Cresce inarrestabile il numero dei firmatari del più grande appello alle Nazioni Unite per una inchiesta
Lo scorso 27 gennaio, il Comitato britannico “Justice for the Victims of the 1988 Massacre in Iran – JVMI” ha tenuto una conferenza stampa alla “Church House” di Londra, per ribadire la campagna portata avanti da anni per una inchiesta internazionale su quello che può essere definito il peggior crimine contro l’umanità del regime iraniano.
La conferenza stampa è stata preceduta, il martedì precedente, dalla pubblicazione di una lettera aperta indirizzata alla Commissione per i Diritti Umani delle Nazioni Unite e firmata da 463 tra personalità e istituzioni di spicco.
L’ex capo dell’Ufficio ONU per i Diritti Umani in Iraq e Presidente della JVMI, Tahar Boumedra, ha descritto l’iniziativa come “il più grande appello internazionale nella storia rivolto alle Nazioni Unite da parte della comunità internazionale di esperti e sostenitori dei Diritti Umani affinché i funzionari iraniani responsabili del massacro del 1988 vengano condannati”.
Assieme al Tahar Boumedra, hanno presieduto la conferenza stampa l’ex Ministro britannico per lo Sviluppo Internazionale, la baronessa Verma, e Struan Stevenson, ex membro scozzese del Parlamento Europeo e attuale direttore della “Campagna per il Cambiamento in Iran”. Verma ha colto l’occasione per commentare il potenziale impatto della lettera, osservando che probabilmente andrà a rafforzare il parere dell’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, secondo il quale non ci sono “barriere legali a un’inchiesta internazionale sul massacro”.
La stessa lettera invita il Consiglio dei Diritti Umani “a intervenire urgentemente per interrompere l’impunità di cui godono i funzionari iraniani, dando mandato per un’indagine internazionale sulle esecuzioni di massa del 1988 e le sparizioni forzate di migliaia di prigionieri politici, che costituiscono continui crimini contro l’umanità”.
Il riferimento alla “impunità” ricalcava una serie di precedenti dichiarazioni della JVMI e di altre organizzazioni, compresa una di Amnesty International che si riferiva all’elezione di giugno del presidente iraniano Ebrahim Raisi come un “triste avvertimento che l’impunità regna sovrana” nella leadership del paese.
Nel 1988, Raisi era il vice Procuratore di Teheran e, a seguito della fatwa emanata dal leader supremo Ruhollah Khomeini sull’opposizione organizzata al regime teocratico, divenne uno dei principali responsabili del successivo massacro. Raisi era uno dei quattro funzionari che sedevano nella “commissione della morte” di Teheran, che supervisionava l’interrogatorio e l’esecuzione dei detenuti politici nelle prigioni di Evin e Gohardasht.
La sua autorità è stata poi estesa ad altre località su ordine diretto di Khomeini, come risultato del suo particolare zelo nella piena attuazione della fatwa.
La lettera citava, inoltre, il documento del 1988 con il quale veniva preso di mira il principale gruppo di opposizione iraniano, il “People’s Mojahedin Organization of Iran – PMOI/MEK”, decretando coloro che “rimangono saldi nel loro sostegno” sono “in guerra contro Dio e sono condannati all’esecuzione”.
Già nel comunicato che annunciava la conferenza stampa del JVMI era stata inserita l’accusa di genocidio per il regime di Teheran, individuando nel massacro del 1988 i caratteri peculiari di un “crimine contro l’umanità”. Una interpretazione che non lascia spazi al dubbio per il fatto che le commissioni della morte del regime abbiano ordinato in tutto il Paese l’esecuzione, per impiccagione e fucilazione, di più di 30.000 prigionieri politici in un lasso di tempo di tre mesi.
La baronessa Verma, nel corso della conferenza ha ricordato come i governi occidentali, a quei tempi, non fossero completamente all’oscuro in quanto messi al corrente della tragedia in atto dal leader del MEK Massoud Rajavi, tra gli altri. Ha quindi concluso che quegli stessi governi hanno ora la responsabilità di mettere fine all’impunità del regime ricorrendo alle Nazioni Unite, come forum ideale per sollecitare l’inizio di una indagine internazionale su questo e altri crimini contro l’umanità perpetrati dagli Ayatollah.
Durante la conferenza stampa è stato, altresì, sollevato il timore che una eventuale mancata applicazione della retroattività sugli abusi compiuti dal regime, possa avere un effetto moltiplicatore dei soprusi compiuti da Teheran.
“Siamo preoccupati per il fatto che un mancato riconoscimento dei responsabili di crimini del passato, da parte della comunità internazionale, possa incoraggiare le autorità iraniane a commettere ulteriori atrocità contro i manifestanti dissidenti e i prigionieri politici, come testimoniato nel corso della repressione sanguinaria delle proteste nazionali del 2019”, così i firmatari della Lettera alla Commissione ONU per i Diritti Umani.
Le proteste in questione sono scoppiate spontaneamente in quasi 200 città e paesi nel novembre di quell’anno, ma sono state immediatamente represse dalle autorità che hanno aperto il fuoco sulla folla usando munizioni vere. Circa 1.500 manifestanti pacifici furono uccisi e altre migliaia furono arrestati. Molti di questi sono stati sottoposti a inumane torture per diversi mesi, come emerso in un dettagliato rapporto di Amnesty International intitolato “Trampling Humanity”.
Le considerazioni mosse da Struan Stevenson alla conferenza stampa del JVMI hanno evidenziato il ruolo di primo piano di Raisi in quella repressione, avvenuta mentre era a capo della magistratura iraniana. Stevenson ha poi continuato a sottolineare alcuni degli strumenti a disposizione dei singoli Paesi e delle entità interne agli stessi, le quali potrebbero esercitare pressioni su chi viola i Diritti Umani in Iran, in attesa che le Nazioni Unite aprano l’inchiesta richiesta.
Lo stesso Stevenson ha reso nota una personale iniziativa con la quale ha presentato una richiesta di arresto di Raisi nel caso in cui egli avesse messo piede sul suolo scozzese. Questo apparentemente ha impedito al Presidente iraniano di partecipare al vertice sui cambiamenti climatici “COP26” a Glasgow, lo scorso autunno. Stevenson ha inoltre rilevato come richieste simili sono state mosse alle autorità giudiziarie di altri Paesi, prima di dichiarare che Raisi “è meglio che sia avvertito che se metterà piede, quasi ovunque, in Occidente… potrebbe essere sottoposto ad arresto immediato, e la sua impunità avrà fine”.
La minaccia di arresto su suolo straniero trova il suo fondamento nel principio di giurisdizione universale, che permette praticamente a qualsiasi Paese di perseguire gravi violazioni del Diritto Internazionale, anche se queste violazioni non hanno avuto un impatto diretto sul Paese che le persegue. Nel 2019, ad esempio, questo principio è stato invocato per giustificare l’arresto di Hamdi Noury, ex funzionario carcerario iraniano, durante una sua visita in Svezia. Noury è attualmente sotto processo per crimini di guerra e omicidio di massa per la sua partecipazione diretta ai massacri del 1988. Dopo più di tre decenni, è il primo funzionario a risponderne di fronte alla giustizia.
I firmatari della lettera aperta sperano che questo non sarà l’ultimo caso, nella speranza di ulteriori procedimenti basati sulla giurisdizione universale, anche in linea con una recente dichiarazione di Amnesty International, che auspica proprio questa soluzione.
Tuttavia, l’attenzione della lettera si è concentrata sulla prospettiva di un’indagine guidata dall’ONU che porti all’attivazione della Corte penale Internazionale. A rafforzare questa visione, le firme, tra gli altri, del giudice Sang-Hyun Song, ex presidente della CPI. A lui si sono uniti più di 100 attuali ed ex funzionari delle Nazioni Unite, compresi gli ex capi sia del Consiglio di Sicurezza che della Commissione per i Diritti Umani.
Molti di questi avevano già sottoscritto un precedente appello nel maggio del scorso anno, poche settimane prima che Raisi fosse nominato presidente. Si tratta, pertanto, di un sempre più diffuso e condiviso senso di urgenza di porre fine all’impunità storica del regime di Teheran.
“Questo è un regime che arbitrariamente si sta ponendo al di sopra del Diritto Internazionale”, ha ribadito Tahar Boumedra al termine della conferenza stampa, “ed è per tale che dobbiamo agire per condurlo di fronte alle proprie responsabilità; è necessario che tutti coloro abbiano preso parte ai massacri – compreso il Presidente della Repubblica Islamica, Ebrahim Raisi – vengano ritenuti responsabili”.