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Tanto per dirne una…
Il culto degli antenati in molte delle civiltà antiche è stato il fattore coagulante per la conservazione del senso di comunità. In Cina, ad esempio, era assurto quasi a religione, infatti il confucianesimo non è altro che un sistema morale basato sul rispetto delle norme “gerarchiche” di padre/figlio – sovrano/suddito. In qualche modo questo sistema, che garantisce un ruolo alle generazioni della comunità, ha assicurato in oriente come in occidente, una crescita ordinata e rigorosamente etica della società, pur con le pecche di inevitabili eccessi, esso ha mantenuto quel processo solidaristico nato nei clan matristici anteriori, e successivamente trasmesso al patriarcato.

Questa concezione è andato avanti senza grandi sovvertimenti sino all’inizio del secolo scorso momento in cui si è avviata una “rivoluzione di sistema”, una rivoluzione apparentemente incruenta e non specificatamente voluta, ma il risultato è un repentino mutamento d’indirizzo e la sortita dei modelli utilitaristici ed esclusivi.

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Coincide con l’inizio dell’era industriale e dell’economia di mercato e con la comparsa dei grossi insediamenti urbani, le metropoli., che già avevamo visto l’abbozzarsi nel modello imperiale di Roma poi ripreso negli Stati Uniti d’America.

La scintilla del nuovo paradigma sociale ed economico -secondo me- è una diretta conseguenza della grande crisi del 1929 che da una parte costrinse migliaia di famiglie all’urbanizzazione forzata ed all’abbandono del criterio piccolo-comunitario e all’adozione di modelli sociali strumentali. Una nuova programmazione sociale ed economica basata sulla capacità collettiva di produzione e sul consumo di beni superficiali (coincide con la nascita della Coca Cola, delle sigarette, delle fibre sintetiche, della diffusione di automobili ed altri macchinari). Come ripeto questo modello non fu specificatamente perseguito ma l’inevitabile conseguenza di una accettazione di gestione produttiva “finalizzata” -da parte degli individui operativi- e la demandazione agli organi amministrativi delle funzioni solidali e sociali.

 

Questo procedimento trovò la sua affermazione anche in Europa a cominciare dagli anni ‘50 (malgrado le prove generali dei primi del secolo in Inghilterra) e pian piano si espanse al resto del mondo occidentalizzato, meno che in sacche di necessaria “arretratezza” che oggi definiamo “terzo o quarto mondo”. Ma questo terzo o quarto mondo sta anch’esso pian piano assumendo il modello utilitaristico ed il risultato è il totale scollamento familiare e sociale con l’interruzione dell’agricoltura ed artigianato e venuta in luce di schegge impazzite di società aliena a se stessa. Avviene nelle cosiddette megalopoli di venti o trenta milioni di abitanti, con annesse baraccopoli e periferie senza fine. La solidarietà interna delle piccole comunità è morta mentre si son venute a stratificare categorie sociali che hanno poco o nulla da condividere con “l’umanità”.

Nelle grandi città industrializzate e consumiste da una parte c’è la classe dei produttori “attivi” e dall’altra quella dei cittadini “passivi”, ovvero i bambini e gli anziani. Lasciamo per il momento in sospeso la discussione degli attori in primis, i cosiddetti produttori ed operatori, e vediamo cosa sta avvenendo nelle categorie passive, degli usufruitori inermi od assisiti.

 

I bambini sono forse i più penalizzati giacché verso di loro è rivolto il maggior interesse redditizio e di sviluppo, sono i “privilegiati” delle nuove formule di ricerca di mercato ed allo stesso tempo abbandonati a se stessi, in seguito alla totale mancanza di solidarietà interna in ambito familiare e sociale. Con poche prospettive reali di crescita evolutiva in intelligenza ed interessi futuri, i bambini si preparano ad essere la “bomba” della perdita finale di collegamento alla realtà organico-psicologica tra uomo natura ambiente. Già in essi assistiamo alla quasi totale incapacità di relazionarsi con una realtà sociale e materiale, sostituita da una “realtà virtuale e teorica”. Ora finché le generazioni che son nate dagli anni ‘50 sino al massimo degli anni ‘80 sono in grado di reggere il colpo della produzione utilitaristica questa massa di “imberbi passivi” può ancora mantenere una ragione almeno consumistica, dopodiché la capacità di sopravvivenza si arresta ineluttabilmente, assieme al volume operativo dei genitori…..

L’altra categoria, passiva per eccellenza, è quella degli anziani ed invalidi, i pensionati, che sopravvivono senza speranza già sin d’ora, preda di violenze sempre più diffuse, di furti e truffe e di strumentalizzazioni della loro condizione vittimale (perseguita da enti ed associazioni che sorgono per “proteggerli” dagli abusi….). Nella società solidaristica antecedente gli anziani avevano una precisa ragione sociale nella trasmissione della cultura e delle esperienze necessarie alla vita, convivendo in ambiti familiari in cui non c’era separazione fra bambini, giovani e vecchi. Ora gli anziani son d’impiccio e finché possono arrangiarsi da soli, bene, poi diventano oggetto di mercato per gli assistenti sociali, per gli ospizi e per colf spesso senza scrupoli o finti operatori assistenziali che mungono alle loro misere pensioni, inoltre -recentemente- son sempre più vittime di “enti morali” fasulli e ladri. E questo perché gli anziani non hanno più posto né tutela nella società.

 

Come faranno i cinquantenni di oggi a garantirsi la sopravvivenza se la struttura sociale è così degradata? Nella loro  vecchiaia, non saranno assistiti né dalla società nè dai loro figli e -forse- sarà proprio per questo inconsapevole sospetto che molti rifiutano di aver figli e si atteggiano ad eterni “ragazzi”. Oggi si è “giovani di belle speranze” sino a cinquant’anni e poco più e poi improvvisamente si precipita nell’inferno dell’anzianità e dell’abbandono.

Insomma “finché ce la fai a barcamenarti con le tue forze bene e poi ciccia al culo!” Forse siamo ancora in tempo a prendere coscienza di ciò ed attuare una repentina inversione di marcia prima del precipizio.

La soluzione -secondo me- sta nel superamento dei modelli consumistici e dello schema familiare di coppia moderna, in primis, per ritrovare in una socialità allargata nuove espressioni per la solidarietà umana, contemporaneamente abbandonando l’ampliamento dei grandi agglomerati urbani e rinunciando ai parossismi culturali (musiche preconfezionate, televisioni, sport idioti, giochetti virtuali, etc) in modo da ricreare in noi lo stimolo primario della gioia di vita e la capacità creativa per produrre qualcosa che abbia lo spirito del necessario e del bello. Insomma si parla ancora di ecologia profonda e di spiritualità laica.

Paolo D’Arpini

 

Fonte:  https://bioregionalismo.blogspot.com/2021/09/societa-al-disarmo-finisce-il-culto.html

 

English reddition:

 

The cult of ancestors in many of the ancient civilizations was the coagulating factor for the preservation of the sense of community. In China, for example, it had risen almost to religion, in fact Confucianism is nothing more than a moral system based on respect for the “hierarchical” rules of father / son – sovereign / subject. In some way this system, which guarantees a role to the generations of the community, has ensured in the East as in the West, an orderly and rigorously ethical growth of society, even with the flaws of inevitable excesses, it has maintained that solidarity process born in the Matristic clans earlier, and subsequently transmitted to the patriarchate.

 

This conception went on without major upheavals until the beginning of the last century, when a “system revolution” was launched, an apparently bloodless and not specifically desired revolution, but the result is a sudden change of direction and the sortie utilitarian and exclusive models.

 

It coincides with the beginning of the industrial era and the market economy and with the emergence of large urban settlements, the metropolises, which we had already seen in the outline of the imperial model of Rome which was then taken up again in the United States of America.

 

The spark of the new social and economic paradigm – in my opinion – is a direct consequence of the great crisis of 1929 which on the one hand forced thousands of families into forced urbanization and the abandonment of the small-community criterion and the adoption of instrumental social models. . A new social and economic planning based on the collective capacity of production and on the consumption of superficial goods (coincides with the birth of Coca Cola, cigarettes, synthetic fibers, the diffusion of cars and other machinery). As I repeat, this model was not specifically pursued but the inevitable consequence of an acceptance of “finalized” production management – by the operational individuals – and the delegation of solidarity and social functions to the administrative bodies.

 

This procedure found its affirmation also in Europe starting from the 1950s (despite the general rehearsals of the early 20th century in England) and slowly expanded to the rest of the Westernized world, except in pockets of necessary “backwardness” that we now define “Third or fourth world”. But this third or fourth world is also slowly taking on the utilitarian model and the result is the total family and social disconnection with the interruption of agriculture and crafts and the coming to light of crazed splinters of a society alien to itself. It takes place in the so-called megacities of twenty or thirty million inhabitants, with adjoining slums and endless suburbs. The internal solidarity of small communities has died while social categories have come to stratify that have little or nothing to share with “humanity”.

 

In large industrialized and consumerist cities, on the one hand there is the class of “active” producers and on the other that of “passive” citizens, that is, children and the elderly. Let’s leave the discussion of the actors in primis, the so-called producers and operators, open for the moment, and let’s see what is happening in the passive categories, of the unarmed or assisted users.

 

Children are perhaps the most penalized since the most profitable and developmental interest is directed towards them, they are the “privileged” of the new market research formulas and at the same time left to themselves, following the total lack of internal solidarity in the family and social sphere. With few real prospects of evolutionary growth in intelligence and future interests, children are preparing to be the “bomb” of the final loss of connection to the organic-psychological reality between man, nature and environment. Already in them we witness the almost total inability to relate to a social and material reality, replaced by a “virtual and theoretical reality”. Now as long as the generations that were born from the 1950s to the peak of the 1980s are able to withstand the blow of utilitarian production, this mass of “passive beardless” can still maintain an at least consumerist reason, after which the ability to survive stops inevitably, together with the operational volume of the parents … ..

 

The other category, passive par excellence, is that of the elderly and disabled, pensioners, who already survive without hope, prey to increasingly widespread violence, thefts and scams and exploitation of their victim status (pursued by entities and associations that arise to “protect” them from abuse ….). In the antecedent solidarity society, the elderly had a precise social name in the transmission of the culture and experiences necessary for life, living in family environments where there was no separation between children, young and old. Now the elderly are in the way and as long as they can fend for themselves, well, then they become objects of the market for social workers, for hospices and for often unscrupulous home helps or fake care workers who milk at their meager pensions, moreover – recently – they are more and more victims of phony “moral entities” and thieves. And this is because the elderly no longer have a place or protection in society.

 

How are today’s 50-year-olds going to ensure their survival if the social structure is so degraded? In their old age, they will not be assisted either by society or by their children and – perhaps – it will be precisely for this unconscious suspicion that many refuse to have children and pose as eternal “boys”. Today one is “young with good hopes” up to fifty years and a little more and then suddenly rushes into the hell of old age and abandonment.

 

In short, “as long as you manage to get by with your own strength and then fat in the ass!” Perhaps we still have time to become aware of this and implement a sudden U-turn before the precipice.

 

The solution – secondly – lies in overcoming consumerist models and the family pattern of a modern couple, first of all, to rediscover new expressions of human solidarity in an enlarged sociality, at the same time abandoning the expansion of large urban agglomerations and renouncing cultural paroxysms. (pre-packaged music, televisions, idiotic sports, virtual games, etc) in order to recreate in us the primary stimulus of the joy of life and the creative ability to produce something that has the spirit of the necessary and the beautiful. In short, there is still talk of deep ecology and lay spirituality.

 

Paolo D’Arpini

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