L’assurda risposta di Dio nel libro di Giobbe
Papa Ratzinger, nel maggio del 2006 ad Auschwitz, rivolse a Dio le seguenti parole: «Perché Signore, hai taciuto? Perché hai potuto tollerare tutto quest’eccesso di distruzione e questo trionfo del male?» In fondo sono le stesse domande che da sempre l’uomo che soffre o che assiste alla sofferenza di un innocente, pone al Creatore.
Ora, immaginate un Dio che a Ratzinger avesse risposto ad un dipresso: “Come ti permetti di chiedermi spiegazioni? Io sono Dio, tu non sei nessuno”. Un Padre che azzittisce la creatura fatta a sua immagine a somiglianza, e nella sostanza evita di dare spiegazioni eludendo la domanda. E’ il Dio che troviamo nel libro di Giobbe. Prende lui a fare domande al figlio sofferente: «Chi è mai costui che oscura il mio piano con discorsi da ignorante?» «Quando ponevo le fondamenta della terra, tu dov’eri? Dimmelo, se sei tanto intelligente!» «Hai tu un braccio come quello di Dio e puoi tuonare con voce pari alla sua?» Fa sentire la sua creatura una nullità, al punto che Giobbe, poverino, arriva a rispondere: «Ecco, non conto niente… Mi metto la mano sulla bocca».
L’autore, non potendo risolvere l’eterno problema – il dolore dell’innocente – concepisce un Dio che contrasta col concetto di un Dio amorevole e premuroso.
Renato Pierri
(scrittore)
Ieri questo articolo appariva su Google. Oggi è sparito. E’ un caso oppure si tratta di censura?
Di un testo bisogna considerare prologo ed epilogo non solo uno stralcio che è tendenzioso a dimostrare solo unapropria congettura. Il riferimento che hai citato nel modo con cui è scritto da l’idea di un personaggio (Dio) che sovrasta in maniera dominante l’altro (Giobbe) ma la storia non è propriamente così, tanto è vero che il finale di questa storia vede quello che tu definisci in questa espressione: “poverino, arriva a rispondere: «Ecco, non conto niente… Mi metto la mano sulla bocca»” come il destinatario della immensa bontà di quel personaggio che tu definisci in questa espressione:” L’autore, non potendo risolvere l’eterno problema – il dolore dell’innocente – concepisce un Dio che contrasta col concetto di un Dio amorevole e premuroso.”
La fine della storia di Giobbe vede Giobbe esclamare:” le mie orecchie avevano sentito parlare di te …ma adesso i miei occhi ti vedono” e ricevere da quel Dio da te descritto come mancante in misericordia restituire il triplo di ciò che l’avversario dell’uomo (quello vero ossia Satana) aveva tolto a Giobbe.
La storia di Giobbe è indicativa della nostra condizione di uomini che razionalmente vogliamo descrivere ciò che un Dio dovrebbe fare per noi, ma lo strumento utilizzato (l razionalità che sono le orecchie che sentono) non è sufficiente per vedere l’immensa gloria e maestà di Dio (adesso i miei occhi ti vedono) quello che è necessario all’uomo per “vedere” Dio non sta nella mente ma nel cuore.