappresentativo delle varie tipologie di creditori e il meccanismo di salvaguardia, ossia quel procedimento secondo il quale il giudice delegato è chiamato a intervenire come sostituto del comitato nel caso in cui esso non si riesca a costituire, sia impossibilitato a funzionare o si in casi di inerzia o urgenza.

https://www.studiobrunoroma.it/post/123/presupposti-e-organi-della-liquidazione-giudiziale-nel-cci.

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