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IL PIL NON RISOLVERA’ NULLA ANCHE SE SARA’ A DUE CIFRE…OVE NON SI REALIZZI A BREVE UN PROGETTO ECONOMICO PER UNA EQUA E NECESSARIA DISTRIBUZIONE DEI BENI, ANCOR PRIMA DI BADARE AL PRODOTTO INTERNO LORDO…

Da molto tempo, come ho scritto più volte anche su questo giornale, sempre inascoltato da chi dovrebbe invece ascoltare, in quanto sono “nessuno” rispetto agli economisti  della finanza di fama mondiale (?), ma anche di coloro che si ritengono all’apice delle scienze agrarie ed alimentari, affermo che è necessario mettere in discussione il sistema facente parte dei predetti due contesti in quanto il secolo XXI° confligge già da tempo con mentalità obsolete, inefficaci ed anche dannose rispetto alle prospettive future, in primis proprio con riferimento a detti comparti economici ed agrario-alimentare. A seguire quasi tutte le altre.

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L’economia, fino ad oggi,  ha badato da mezzo secolo a questa parte al solo PIL,  considerandolo un metro di misura più importante  in funzione della crescita. Ma, non soltanto a mio avviso, questo parametro non è più valido e va contemperato ad altri fattori.  E’ necessario infatti fare una conversione ad U in quanto urge creare economie – dal livello locale a quello globale – che contribuiscano a portare tutta l’umanità in una posizione sicura ed equa per il vivere quotidiano fino ad arrivare, nei suddetti termini di sicurezza ed congruità distributiva della ricchezza,  ad un equilibrio mondiale, e ciò alla faccia del PIL.  Ma questo forse non l’ha capito o non lo vuol capire nemmeno Draghi, il quale, anche per ex devianza professionale, continua a spostare le varie caselle della finanza solo in funzione del PIL e non già, almeno a mio avviso,  nella consapevolezza che l’attuale secolo XXI° ha già cancellato, o quasi, quello precedente !

Oggi infatti regna una vergognosa disuguaglianza sociale che sta peggiorando l’economia  senza che qualche mente intelligente stia pensando di creare almeno le condizioni per migliorarla.  Per fare questo, è necessario progettare le nuove economie in maniera diversa, e cioè  in chiave distributiva in relazione al valore che esse generano e non viceversa.  Bisogna superare il concetto, ormai fuori dai tempi, della ridistribuzione del reddito finanziario per immetterlo congruamente nella ridistribuzione della ricchezza oggettiva,  mi riferisco a quella   riguardante il possesso di terreni, imprese, tecnologie e conoscenze, realtà tutte fine a se stesse.  Quindi, bisogna cambiare mentalità.

In parole povere, se vuoi anche facendo il ragionamento della massaia,  voglio dire che oggi bisogna accantonare  l’obiettivo del solo PIL.  Ciò  non serve a nulla e, tanto per fare il primo esempio che mi viene in mente, tralasciandone migliaia di altri  fac-simili,  va detto che fare attività promozionale per vendere contemporaneamente dieci-venti marche diverse di automobili anche se il mercato non le riceve (come vediamo ogni giorno in Tv)  tra l’altro insistendo fino alla nausea con vari stratagemmi che finiscono per drogare lo stesso prodotto interno lordo che, influenzato  a priori positivamente dalle statistiche  di vendita, viene poi a determinare invece un danno economico generale. In sede di rientro infatti delle macchine stesse, spesso ancora nuove,  si alimenta una saturazione non solo di queste ultime e del nuovo, ma anche del loro indotto,  tanto da pensare alla dicitura  “effetto di un catino pieno” che, ovviamente non permette nessun’altra immissione di liquidi. O aspettiamo che non ci sia più superficie stradale sufficiente per la circolazione ? Come nelle grandi metropoli ove per fare un solo chilometro ci si impiega una vita ? E questo vale non soltanto per il mercato dell’auto !

Questo concetto sta infatti sviluppandosi in quasi tutti i contesti produttivi e di consumo fino al punto da impedire alle stesse imprese di produrre e vendere con qualche ritorno economico, subendo  pertanto  non solo gli effetti negativi di detta saturazione di mercato, ma anche provocando il licenziamento del personale a cui fanno seguito dolorosi i riverberi socio-sindacali che ogni giorno vediamo, ahimè,   sempre più in aumento. E non è finita.

Ecco perché il PIL, a mio avviso, è da considerarsi un indice che non fa più testo determinante  in funzione della crescita economica e che  deve essere contestualmente privilegiata una politica che, come detto dianzi, si preoccupi di crescere partendo dal basso delle economie locali per arrivare armoniosamente ad una perequazione di un sistema mondiale, perché altrimenti,  come è successo nel corso dell’ultimo secolo, la ricchezza prodotta dal PIL finisce per aumentare il divario finanziario fra ricchi e poveri, realtà  quest’ultima che non si verificherebbe ove la ricchezza venisse prodotta appunto dal basso trovando così una necessaria armonizzazione correlata ai luoghi di produzione,  per luogo geografico e  per la  specificità per quel tipo di prodotto.  Al contrario oggi le economie locali languono nell’interesse delle multinazionali che, beneficiando di risultati  solo finanziari finiscono per drogare  lo stesso PIL  danneggiando così le succitate economie locali.

Stesso discorso vale per le economie agrario-alimentari,  spesso rette da incapaci i quali, all’alba del XXI° secolo non hanno ancora capito che le campagne non possono essere più gestite a questo modo, con particolare riferimento  al forte divario di prezzi esistente fra produttore-commerciante e consumatore, realtà anche questa che non depone a favore di una certa armonizzazione della ricchezza, intesa quest’ultima come “conditio sine qua non” per soddisfare le esigenze primarie dell’umanità, ancor prima della spartizione del PIL.

Ma, fintantoché i predetti economisti rincorreranno la crescita di quest’ultimo, l’umanità sarà schiacciata da sperequazioni finanziarie e materiali che, inevitabilmente, sfoceranno in conflitti politici di ogni sorta fra le grandi potenze, mentre saranno a farne le spese le classi più deboli.

Una economista inglese della Oxford University dice che rispetto agli anni ’50 il PIL globale è cresciuto portando prosperità a miliardi di persone, ma creando al tempo stesso un’economia globale incredibilmente divisiva, degenerativa, destabilizzando rapidamente l’equilibrio dell’ecosistema dal quale dipendiamo e che la crescente disuguaglianza non è un male necessario del progresso, bensì una pessima scelta politica. La disuguaglianza è un errore di progettazione del sistema economico che per impostazione predefinita deve essere progettato per la distribuzione.

Affermazione che, a mio avviso, ha tutti i crismi della saggezza economica.

Arnaldo De Porti

Belluno-Feltre

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