Cari lettori,
questo numero de IL PUNTO è un prodotto precotto, scritto una settimana fa e diffuso oggi con spedizione programmata. Sono dall’altra parte del mondo senza collegamento internet e così sarà ancora per un po’ di giorni, quasi una cura di disintossicazione. Niente commenti di attualità, quindi, solo qualche riflessione per non perdere l’abitudine all’ appuntamento settimanale.
GRAZIE COMUNQUE PER L’EVENTUALE ATTENZIONE E DOPPIO GRAZIE A CHI MI MANDA INDIRIZZI MAIL DI AMICI O DI POTENZIALI ALTRI LETTORI!
RIFLESSIONI ECONOMICHE. ARRIVA L’INFLAZIONE
Se chiedete all’italiano medio quale sia il problema che oggi lo preoccupa di più difficilmente emergeranno i commenti sugli intrighi di palazzo, quanto piuttosto – SOPRATTUTTO SE VIVE A REDDITO FISSO – l’aumento dei prezzi che sta cominciando a scardinare l’economia spicciola delle imprese e delle famiglie.
Da quasi vent’anni (un beneficio dell’Euro che qualche euroscettico spesso è portato a dimenticare) la nostra economia viveva con prezzi sostanzialmente stabili e con un potere d’acquisito dell’Euro che si manteneva più o meno costante.
L’aumento imprevisto sta portando a situazioni complicate, ma solo chi ha i capelli grigi ricorda come si reagisce e come ci si cerca di muovere in una situazione di inflazione come quella che – dagli ’70 fino all’avvio dell’euro, con una “botta” inflattiva proprio nel 2002 all’avvio della nuova moneta, di fatto “arrotondata” a 1000 lire – attanagliò la nostra economia obbligando i governi ad adottare tutta una serie di meccanismi che speravamo dimenticati per sempre.
La nuova fase “calda” sta già intanto mettendo in evidenza le solite criticità, ma anche le furbizie vissute in inflazioni precedenti e infatti c’è chi si è subito allineato e “coperto”, mentre chi la subisce per la prima volta appare perplesso e più lento di riflessi.
Basta vedere il menu di un ristorante: quando i prezzi sono scritti a matita o con un pudico adesivo bianco a correggere quelli precedenti ecco un pessimo segnale. Idem la sparizione dei “prezzi fissi” pubblicizzati nelle vetrine o il ritiro dei manifesti pubblicitari di una nota catena di supermercati alimentari dove quelli rossi e blu a dicembre declamavano: “Aumentano i prezzi? Noi li abbassiamo!” che sono stati ritirati per un più pudico “Confronta i nostri prezzi!”.
Temo che la fiammata di aumenti non sarà comunque una parentesi veloce, anche perché l’aumento dei prezzi all’ingrosso è già in atto da diversi mesi e gli effetti – anche fosse risolta presto la questione energetica – perdureranno nel tempo, ingigantendosi con criticità di fondo che vanno ben al di là delle motivazioni iniziali.
Vengono subito a nudo l’impreparazione europea, ma anche i sotterfugi politici, le assurdità nei confronti della Russia (ma perché continuare a dipingerla come “aggressore” se non ha mosso un passo, perché dovrebbe essere più credibile Biden di Putin?) mentre vengono taciuti (e non tassati!) i mega profitti degli intermediari nelle forniture.
In queste settimane è stato sicuramente l’aumento del prezzo dell’energia a fare da detonatore, ma a ben guardare la concausa è stata proprio la pandemia che ha bloccato il mondo nel 2020 ed ha poi visto una ripresa incerta, dove i noli dei trasporti hanno svolto un ruolo essenziale nell’aumento dei costi, anche prima dell’aumento del gas.
Oltre un anno fa, in un mondo molto politicamente distratto, improvvisamente si è scoperto quello che, inascoltato, da anni diceva Trump (e non solo lui ovvero che la Cina controllava nella pratica – molto più che nella teoria – diverse materie prime fondamentali per produrre semi-conduttori, ma anche terre tare, navi da trasporto, container ecc. Tutte situazioni sottovalutate per anni, ma che per l’Occidente si sono trasformate in un cappio che fatalmente ha fatto lievitare i costi al primo accenno di ripresa post-Covid.
In una serie di onde telluriche generate dai prezzi di materie prime e trasporti – fondamentali in un mondo globalizzato (e che non lo era trenta anni fa!) – si corre a propria volta ad aumentare i propri prezzi di vendita con un effetto a valanga ancora prima di subirne gli effetti con un effettivo turnover dei propri acquisti, in una micidiale corsa preventiva che si scarica appunto sui prezzi al consumo.
Nel frattempo sono venute meno per evidenti vetustà d’uso quei meccanismi legislativi di aggiornamento automatico (per esempio dei salari e delle pensioni) che permettevano di creare una rete di ammortamenti sociali per rendere mento traumatico l’impatto dei prezzi su famiglie ed imprese. Meccanismi che peraltro a loro volta creavano altra inflazione in una spirale potenzialmente inarrestabile.
Oggi il grosso dei consumatori percepisce -per esempio – prima e di più l’aumento della benzina alla pompa (per il cartello bene in vista al distributore che cresce ogni settimana) rispetto ai beni in vendita al supermercato, soprattutto se i prezzi sono camuffati in mille modi: la pasta venduta a libbra e non a mezzo chilo (c’è scritto, ma il pacco sembra lo stesso) o la bevanda che non è più di 330 cl ma di 250 o con gli “sconti” su di un prezzo intanto già aumentato. Queste scelte distributive creano nel tempo l’aspetto più grave perché diventano irreversibili: forse la benzina potrà calare, ma i brezzi al banco non caleranno più.
L’aumento dei prezzi si alimenta da sé perché ed è concausa di speculazione, una corsa che è molto difficile interrompere almeno finchè non ci sarà un surplus di mercato o di produzione (sempre più improbabile nel mondo di oggi) che torni a far crescere il valore di acquisto. Per fortuna dell’Italia l’essere nell’Euro protegge oggi almeno dalla inflazione monetaria (la lira che si svalutava regolarmente sul dollaro, il marco o il franco svizzero). Era un vantaggio produttivo nel breve termine in termine di esportazioni, ma che generava da sé altri aumenti.
E’ difficile infatti bloccare i prezzi per legge e qualcuno ricorderà ancora il flop dei manifesti color violetto affissi sui muri con quel “Difendi la tua spesa, telefona al governo” con i quali lo Stato negli anni ’80 invitava i cittadini a telefonare a quelli che erano i primi “numeri verdi” governativi per segnalare anonimamente i nomi dei commercianti speculatori o che ignoravano i prezzi fissi del “paniere”.
Non servì perché alla fine non venne denunciato quasi nessuno.
Che fare, nel breve? Intanto, una buona prassi sarebbe una temporanea ma immediata sterilizzazione dei prezzi energetici per una fascia di consumi minimi “sociali” per sostenere il reddito fisso e soprattutto quello dei pensionati che (a milioni) sono ben sotto il livello di mille euro/mese, poi bisognerebbe avere più coraggio nel tassare le imprese che godono dell’aumento proprio delle materie prime, così come le rendite finanziarie speculative e non produttive, ma in un mercato globale questa è quasi una utopia.
Di queste cose si parla da mesi, ma il governo Draghi sembra molto meno attento ai problemi delle famiglie che a quelli delle grandi imprese, frutto di scelte politiche di fondo ed è curioso che la sinistra (ma c’è ancora?) faccia finta di non accorgersene.
Nonostante gli annunci di chi è apparso due anni fa al balcone di palazzo Chigi annunciando “Abbiamo vinto la povertà”, non solo i poveri infatti ci sono ancora ma, anzi, sono drammaticamente aumentati e con l’inflazione fatalmente saranno sempre di più, soprattutto tra pensionati e lavoratori dipendenti.
A TUTTI UN SALUTO E BUONA SETTIMANA MARCO ZACCHERA