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Quanti millenni ci son voluti per passare dall’olivastro, la pianta selvatica originaria,  e giungere sino all’olivo, ricco di frutti gonfi di liquido benefico?  Forse se l’Italia  non fosse stata ricca di olio, vino e farro non sarebbe mai sorta la civiltà  latina e Roma non avrebbe mai illuminato il resto del Mediterraneo con la sua luce di civiltà. 

Noi siamo tutti debitori alla cultura/coltura  dell’olivo, simbolo di ogni bene.  Basti pensare alle parabole di Cristo e prima di lui ai riti dell’antica mitologia pagana in cui l’olio e l’unzione  erano il  simbolo di guarigione spirituale e di consacrazione  regale. “Unto” era un titolo ambito  e denotante nobiltà in tutti i sensi… Non come oggi che si pensa subito all’unto, sporco e sgradevole, appiccicatosi  sugli abiti  e da lavare al più presto con il detersivo… dal profumo chimico, non certo come   il sapone naturale,  poiché il sapone “vero”  è fatto appunto con l’olio d’oliva!

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Ma andiamo per ordine…

La raccolta delle olive a Treia

A partire da settembre sino a dicembre era tutto un andirivieni di  trattori e carri… prima l’uva ed infine il Re olio,  che garantiva la sopravvivenza familiare  per tutto l’anno.      Ma erano ancora  i vigneti che venivano curati e corteggiati e soprattutto gli oliveti, le vere sedi della ricchezza e della sicurezza alimentare.

Ed anche  negli orti urbani non era raro vedere tralci di vite ed olivi, e di questi ultimi ancora molti ve ne sono soprattutto nel terreno precedentemente adibito a coltivazioni sperimentali dall’Accademia Georgica. Pure nell’orticello di Caterina, in via Sacchette,  vi sono 4 piante di olive di San Francesco, ottime da fare in salamoia o sotto sale.


Quanti racconti ho ascoltato da  vecchi treiesi  che ricordavano le bevute di “acquaticcio”  e poi di vino novello… e quanti assaggi di olio… da sorbire con il cucchiaio prima di bere il vino, in modo da creare una patina oleosa nello stomaco e non ubriacarsi ai primi bicchieri…

Quelle erano le giornate più belle dell’anno. Bei tempi! Che io sappia l’unica famiglia che ancora si fa il vino in casa è quella dei Fratini (per intenderci  la famiglia di Don Vittorio,  di Dumì e di Italia e suo marito)

Ma oggi a Treia… son rimasti solo anziani, e pian piano con la vecchiaia incipiente sempre più sento dire “Oh quest’anno le olive sono poche e brutte e malate, non le ho nemmeno raccolte…” – “Oh,  la vigna l’ho tagliata, non c’era più nessuno che se ne  prendesse cura…”… Persino  gli alveari che sino a vent’anni fa erano il modo più facile per ricavare un dolce frutto, senza molta fatica,  sono stati  dismessi..

Quanti anni ancora ci restano prima della definitiva  fine di questo mondo? E Poi?

Beh, non voglio terminare senza una nota di speranza… Alcuni treiesi o nuovi venuti  stanno tornando alla Terra, dedicandosi a varie coltivazioni ed a ricerche sull’utilizzo di  erbe commestibili od altro.   Inoltre dovete sapere che  in un angolo  del giardinetto di Caterina, in via Sacchette,  qualche anno fa capitò che vi gettassi un nocciolo di oliva che non mi sembrava adatta per la salamoia.  Miracolo! Un giovane olivo è nato da sé, un caso rarissimo che una pianta di olivo nasca da un seme… Eppure  la piantina sta lì… a testimoniare una voglia di esistenza contro ogni logica e promette di continuare  a  crescere….

Paolo D’Arpini

 

Fonte: https://treiacomunitaideale.blogspot.com/2022/01/treia-un-ulivo-di-speranza.html

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