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di Francesco S. Amoroso

 

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Forse non tutti sanno che il patrimonio insulare italiano consta di oltre 800 isole, di cui solo un’ottantina sono abitate, comprese le due più grandi isole del Mar Mediterraneo, la Sicilia e la Sardegna, le cui regioni costituiscono la macroarea dell’Italia insulare.

Tra queste una menzione particolare merita la piccola isola di Santo Stefano nel Mar Tirreno, al largo della costa fra Lazio e Campania, e che fa parte geograficamente delle isole ponziane.

In passato fu scarsamente abitata a causa delle sue ripide scogliere, che ne hanno reso sempre molto difficile l’approdo.

Attualmente è disabitata, ma è possibile visitarla con imbarcazioni locali e dipende amministrativamente dal comune di Ventotene.

Perché visitare quest’isola?

Perché in essa è presente un unico edificio: la sua principale attrazione è un ex carcere fatto costruire nel periodo dei Borboni, e precisamente nel 1794-95 da Ferdinando IV, ed utilizzato fino al 1965.

Fu progettato dal filosofo e giurista illuminista Jeremy Bentham ed ha  “ospitato” lo scrittore Luigi Settembrini, l’anarchico Gaetano Bresci, e durante il regime fascista il futuro Presidente della Repubblica Sandro Pertini.

Nel 1981, su iniziativa del Ministro della difesa pro tempore, sopra il portone di accesso al penitenziario, fu posizionata una lapide in marmo per ricordare i patrioti dell’800, e i detenuti del periodo fascista ristretti in questo luogo.

Il carcere è stato poi anche la location di alcuni film come l’Urlo di Tinto Brass, e di alcune sequenze di Ostia di Sergio Citti e Sul Mare di Alessandro D’Alatri.

Ora dopo oltre 50 anni di abbandono, fortunatamente, grazie a un progetto di recupero governativo, l’ex struttura penitenziaria sarà destinata a divenire un centro di formazione sui temi dei diritti umani, del patrimonio culturale, e dello sviluppo sostenibile.

La storia di questo luogo di detenzione fu fortemente segnata oltre che dai detenuti, che qui scontavano la loro pena, dall’attività di uno dei direttori di questo ex carcere: Eugenio Perucatti che lo diresse dal 1952 al 1960.

Un personaggio illuminato che anticipò di anni il periodo della riforma carceraria del 1975.

Perucatti fu un innovatore nel campo penitenziario: consentì agli ergastolani di uscire dalle celle per lavorare, costruì un forno, piccole botteghe, e un campo di calcio sul quale furono giocate partite memorabili, tra guardie carcerarie e detenuti, di cui una fu commentata perfino da Nicolò Carosio.

Si spese poi a favore della pena redentiva in ossequio al dettato costituzionale che prevede che quest’ultima deve tendere alla rieducazione del condannato, e manifestò la sua contrarietà verso l’ergastolo ostativo (che non permette la concessione dei benefici penitenziari) anticipando i più recenti orientamenti che ne hanno decretato l’illegittimità.

Nel 1964 venne annunciata la chiusura di questo penitenziario, e l’ultimo drappello di detenuti lasciò l’isola nell’aprile del 1965.

 

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