Pierfranco Bruni
I ricordi sono più della memoria? Ricordare è sempre riportare al centro del cuore il tempo. “Ricordare è riportare nel cuore” (Carlo Sini). Nella grecità l’intreccio tra il ricordare e l’oblio è potente.
I modelli greci e latini della classicità non possono essere dei modelli di una tradizione acquisita e intoccabile. Ogni epoca ha il suo sguardo ed ogni civiltà trova nell’estetica un punto di contatto con il risibile. La classicità poetica greca e la classicità romana sono i punti di riferimento di una poetica in cui il senso dell’onirico è completamente attraversato dalla dimensione amorosa.
L’amore spesso viene considerato come una stretta intesa tra la sensualità, l’eros e la rappresentatività dell’amore stesso, ovvero la sensualità-passione necessariamente diventa la rappresentazione della fisicità e questo lo si constata sia leggendo le poesie, i frammenti di Saffo, di Alceo, di Anacreonte. Tre punti di riferimento di una poetica greca in cui si consuma il senso del tempo come il senso del vissuto, ma anche come senso del tragico.
Ed ora? Dopo Ovidio e la sua generosa eleganza ed estetica… non dovremmo ritornare ai “Carmina”, ma passare direttamente a Cavalcanti ? Rileggerei Saffo per approfondire il senso di solitudine e il tragico in Pavese.
La duplicità sentimentale di Saffo è l’espressione di una drammaticità e tragicità esistenziale che la poetessa vive. Muore suicida e questa sua dimensione di mistero attraversa sia il suo stare a contatto con il linguaggio, con la parola, sia il suo contatto con l’amore stesso. Ama ed è amata.
Saffo ama ardentemente le donne, ma riesce ad amare anche gli uomini, infatti era sposata; ma nella sua poesia c’è l’estrema eleganza al di là del proprio vissuto, al di là della propria esperienza di vita, della propria testimonianza e il suo verso è profondamente legato a una esperienza di eleganza in cui gli elementi sono rappresentati dalla natura, sono rappresentati dal paesaggio, sono dal senso onirico delle metafore.
Ci sono due versi che diventano immediatamente impatto. Il titolo del componimento poetico è “Vento”: “Mi scrolla amore come vento nell’alpe su roveri piomba”.
Ecco come l’eleganza della parola diventa l’estetica di un distico che a sua volta è uno stile di un linguaggio tutto contestualizzato nella dimensione sentimentale. Come altri versi di una poesia dal titolo “L’oblio”: “Morte inerzia di sonno per te silenzio di memoria sempre tu non attingi rose poetiche. —- svolacchierai tra larve nere”.
Com’ è intensa questa poesia di Saffo. Una poesia che ci porterà al senso di un onirico che è completamente attraversato dalla dimensione esistenziale, ma Saffo è l’epicentro di una criticità che costituirà e costituisce il percorso poetico di un’identità lirica. Il lirismo di Saffo attraverserà tutte le epoche e troverà un’abitazione reale nel Novecento.
Il Novecento, soprattutto quello italiano, si forma, si basa e si confronta, sulla poesia di Saffo, ma si forma anche avendo delle diramazioni con tutta la cultura greca, con i versi di Alceo, di Anacreonte.
La grecità è profonda nel Novecento, si pensi alla poesia ermetica. È nostalgia! Questo è un aspetto importante, significativo, all’interno di quei processi culturali che segneranno la bellezza e l’estetica stessa del verso.
Credo che non si possa dire lo stesso analizzando nella complessità la poesia latina. Non è così per tutti i poeti che provengono dalla cultura latina vicina a quel mondo che è il mondo tibulliano, catulliano, virgiliano, ovidiano.
Qui occorre fare una chiosa, tanto per tenere desta la curiosità, su un poeta greco trascurato tantissimo proprio dalla cultura occidentale latina. Si tratta di Nicandro.
Nicandro di Colofone poeta, grammatico e medico greco (visse intorno alla seconda metà del II secolo o all’inizio) scrisse le prime “Metamorfosi” in cinque libri. Un poeta dell’età ellenistica, comunque la sua biografia è ricca di diversi interrogativi.
Ovidio conosceva molto bene Nicandro. Nicandro e Ovidio recitano la morte delle forme e catturano la metafora (meta… ) della morte (mor… ) con la perplessità del (fo… ) forse… Etimologia? Semantica? No! La percezione. Ma Pitagora amato da Ovidio giocava con i numeri percependo… La genialità degli artisti… dei folli… dei ribelli…
Virgilio senza Nicandro sarebbe stato in grado di scrivere le “Georgiche” (?) e non solo. Nicandro scrive addirittura un testo dal titolo le “Georgiche” in due libri e un trattato sulla Apicoltura.
Nicandro il greco antico della Greciaantica. Nicandro è in Ovidio e scrive tra l’altro alcuni trattati sui Rimedi (“Rimedi contro i veleni animali “) anche dei serpenti di genere femminile e conosce molto bene la mitologia dei Titani.
Comunque, uno dei grandi poeti del gruppo di nuovi poeti latini di quell’epoca è stato Properzio e chiaramente Tibullo che ha fatto della sua poesia una dichiarazione di bellezza, come ha fatto Properzio. Properzio, quando recita la sua poesia, citando i versi dedicati a Cinzia, è l’espressione pura della bellezza ed è il personaggio femminile che costituisce il dato centrale di questa poesia come lo è fondamentalmente il poeta fulcro di questo gruppo, che sarebbe Ovidio.
Ovidio è il grande poeta degli “Amores” e dei “Rimedia” e sa unire, legare la classicità greca con quella latina. Ciò non è verificabile nella poesia o nei versi di Virgilio. Purtroppo Virgilio non è uno dei poeti lirici o profondamente lirici. Resta nel cerchio, se vogliamo, di un mecenatismo che era dettato da una lezione che veniva da Cicerone, quindi la poesia interagiva tra il mondo epico e la storia. In Ovidio troviamo il legame tra il mito il simbolo e l’immaginario epico.
Il poeta che trascina il verso, tranne in alcuni episodi, è Catullo. Credo che di Catullo si sia fatta un’icona molto errata, perché il poeta vero è sì il poeta che ha alzature e cadute, dal punto di vista lirico, sistematico- letterario, tematico, ma il poeta deve giocare la sua partita intorno a un concetto forte che è quello di bellezza, di eleganza, di stile e Catullo nel momento in cui recita “Mille baci”, “cento baci” e “mille più mille, facendo questo gioco di empatia linguistica, oppure t’amo e temo, t’amo o ti odio, che sono versi di una esemplarità singolare, ha poi delle cadute terribili di problematica stilistica e formale. Ma resta sempre nostalgia nel ricordare.
“Nessuna donna mi ruberà il tuo letto questo è il patto iniziale dell’amore nostro. A me piaci tu sola, a Roma nessun’altra donna è bella agli occhi miei e magari potessi essere il solo a vederti leggiadra gli altri non si occuperebbero di te io sarei tranquillo”.
Questo è Tibullo. È il Tibullo della grande poesia latina.
Il poeta che ha segnato la latinità resta Ovidio, sia per coerenza stilistica, sia per intercettazioni di linguaggio, sia per dimensioni oniriche. Il Catullo che si distanzia da Ovidio è il Catullo che scrive: “Frequentatori assidui della schifosa bettola a nove pilastrini dal tempio dei fratelli berrettati credete di aver cazzo voi soli, voi soli di potervi scopare le ragazze credendo tutti gli altri un branco di caproni?”
Questo è Catullo, ovvero, anche questo è Catullo. Nelle 116 poesie o “Carmina” si vive un mosaico di amori e di ricordanze di pene o meglio patite.
Ritengo che il legame tra la classicità greca e quella latina sia segnata da due grandi rivoluzionari trasformatori della parola: da una parte c’è Saffo e dall’altra c’è Ovidio. Ovidio resta il più grande poeta della latinità antica e resta tale per eleganza, per non compromissione con alcuni circoli letterari e con alcune formazioni letterarie in quel contesto e in quella temperie, ma resta tale perché l’eleganza dell’uomo è l’eleganza della parola, lo stile dell’uomo e la coerenza dell’uomo sono nello stile e nella coerenza del linguaggio.
In tutto questo discorso penso che la funzione della tradizione che è stata tramandata abbia avuto un senso in quel tempo, in quel contesto, ma ha avuto un senso anche nelle epoche successive e nelle epoche successive, al di là di un antologizzare i poeti rappresentativi di un’epoca, i fari, le luci, le sfere restano Saffo e Ovidio.
Dunque. La poesia è fatta di parole. Sono una profezia o una condanna. Sono una profezia e una condanna. A volte la parola che supera la soglia del silenzio diventa una maledizione. Il suono del silenzio diventa più terribile del silenzio stesso. Sia la parola che il suono del silenzio o il silenzio se non abitano la metafisica della solitudine diventano pregiudizio.
Catullo è un nostalgico viaggio che ha bisogno del ricordare per legare il cuorealla passione.
Saffo è la morte fattasi profezia.
Properzio è un disperato che sorride cercando di superare la disperazione.
Alceo è un pianto che non ha ancora conosciuto le nenie.
Tibullo è la malinconia di una inesistenza.
Anacreonte si consuma nei giudizi.
Virgilio resta il cortigiano meno cortigiano, ma comunque, ubbidiente.
Callimaco è il frammento di esistenze. Unico è la Magna Grecia nella grecità.
Orazio pensava di aver capito tutto.
Ovidio è l’esilio nella nostalgia ed è convinto della trasfigurazione, ma cade nella trappola della tristezza.
Ovidio resta il più poetico e coraggioso di tutti insieme a Saffo e a molti versi di Catullo dei baci e dei t’amo.
Ovidio muore di esilio e in esilio. Saffo di suicidio. Catullo, appunto, muore di nostalgia. Ovvero: Catullo è l’amore che non muore tra la nostalgia del canto e la convivenza con il ricordo.