Spalletti sappia che ‘’la miglior difesa è l’attacco’’ il suo gioco è antico
Ogni tanto alcuni allenatori (forse oramai ex) andrebbero sottoposti ad esami di letteratura sportiva riportando sul tavolo esempi che contano ed hanno fatto la storia del calcio.
Helenio Herrera, negli anni ’60 lo fece a capire dimostrandolo sul campo che il gioco difensivo di una squadra di calcio si sostanziava in quello d’attacco.
Quanto più sei offensivo, tanto più costringi l’avversario a chiudersi rendendogli le manovre offensive difficili quando non impossibili.
Si sfociò di lì a breve nelle tecniche di allenamento nuove e nel pressing a centrocampo introdotte da Sacchi in un’epoca di calcio totale coniata dagli olandesi.
In Italia si giocava prima d’allora ‘all’italiana’ e cioè catenaccio e gioco in contropiede.
Spalletti oggi, ne è lo strenuo rappresentante nonostante tutto.
Ma ciò è comprensibile se si considera che egli era a piantare pomodori nel suo orto quando un lungimirante De Laurentiis lo ha ingaggiato piazzandolo, dalla sera alla mattina, sulla panchina del Napoli raccomandandogli di dire alla tifoseria tutte le cose che, pedissequamente, ripetè e ripete nelle conferenze stampa. A solo scopo di rabbonirli…si capisce.
Oggi, un afflato di umiltà dovrebbe consigliargli di aggiornarsi, di ritornare tra i banchi di Coverciano in qualità di discente dove i docenti sono i De Zerbi, gli Italiano, i Dionisi, per parlare solo dell’Italia, insomma gente protesa nel miglior calcio di oggi con idee nuove, meccanismi e movimenti innovativi idee di calcio giocato su agonismo e tattica.
Al Napoli è toccato un signore scelto ovviamente con cura da un bacino stagnante e non competitivo addirittura dimenticato nell’oblio del tempo, da un presidente sparagnino che vuole incassare i soldi della CL (e quelli sono soldi veri non plusvalenze effimere che non si possono neanche fare più).
Dello scudetto niente, Non serve e non gli cambierebbe nulla se ne vincesse due come Ferlaino e queste sono parole sue.
Il signor Spalletti deve sapere che se ti segni con la croce per ben due volte quando vinci a Roma contro la Lazio, quello è il segno migliore e più puntuale che qualifica e distingue un approssimativo assemblatore di schemi vetusti da un allenatore moderno e innovatore.
Abbiamo visto un Fabian che in campo c’era e si vedeva, giocare nel ruolo di libero davanti alla difesa che avrebbe dovuto, proviamo ad immaginare, fluidificare ogni tanto proponendo offensive al centro del campo ed anche un po’ più giù (una volta si diceva così: libero fluificante come lo sciroppo per la tosse).
Abbiamo visto una squadra schiacciata dentro la propria parte del campo rassegnata a tornare la palla indietro proprio quando andrebbe ‘buttata’’ in avanti con un Osimhen che aspetta solo questo. O no?
Il signor Spalletti deve sapere che le sue creste di gallo cedrone non possono trovare spazi nelle conferenze stampa che presiede. Parlare non è il suo mestiere e si vede: sconclusiona, eccede, bolla come sentenze opinioni, mischia il sacro ed il profano, sbotta fuori luogo e, come un Tafazzi qualsiasi, si massacra le gonadi a colpi di bottiglia di plastica quando afferma: ‘questa è una squadra forte ed ha ancora di più da dimostrare, è ancora più forte di quanto non sembri’. Bene. Egli è consapevole oppure no che queste affermazioni, queste chiose definitive sono contro di lui e che proprio perché questa squadra è forte tutti i suoi limiti di allenatore vengono sistematicamente a galla?
Il Napoli perde 16 punti in casa. Se solo ne avesse incamerati otto di quei sedici oggi sarebbe primo in classifica.
Quanto basta per poter chiedere il conto al nocchiero, Spalletti, che è lui e solo lui il responsabile del gioco in campo.