Stefano Galeani
Aldo Minghelli
I Consiglieri Galeani e Minghelli chiedono che il Consiglio ed, in particolare, la Presidenza di questo Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Roma intervenga per rimuovere le indebite ed illegittime limitazioni che i colleghi stanno subendo in ambito penale in conseguenza dell’applicazione dal giorno 17 gennaio 2022 dei decreti emessi:
- il 10 gennaio 2022, con decreto numero 4/2022, dal Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Roma, Dottor Antonio Mura, nella sua qualità di capo dell’ufficio e di responsabile della sicurezza delle strutture in cui si svolge l’attività giudiziaria, indirizzato al Magistrato Segretario generale della Procura generale, al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Roma, ai Procuratori della Repubblica presso i Tribunali del distretto e ai Dirigenti Amministrativi della Procura Generale di Roma nonché, per conoscenza, ai Consigli degli Ordini degli avvocati del distretto, “per agevolare la tempestiva attuazione delle prescrizioni legislative” introdotte con D.L. n. 1/2022, ha disposto che “i delegati dal Procuratore Generale (Segretario Generale e Procuratori della Repubblica) estenderanno, con effetto immediato, i controlli di cui al precedente punto 3 (possesso del green pass base) a difensori, consulenti, periti e altri ausiliari del magistrato estranei alla amministrazione della giustizia, ai sensi dell’art. 9 sexies, comma 4, del d.l. n. 52 del 2021, come modificato dall’art. 3, co. 1, n. 2, lett. b) del d.l. n. 1 del 2022”, fermo restando il termine del 15 febbraio 2022 per l’esibizione del green pass rafforzato per gli ultracinquantenni.”;
- il 14 gennaio 2022, con decreto n. 170/2022, dal Procuratore della Repubblica Aggiunto delegato alla Sicurezza presso il Tribunale di Roma, Dottoressa Lucia Lotti, aderendo al decreto del suo omologo presso la Procura Generale della Corte di appello, finalizzato alla gestione delle modalità di controllo del green pass all’ingresso della città giudiziaria di p.le Clodio ad opera degli Agenti di Polizia Penitenziaria in servizio, e al pari di quanto stabilito con il decreto in premessa, ha dichiarato la “decorrenza immediata” del provvedimento. Precisa il decreto del Procuratore Aggiunto che l’adozione è seguita alle “opportune interlocuzioni con la Presidenza del Tribunale, con le rappresentanze dell’Avvocatura e con i vertici delle articolazioni della Polizia Penitenziaria”.
Sono questi avvenimenti, seguenti alla decretazione del DL 1/2022, e le interpretazioni date ad essere preoccupanti segnalando una pericolosa deriva e una predisposizione ad un’obbedienza inaudita nel panorama culturale italiano ed, ancor più, in un ambito come quello giuridico, dove ogni passo dovrebbe essere ragionato e verificato nei tempi e nei modi.
Riguardo allo stato di pericolo per il diritto costituzionale alla tutela della salute collettiva quale premessa dell’intervento normativo in contestazione, cominciamo con il dire che, nel passaggio della premessa del DL 1/2022 si legge: “Considerato che l’attuale contesto di rischio impone la prosecuzione delle iniziative di carattere straordinario e urgente intraprese al fine di fronteggiare adeguatamente possibili situazioni di pregiudizio per la collettività; Ritenuta la straordinaria necessità e urgenza di integrare il quadro delle vigenti misure di contenimento alla diffusione del predetto adottando adeguate e immediate misure di prevenzione e contrasto all’aggravamento dell’emergenza epidemiologica; Ritenuta la straordinaria necessità ed urgenza di rafforzare il quadro delle vigenti misure di contenimento della diffusione del virus, estendendo, tra l’altro, l’obbligo vaccinale ai soggetti ultra cinquantenni e a settori particolarmente esposti, quali quello universitario e dell’istruzione superiore.”; ciò vale a dire che, nelle premesse del DL medesimo, prima fonte che va letta, l’AMBITO GIUDIZIARIO non è tra i “settori particolarmente esposti”, nell’attuale “contesto di rischio” nello “stato di pericolo per il diritto costituzionale alla tutela della salute collettiva”.
Ne consegue che, in punto di effettività della sussistenza di “condizioni sanitarie di eccezionale emergenza giustificative della limitazione delle libertà e dei diritti individuali”, è probabilmente per questo che il D.P.R. 1/22 all’art. 1 pone addirittura un obbligo vaccinale per la prevenzione dell’infezione da SARS-CoV-2 ai cittadini italiani e di altri Stati membri dell’Unione europea residenti nel territorio dello Stato, nonché ai cittadini stranieri di cui agli articoli 34 e 35 del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, che abbiano compiuto il cinquantesimo anno di età (in palese in violazione del combinato disposto degli artt. 3, 32 Cost.) ma si limita a prescrivere art. 3, “Estensione dell’impiego delle certificazioni verdi COVID-19”, l’obbligo di esibizione del “solo” green pass per l’ingresso negli Uffici Giudiziari, intervenendo, con i soliti incomprensibili make-up legislativi sull’art. 9-sexies di altro decreto, aggiungendo i “difensori” nel novero degli obbligati e continuando a tenere esenti i soli “testimoni” e “parti del processo”.
È sempre in quest’ambito, al co. II, lett. B, n. 3, che, dopo aver esteso l’obbligo di esibizione del green pass ai colloqui visivi carcerari viene aggiunto, con la solita tecnica, dopo il comma 8 del D.L. 22 aprile 2021, n. 52, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 giugno 2021, n. 87, un comma 8-bis che prevede: “L’assenza del difensore conseguente al mancato possesso o alla mancata esibizione della certificazione verde COVID-19 di cui al comma 1 non costituisce impossibilità di comparire per legittimo impedimento.”. Qui occorre soffermarsi, anche per valutare la regolamentazione attualmente vigente.
Come detto, le premesse del D.L. non annoverano l’AMBITO GIUDIZIARIO tra quelli a elevato rischio, mentre il D.L. introduce il mero obbligo di esibizione del green pass all’ingresso da vaccinazione o da tampone, per evitare che chi si è vaccinato, e si presuma sano, e parimenti chi non ha adempiuto, abbiano accesso al Tribunale solo previa verifica dell’assenza attuale di contagio da COVID SARS 19 mediante vaccino, guarigione o tampone.
Corretto, comprensibile, sebbene la sanzione che impone al Giudice di non poter considerare l’assenza “impossibilità di comparire per legittimo impedimento” ponga diverse problematiche di carattere costituzionale di non poco rilievo di violazione del Diritto di Difesa di cui bisognerebbe occuparsi.
Il decreto del Procuratore Generale puntualizza che “in caso di soggetto che dovesse risultare non in regola con gli obblighi di legge, i preposti al controllo dovranno vietare l’accesso alla struttura o la permanenza in essa se la persona già vi abbia fatto ingresso”, aggiungendo che “il presente provvedimento avrà efficacia immediata”. Il provvedimento dà atto che le linee di indirizzo “sono state preventivamente partecipate all’avvocatura istituzionale e associata”, senza meglio definire quali soggetti siano stati coinvolti e sulla scorta di quale mandato di rappresentanza.
Ebbene, entrambi i decreti numero 4/2022 del Procuratore Generale della Repubblica e numero 170/2022 del Procuratore Aggiunto delegato alla sicurezza sono palesemente illegittimi e gravemente lesivi del diritto di difesa oltre che della libertà degli Avvocati.
In primo luogo perché, per espresso dettato di legge, gli Avvocati dovranno essere tenuti alla esibizione della certificazione verde soltanto a partire dal giorno 1 febbraio 2022 e nulla spiega il motivo per cui tale termine sia stato anticipato. L’articolo 3, comma 1, del D.L. n. 1/2022, dopo aver elencato i soggetti destinatari delle nuove disposizioni, includendo anche gli avvocati, precisa infatti i tempi di decorrenza dell’efficacia delle stesse e al co. «1-bis. Fino al 31 marzo 2022, è consentito esclusivamente ai soggetti in possesso di una delle certificazioni verdi COVID-19, di cui all’articolo 9, comma 2, l’accesso ai seguenti servizi e attività, nell’ambito del territorio nazionale: a) servizi alla persona; b) pubblici uffici, servizi postali, bancari e finanziari, attività commerciali, fatti salvi quelli necessari per assicurare il soddisfacimento di esigenze essenziali e primarie della persona, individuate con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato su proposta del Ministro della salute, d’intesa con i Ministri dell’economia e delle finanze, della Giustizia, dello Sviluppo Economico e della Pubblica Amministrazione, entro quindici giorni dalla data di entrata in vigore della presente disposizione; c) colloqui visivi in presenza con i detenuti e gli internati, all’interno degli istituti penitenziari per adulti e minori. 1-ter. Le disposizioni di cui al comma 1-bis, lettere a) e c) si applicano dal 20 gennaio 2022. La disposizione di cui al comma 1-bis, lettera b), si applica dal giorno 1 febbraio 2022, o dalla data di efficacia del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui alla medesima lettera, se diversa. Le verifiche che l’accesso ai servizi, alle attività e agli uffici di cui al comma 1-bis avvenga nel rispetto delle prescrizioni di cui al medesimo comma sono effettuate dai relativi titolari, gestori o responsabili ai sensi del comma 4».
Essendo chiara la lettera del testo legislativo, risulta evidente come i decreti emanati dai Rappresentanti della Procura Generale e della Procura Ordinaria della Repubblica si pongano in evidente violazione di legge, pretendendo di modificare mediante regolamento il dettato di una fonte normativa, il Decreto Legge del 7 gennaio 2022, n. 1, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Serie generale n. 4 del 7 gennaio 2022, entrato in vigore il giorno 8 gennaio 2022, pretendendo la sua osservanza da parte di soggetti, gli Avvocati, che non si pongono in alcun rapporto di dipendenza con gli Uffici di Procura.
Gli infaticabili esecutori della volontà dell’esecutivo si mostrano più realisti del Re. A nulla rileva la partecipazione a tale ordito di non meglio specificati “rappresentanti” dell’Avvocatura, i quali, piuttosto, dovranno essere ritenuti responsabili sotto il duplice profilo deontologico e penale, avendo prestato collaborazione alla adozione di un provvedimento che contiene l’espressa minaccia di impedire l’esercizio della funzione difensiva costituzionalmente prevista e tutelata in caso di mancata esibizione della certificazione verde prima che il provvedimento dispieghi i suoi effetti. La minaccia rende ancor più grave e pregiudizievole la coercizione che si vuole perseguire, considerando che la mancata esibizione del green pass base, per espressa disposizione di legge, non potrà essere fatta valere quale legittimo impedimento a comparire per l’avvocato che non si conformerà. Anticipare gli effetti di tale imposizione e con essa delle conseguenze sul piano processuale alla data del 14 gennaio configura un esercizio indebito di un potere rimesso espressamente dal decreto legge al D.P.C.M. non intervenuto sul punto e altresì integra una feroce forma di violenza privata, costringendo l’Avvocato a rinunciare all’esercizio del diritto dovere di difendere il proprio assistito, nonché all’obbligo di prestare fedelmente il patrocinio di cui è stato investito, arrivando finanche a rispondere penalmente dell’eventuale rifiuto di prestarlo, art. 105 c.p..
Costringere “anticipatamente” il difensore, rispetto al termine voluto dal legislatore, al possesso ed all’esibizione del certificato verde per avere accesso agli uffici giudiziari, minacciandone l’allontanamento fisico ad opera di forze di polizia e la sua segnalazione all’autorità amministrativa per l’adozione dei conseguenti provvedimenti, già stigmatizzabile per come concepito nel decreto legge di provenienza governativa, stante la manifesta irragionevolezza della mancata previsione del medesimo obbligo per l’imputato che siede accanto al difensore, configura senza meno il reato di violenza privata, previsto e punito dall’art. 610 del c.p., e quello di interruzione del servizio giudiziario pubblico, rilevante ai sensi dell’art. 340 c.p.
I regolamenti emanati fanno emergere un’altra problematica rilevante che invece appare poco considerata che è quella relativa a chi possa controllare in ambito giudiziario la Certificazione COVID-19. Chiunque intenda procedere alla stesura di un regolamento attuativo della verifica del c.d. «green pass» (nonché dei certificati equipollenti ex art. 3, co. VIII del Regolamento UE 953-2021, punto 3), deve almeno rispettare la Costituzione e ogni regolamento UE, fino a prova contraria norma sopraordinata, tra cui il numero 679 del 2016 (anche noto come GDPR) relativo alla Privacy.
Solo un responsabile del trattamento dati ha titolo per lecitamente trattare i dati sensibili di una persona. Questi deve essere espressamente nominato dal Titolare del trattamento (Ministero della Salute) e deve osservare le seguenti disposizioni:
– art. 29 GDPR – il responsabile del trattamento dei dati, o chiunque agisca sotto la sua autorità, e che abbia accesso ai dati personali, deve essere istruito dal titolare del trattamento;
– art. 32 GDPR, paragrafo 4 – chiunque agisca sotto l’autorità del titolare e abbia accesso ai dati personali, non deve trattare tali dati se non è istruito in tal senso dal titolare del trattamento.
– art. 39 GDPR – Il Data Protection Officer deve curare la sensibilizzazione e la formazione del personale che partecipa ai trattamenti e alle attività di controllo
Ergo, il soggetto che intenda controllare la Certificazione COVID-19 deve:
– essere stato nominato Responsabile del trattamento dati dal Titolare del trattamento dati (Ministero della Salute);
– avere assolto all’obbligo di formarsi ex artt. 29, 32, 39 del GDPR;
– rilasciare l’informativa relativa al «quadro di fiducia» all’interno del quale si collocano le procedure per la verifica dei dati contenuti nel «green pass», indicando:
- i soggetti deputati al controllo delle certificazioni;
- le misure per assicurare la protezione dei dati personali sensibili contenuti nelle certificazioni (art.9 DL 52)
Nel dettaglio, deve fornire in forma scritta, concisa, trasparente, intelligibile e facilmente accessibile, con un linguaggio semplice e chiaro;
– l’informativa ex art. 12, avente il contenuto previsto dagli artt. 13 e 14, nonché le comunicazioni di cui agli artt. da 15 a 22 e art.34 del GDPR (regolamento UE 2016/679) relative al trattamento dei dati;
– l’identità e i dati di contatto del titolare del trattamento e, ove applicabile, del suo rappresentante;
– i dati di contatto del responsabile della protezione dei dati;
– le finalità del trattamento cui sono destinati i dati personali nonché la base giuridica del trattamento;
– i legittimi interessi perseguiti dal titolare del trattamento o da terzi;
– gli eventuali destinatari o le eventuali categorie di destinatari dei dati personali;
– il periodo di conservazione dei dati personali;
– l’esistenza del diritto dell’interessato di chiedere al titolare del trattamento l’accesso ai dati personali e la rettifica o la cancellazione degli stessi o la limitazione del trattamento dei dati personali che lo riguardano o di opporsi al loro trattamento, oltre al diritto alla portabilità dei dati;
– l’esistenza del diritto di revocare il consenso in qualsiasi momento senza pregiudicare la liceità del trattamento basata sul consenso prestato prima della revoca.
In conclusione, la verifica del GP non è nelle competenze delle Forze dell’Ordine (neanche dei NAS), né delle ASL, né dei datori di lavoro e tanto meno dei ristoratori, trasportatori, medici, bidelli o altre figure e chi intenda esigere da me l’esibizione del green pass viola una serie di norme che forse nemmeno conosce e che non sa di violare. Chi affida tali mansioni in questi termini le affida in modo illegittimo. Non basta un decreto legge: l’ordinamento giuridico è un insieme di norme che devono funzionare in maniera armonica; i regolamenti UE sono norme di ordine superiore e quindi non possono essere derogati da una legge interna di rango inferiore. Non si può parlare di rispetto collettivo violando le leggi e imponendo la minacciata costrizione a mostrare i dati sanitari personali.
Peraltro nei regolamenti già si prevede, ancora sulla base di un’ulteriore errata lettura della norma, “il termine del 15 febbraio 2022 per l’esibizione del green pass rafforzato per gli ultracinquantenni”, alla cui mancata ottemperanza, nelle intenzioni del sottoscrittore dei regolamenti, scatterà l’esclusione del professionista dal Tribunale. Questa conseguenza non appare neppure nelle intenzioni del legislatore e deriva da un errato accostamento tra la previsione relativa ai lavoratori per l’accesso “ai luoghi di lavoro” e la realtà degli Avvocati.
Nonostante forse i sommessi desideri di qualcuno, gli Avvocati non sono “lavoratori dipendenti” ma “liberi professionisti”; si recano in Tribunale perché è uno dei luoghi in cui prestano la loro “prestazione professionale” ma non hanno come “sede di lavoro” il Tribunale; non essendo “dipendenti” del Tribunale, non possono essere sanzionati dai vertici delle Procura e dei Tribunali o Corti che dir si voglia che non sono – e non debbono essere – “datori di lavoro”. Non siamo insomma lavoratori dipendenti e simili limitazioni possono tutt’al più applicarsi a quei “legali” che lavorano per banche, assicurazioni, consorzi, salvo laddove ci si trovi ad esercitare in ambito giudiziario.
Quello perpetrato è un attacco incivile alla funzione giudiziaria dell’avvocato.
Il Presidente del COA di Milano, Avv. Vinicio Di Nardo al riguardo ha correttamente affermato che “Comunque la si pensi su vaccini, contagi, varianti e tamponi, non si può sentire una legge che sostanzialmente dice “il legittimo impedimento non vale come legittimo impedimento”. È successo in passato con una poco gloriosa sentenza della Cassazione, ma lì il tema era l’abuso del diritto. Qui invece parliamo di “esercizio” di un diritto. E il problema non è come sostituire il difensore senza green pass. Il problema, ben più grave perché va alla radice dell’art. 24 della Costituzione, è privare il cittadino del diritto di scegliersi l’avvocato”. Ora, ha continuato “testimoni e parti continuano a essere esenti, mentre gli avvocati no e si decide di continuare a fare i processi ma sacrificando qualcosa del diritto alla difesa” (…) “Sta emergendo una visione dell’avvocato che i più non vedono, perché impegnati nella battaglia ideologica pro e no vax, che è molto preoccupante proprio mentre le commissioni che stanno redigendo i decreti legislativi sulla riforma dei codici vogliono tradurre in norme le esperienze della pandemia, che suggeriscono una ‘smaterializzazione’ del processo con, per esempio, le udienze a distanza. Questa visione che sacrifica il diritto alla difesa è molto pericolosa.” Concludendo: è “Sbagliato che il governo decida che non avere il pass non è legittimo impedimento” (…) “Il governo dice che non costituisce un legittimo impedimento non avere il green pass. In sostanza l’esecutivo invade il terreno del Giudice che ha sempre avuto il compito di svolgere valutazioni nel caso singolo sull’esistenza o meno dell’impedimento. Se anche ci fosse una motivazione ragionevole, mi viene in mente che quel giorno il legale non è riuscito a trovare un posto dove fare il tampone, il Giudice non può a priori dichiarare l’impedimento.”.
Dunque, “Fiat iustitia, ruat caelum”, cioè “Sia fatta giustizia anche se cade il cielo”, dicevano i latini, anche se al momento sembra maggiormente calzante il detto di Taiwan, suggerito dalla collega Natalie Wahl “non puoi svegliare chi fa finta di dormire“.
Ciò doverosamente premesso, questi Consiglieri chiedono che il Consiglio intervenga a sostegno dei propri iscritti, tutti:
- chiedendo l’immediata sospensione delle attività di verifica del green pass negli uffici giudiziari in cui ciò sta avvenendo;
- diffidando gli emittenti regolamento ad uniformarsi alle normative di legge, prevedendo controlli attuati in maniera legittima da personale autorizzato;
- promuovendo un’interlocuzione istituzionale che evidenzi le errate interpretazioni del DL 1/2022 ed impedisca l’ulteriore scempio che si vuole consumare in danno dei colleghi ultracinquantenni;
ferma la necessità di intervenire in difesa del diritto di difesa.
A fronte delle nostre richieste il Consiglio, a maggioranza, ha ritenuto di dover unicamente promuovere un’interlocuzione istituzionale
Avv. Stefano Galeani
Avv. Aldo Minghelli