RARE–EARTH METALS PER DOMINARE
Il XXI secolo sta andando avanti fra timori e dubbi su Covid 19 e varianti, tra polemiche e investigazioni sulla sua origine, se naturale o di laboratorio, e in tal caso ancor più grande sarebbe l’interrogativo sull’essere umano. Intanto non s’affrettano i Potenti a ciò che maggiormente conta nel mondo globalizzato, a far sì che la pandemia venga quanto prima fermata anche nelle parti diseredate del globo. Non sarebbe, a ben riflettere, altruismo, solo difesa del loro stesso mondo da considerarsi, nonostante tutto, privilegiato. E il progresso tecnologico a gran velocità supera traguardi impensabili nel precedente secolo, si spande in ogni dove, tutti prende, sotto certi aspetti livella, sembra presentare forme nuove di eguaglianza. Al vertice di esso sono gli Stati che hanno o possono procacciarsi la materia per produrre quel progresso, da cui ricavano, ovviamente, ciò che interessa, il profitto. Ben pochi, nei secoli passati, avrebbero immaginato la desolata Groenlandia l’isola cui volgere le mire: non si era allora sopraffatti a livello globale da un mondo tecnologico senza il quale non è più pensabile vivere. Veicoli elettrici e ibridi, condizionatori e generatori di energia solare, luci fluorescenti e schermi al plasma, computer portatili e dispositivi elettronici portatili, veicoli spaziali e tutto quanto viene realizzato per una transizione verso l’energia dichiarata pulita e la decarbonizzazione hanno necessità di metalli ‘strategici’. Sono Rare-Earh Metals, nella nostra lingua ‘terre rare’, fondamentali per l’economia anche del futuro. Sparsi dappertutto nel nostro pianeta, pur se con maggiore diffusione in Cina, Brasile e Russia, i 17 elementi chimici (trascuriamo di menzionarli) che costituiscono le ‘terre rare’ (presenti alcuni metalli anche in Italia) si rivelano necessari per l’alta tecnologia, per la economia cosiddetta sostenibile, quella volta alla salute del pianeta, ad assicurare alle generazioni future la possibilità di una sopravvivenza su di esso. Non avremo, però, risolto il problema ecologico se non saremo attenti a riciclare apparecchiature elettriche ed elettroniche e ogni altra cosa contenente ‘terre rare’. Estrazione e raffinamento non sono infatti esenti da inquinamento, basti pensare che, secondo calcoli, l’estrazione di una tonnellata di terre rare produce migliaia di tonnellate di rifiuti tossici. La tecnologia non si può arrestare, è macina che ne produce altra ancor più avanzata, quindi con una richiesta maggiore di metalli strategici, pertanto vanno le estrazioni riconsiderate e ridimensionate con un’attenzione massima al riciclaggio. L’età che viviamo, se vogliamo tornare alla denominazione in base all’importanza dei metalli, potrebbe definirsi “Rare-Earths Metals”, “Età delle terre rare”. Sul pianeta la potenza degli Stati si misura ormai in relazione alla quantità di possesso delle ‘terre rare’. I Leader considerano il galoppante avanzamento tecnologico e gli introiti dalle esportazioni dei relativi prodotti per i quali sono necessari quei metalli, tentano quindi di appropriarsene in quelle parti della Terra dove le ‘terre rare’ sono molto presenti. Gli Stati meno forniti possono subire ritorsioni com’è successo al Giappone da parte della Cina per un contenzioso su piccole isole: industrie bloccate senza le ‘terre rare’ di provenienza dalla Cina e relativa perdita economica. Nella recente geopolitica, al pari dell’Africa cui non mancano i minerali, la Groenlandia, l’isola più grande del nostro pianeta (otto volte l’Italia la superficie con appena 60mila Inuit), ricca di idrocarburi e minerali del sottosuolo (a parte uranio e ‘terre rare’, sotto i ghiacci si ritiene che ci siano decine di miliardi di barili di gas naturale e ancor più miliardi di barili di petrolio) subisce le mire degli Stati tecnologicamente avanzati, in lizza un numero crescente, ma soprattutto Cina e Stati Uniti. Una sorte da sempre presente nella storia: delle proprie ricchezze i popoli possessori poco beneficiano se hanno debolezze strutturali. A Nuuk, capitale della Groenlandia, nazione costitutiva della Danimarca, Pechino offre denaro per la costruzione di infrastrutture di cui gli Inuit necessitano, Washington, dopo tentativi di acquisto dell’isola, si propone per il benessere dei groenlandesi. Il Dragone non molla: la Groenlandia è centralità dell’economia e dei progetti espansionistici per i quali ha rilevato da una compagnia londinese la miniera di Isua, costituendo inoltre un consorzio con l’Australia per la gestione di zinco e uranio. Ma neppure Washington molla, già al tempo di Hitler era presente nell’isola, poi nel corso della Guerra Fredda per intercettare attacchi da Mosca, e inoltre come utilizzo per esperimenti scientifici. Nuuk, date le scarse sovvenzioni provenienti dalla Danimarca, ha di recente accolto dagli USA 12 milioni di dollari, non molto, una piccola risorsa; intanto anche la Cina ha offerto miliardi di yuan ed è pronta a darne altri. Eh, sì, è sempre il denaro a gestire ogni cosa! C’è, però, da riflettere: vale il denaro senza una efficiente regolamentazione, senza una gestione che comprenda la diversificazione, lo sgancio dall’uno o dall’altro Stato? Una riflessione che sotto certi aspetti vale anche per noi. Comunque sarebbe per i groenlandesi auspicabile che acquisissero essi le competenze necessarie a ricoprire le cariche di rilievo sia nell’industria sia nella pubblica amministrazione. Una cosa è certa: nel secolo della grandissima diffusione della tecnologia il dominio è di chi è in possesso delle ‘terre rare’ con cui quella può essere posta in atto. Ma non è detto che non possa venire fuori il positivo dal mondo tecnologico globalizzato: la “decostruzione”, secondo il pensiero di Jacques Derrida, non è distruzione ma scomposizione delle varie parti perché l’analisi non sia semplicistica, per “cercare oltre le cose così come si presentano” ciò che può essere accolto e quanto va eliminato o trasformato, cercando di capire attraverso la ricostruzione.
Antonietta Benagiano