Quando si parla dei giovani c’è sempre il pericolo latente di rivolgersi a loro come a degli incapaci, ma è un errore di cui ci pentiremo certamente. Più sento parlare di medaglie appuntate sul petto degli adulti, più ritengo importante partire dal valore degli ultimi, che non sono come banalmente è dato pensare, soltanto quelli piegati dal disagio, dall’uso e abuso delle sostanze, dalla violenza e dalla solitudine, angolazioni di qualche piramidale per quanto ben fatto. Ci sono altri “ultimi” in coda, ma non sono quelli che ti aspetti di vedere ciondolare per le strade in attesa di venire raccolti con il cucchiaino. Checchè ne pensi qualcuno questi ultimi sono anche i primi, i ragazzi lo saranno sempre. Quelli che da tanti e troppi anni sono relegati in seconda fila, dapprima appiedati come choosy, ai giorni nostri posteggiati come fragili pargoli. Eppure sono quei pezzi di noi necessari a rimettere insieme pezzi di futuro svenduti a poco prezzo.
Mi riferisco a quelli che spesso releghiamo tra le nostre pretese più scontate, i nostri possedimenti che non sono da mettere in discussione, in fin dei conti da sempre sono così, dunque perché prenderci ulteriori mal di testa.
Gli adolescenti non sono tutti uguali, non sono fatti in serie, sono bravi ragazzi, qualcuno inciampa, cade, si fa male, e qualche volta fa male anche agli altri.
Su questo versante delle regole infrante, è chiaro che la prevenzione è l’arma da opporre, quella prevenzione che è tale perché si muove un istante prima del ribaltamento di una vita, di un sogno, di una speranza.
Un grande educatore ha detto: a volte fanno male, ma sognano di fare il bene.
Occorre davvero un percorso ostinato e contrario come ha detto Faber, mettersi a mezzo, di traverso, per non confermare l’andazzo cui siamo costretti, cui siamo abituati per comodità.
E’ necessario fare un passo avanti quando un ragazzo è affascinato dalla botta di adrenalina, perché quello è il momento in cui ci si ritrova all’imbocco di quel vicolo cieco, non solo per la platea plaudente, i tifosi che creano-alimentano il famoso per forza, il maledetto per vocazione, siamo davanti a quel vicolo cieco anche a causa di una adultità acerba, assente, che spesso ripiega su se stessa e mente sapendo di farlo. Un’amica docente ha scritto: la tentazione più subdola per me che insegno, è quella di “dare per perso” un ragazzo che a 17 anni ha la faccia e gli occhi di un vecchio quando rinuncia a vivere, uno che sa già tutto, uno che ha visto già tutto, uno che “non gliene frega niente”, uno che “vengo a scuola perchè sono obbligato”, uno che ti vuole convincere che la mariuana è una medicina, uno che……Se lo molli non va perso lui, forse sei tu che ti sei persa. Forse non riuscirai ad aiutarlo, non c’è che cominciare ad amarlo. In conclusione, fare i conti con gli ultimi, che ripeto sono e saranno sempre i primi, c’è urgenza di farlo senza buonismi e pietismi d’accatto, senza liturgie da salotto, potrebbe significare un impegno alla solidarietà, ma non a quella accudente, del privilegio, intendo quella sensibile, costruttiva, della fatica, e dell’emancipazione, quella che costringe a uscire dal comodo rifugio dell’indifferenza.