Sulla stampa dell’emigrazione è in corso in queste settimane un vivace dibattito sulla crisi dei consolati italiani e sulle misure di carattere economico e normativo atte a frenarne il definitivo tracollo.
Tra gli altri, è possibile leggere gli interventi di parlamentari, esponenti del CGIE, membri dei Comites, ex Sottosegretari di Stato, i quali tutti sollecitano urgenti interventi a sostegno dell’attività consolare. In un contesto così lodevolmente attivo, non è dato conoscere tuttavia la posizione della Farnesina, che appare stranamente silenziosa.
Nella mia impressione, le invocate misure finanziarie, pur necessarie, e, forse, ormai indifferibili, difficilmente riusciranno a risolvere il problema di fondo del servizio consolare che, in larga misura, è problema di natura squisitamente organizzativa. Per venire incontro alle esigenze dei cittadini, non occorre emanare nuove circolari, e non occorrono neppure massicci investimenti finanziari, occorre bensì cambiare l’organizzazione del lavoro, calibrando i moduli lavorativi sulle esigenze degli utenti. Se non si coglie questo punto, tutto il discorso sul riscatto dei consolati rischia, secondo me, di girare a vuoto. Perciò, è da auspicare la digitalizzazione di tutte le postazioni lavorative, a cominciare dagli sportelli di ricevimento del pubblico, che vanno aperti al pubblico cinque giorni su sette, mattina e pomeriggio. In questo ambito, urge poi annullare l’infausto obbligo delle prenotazioni on- line, un obbligo che ha generato finora soltanto liste di attesa. Spetta perciò ai diplomatici un compito strategico: quello di diventare gli attori del cambiamento.
E’ triste dover osservare quanto sia grande in questi mesi lo spazio dedicato al tema dello ”smart working” e al correlato benessere dei lavoratori e delle lavoratrici, mentre quasi non si parla dei gravi disagi arrecati ai cittadini.
Che il tema organizzativo sia, del resto, di centrale importanza, lo si può dedurre, sia pure indirettamente, dai moduli lavorativi adottati con indiscusso successo da Poste Italiane, un modello di organizzazione del lavoro, quello delle Poste, che si presenta come rispettoso delle esigenze e delle aspettative di cittadini e utenti e a cui gli uffici consolari potrebbero utilmente ispirarsi.
Non diversamente dalle Poste, anche il Consolato generale di Zurigo, dal 2015 al marzo del 2020, aveva introdotto moduli lavorativi centrati sui bisogni dell’utenza, un esperimento di successo, che il Covid ha poi dissipato.
Gerardo Petta