LA CRISI DELLE MATERIE PRIME SI FA SENTIRE
ANCHE SULLE PICCOLE E MEDIE IMPRESE DEL SALENTO
LA DENUNCIA DEL PRESIDENTE DELLA PICCOLA INDUSTRIA
DI CONFINDUSTRIA LECCE ROBERTO MARTI
Lecce, 21 gennaio 2022
Prot.n. 34/MRP
Ancora un altro freno alla crescita per le piccole e medie imprese del Salento.
“Le nostre PMI si trovano ad affrontare una nuova crisi, quella legata alla scarsità delle materie prime, dei componenti elettronici e della forte speculazione sui prezzi che ne sta derivando. Il territorio si stava appena riprendendo dagli effetti della pandemia (che si ripresenta tra l’altro con ulteriori incognite per il futuro), quando si è abbattuta la tremenda crisi dei componenti elettronici e delle materie prime per l’industria”. Ad affermarlo è Roberto Marti, presidente di Piccola Industria Confindustria Lecce nonché amministratore di un’azienda che produce dispositivi elettronici, che continua: “sono tanti i componenti essenziali per le nostre produzioni diventati ormai introvabili, anche sui mercati internazionali. Sono talmente rari da alimentare un fiorente mercato del falso. Un’altra stortura della globalizzazione delle produzioni e dei mercati che, in questi mesi, sta mettendo in ginocchio i sistemi produttivi del nostro paese. E a pagarne maggiormente le conseguenze sono proprio le piccole e medie imprese”.
Di fatto, le interruzioni produttive mondiali generate dai progressivi lockdown, come ha sostenuto la presidente Ursula Von der Leyen, hanno evidenziato l’eccessiva dipendenza delle nostre imprese dalle produzioni di semiconduttori dei paesi asiatici. A queste si aggiungono anche gas, energia elettrica, acciaio, petrolio, terre rare e molto altro di cui l’Italia è assolutamente carente o addirittura sprovvista. L’Europa non produce, quindi, gli speciali materiali che vengono utilizzati per realizzare i componenti di base dei chip: niente chip, niente smartphone, personal computer, TV, auto, monopattini, apparecchiature medicali, etc etc. Una discrasia tra domanda e offerta che sta minando nuovamente la precaria stabilità delle imprese del nostro paese. Ma non solo.
“Il trend è iniziato a giugno scorso – dice Marti – e non sembra arrestarsi, anzi. Le previsioni delle ultime ore hanno costretto nuovamente molte aziende a rivedere i piani industriali e a chiudere alcuni siti produttivi. Chi sta aspettando la sua auto nuova in concessionaria in questi mesi, di qualsiasi marca, sta sperimentando l’effetto della crisi dei semiconduttori sul consumatore finale. L’impatto sulle nostre PMI del perdurare di questa crisi sarebbe devastante: realtà che pagano già il costo della marginalizzazione geografica, dell’assenza di infrastrutture e della lontananza dai mercati di fornitura si trovano ad affrontare anche la crisi delle materie prime e dei costi energetici. E non è tema solo per le poche aziende elettroniche del nostro territorio. Ne stanno pagando le conseguenze molte aziende metalmeccaniche per la carenza di ferro e derivati, l’industria chimica e le costruzioni per la volatilità dei prezzi sui mercati delle materie prime, l’industria cartotecnica, quella di materie plastiche, chi lavora il legname e in molti altri settori”.
A tale situazione, come evidenziato dal Centro Studi di Confindustria, si aggiunge l’aumento dei prezzi delle materie prime sui mercati internazionali ampio e diffuso: petrolio +13% a dicembre 2021 su fine 2019, rame +57%, cotone +58%. Di recente, si è aggiunta l’abnorme impennata del gas naturale in Europa (+723%).
“Il balzo del gas – commenta il presidente Marti – si è trasferito sul prezzo dell’energia elettrica in Italia, facendo lievitare i costi energetici delle imprese industriali: 37 miliardi previsti nel 2022, dagli otto nel 2019. Un livello insostenibile, che minaccia chiusure di molte aziende. Di fronte a tale situazione Confindustria ha già presentato sul tavolo del Mise alcune proposte e il presidente nazionale Carlo Bonomi ha incontrato il presidente del Consiglio Mario Draghi. E’ emersa l’urgenza di intervenire sulle componenti fiscali e parafiscali della bolletta elettrica e del gas, di aumentare la produzione nazionale di gas, riequilibrando gli approvvigionamenti esteri, e di riformare il mercato elettrico”.
Il forte aumento dei costi per le imprese italiane si è tradotto in una brusca compressione dei margini operativi, data la difficoltà di trasferire ai clienti i rincari delle commodity: soffrono soprattutto i settori più a valle e i settori energivori. L’assorbimento dei rincari nei margini spiega anche perché l’inflazione in Italia rimane più bassa che altrove, pur crescendo (+3,9% annuo): al netto di energia e alimentari è moderata (+1,4%). Occorre, da un lato, lavorare affinchè questo periodo passi in fretta e gli scambi e i prezzi tornino all’originale equilibrio di mercato e, dall’altro, creare le condizioni per produrre chip nell’Unione Europea con l’obiettivo di eliminare la totale dipendenza dai paesi asiatici.