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NON EROGA METANO

Di Andrea Giovalè

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Con Sara Mafodda, Michele Eburnea, Mersila Sokoli

 

Dall’11 al 13 febbraio

Altrove Teatro Studio – Via Giorgio Scalia, 53 Roma

 

 

Debutta sul palcoscenico dell’Altrove Teatro Studio, dall’11 al 13 febbraio, NON EROGA METANO, spettacolo scritto da Andrea Giovalè e interpretato da Sara Mafodda, Michele Eburnea, Mersila Sokoli.

È notte fonda, una macchina si ferma alla Stazione di servizio Colle Tasso Nord. All’ottavo mese di gravidanza, Mersila scende dalla macchina e bussa alla porta dell’autogrill. È ancora presto, le serrande sono socchiuse. Ad aprirle, arriva Sara. Mersila non sembra a suo agio, qualcosa la turba. Tra le due si instaura uno strano legame. Sara la invidia: un figlio è un dono che a lei non riesce. Mersila invidia Sara: ancora in grado di decidere cosa fare della sua vita senza dipendere da qualcos’altro. L’impasse si sblocca solo con l’entrata in scena di Michele. Con lui, entrambe sembrano rincuorarsi. Ma se Sara è rassicurata dalla presenza del suo fidanzato, perché anche Mersila lo è?

Una storia drammatica venata di profonda ironia, che si sviluppa attorno a un triangolo di segreti e incomprensioni.

Un gioco d’incastri dal senso dell’umorismo perverso. La storia si apre la “notte dell’incontro” in un non-luogo, l’Autogrill. Lenta ma inesorabile come una fuga di gas, la notte farà esplodere la verità sui tre ragazzi che, per un motivo o per l’altro, “ragazzi” non potranno più essere. Ciò si traduce in una messa in scena minimale ma ricca di simboli e significati. Un bancone, un tavolo, un paio di fazzoletti. Anche il testo, reale, impacciato, ai limiti del pre-testuale, è solo la punta del conflitto. La verità è un’arma impropria e i personaggi devono imparare come impugnarla, prima di poterla sfoderare. È una situazione assurda che si prende gioco di momenti lirici (tutte le mattine, all’alba, Michele recita una preghiera leggendo i graffiti in autostrada) e flirta con l’onirico (Sara, per gioco e desiderio, spesso finge di essere incinta). Eppure, appena ci si abitua, si riconoscono i segni violenti di una generazione, quella dei prossimi trentenni, senza più strumenti a disposizione se non quello, per l’appunto, del sogno e del progetto assurdo.

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