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UNA RIFLESSIONE MATURATA IN…BANCA  NEGLI ANNI 50-60

 

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Lungi da me fare politica oggi, anzi, a questo proposito, mi sforzerò di essere completamente asettico pensando, in questa grave situazione bellica, soltanto all’aspetto umanitario che in questi ultimi giorni è stato fortemente torturato da una guerra che, almeno a mio avviso, non aveva nessuna motivazione per essere provocata.

Tutti abbiamo visto scene di terrore, di sangue, di distruzione che, giorno dopo giorno, hanno finito per provocare dentro di noi sentimenti di forte angoscia, specialmente quando abbiamo visto bombardare ospedali pediatrici, quando abbiamo visto mamme piangenti con bambini in braccio che non sapevano dove rifugiarsi e che, in qualche modo cercavano di nascondere ai piccoli ciò che stava accadendo ad opera di una società che, sia da una parte che dall’altra, è vittima di una malattia ancor più grande della guerra: mancanza di dialogo, incomunicabilità assoluta, società capace  di rapportarsi purtroppo solo  con la dialettica delle armi.

Detto spettacolo del tutto disumano e disumanizzante non dovrebbe più essere concepito all’alba del ventunesimo secolo, se è ben vero, come falsamente si crede, che il progresso avrebbe offerto all’umanità tutta condizioni di benessere, di ricchezza, di astensione dalle guerre e di gioiosa serenità.

Paradossalmente, forse perché l’uomo  moderno si sta incattivendo a causa delle varie costrizioni imposte dall’attuale modo di vivere, magari anche per mancanza di mezzi finanziari per sopravvivere proprio quando si credeva che detto progresso avrebbe favorito tutti in direzione di quanto ogni essere umano ambisce, sta succedendo invece tutto il contrario.  Stiamo arrivando, insomma, al punto di non poter più stare al passo con le troppe regole, e tanto meno con il dialogo.

Pensando al conflitto in essere, ho avuto un transfert nei confronti dei due attuali contendenti: Russia ed Occidente, anche se non è corretto parlare di occidente.

Per quanto attiene a quest’ultimo, io penso che non ci sia bisogno di caratterizzare noi stessi in quanto sappiamo chi siamo e cosa facciamo, sia nel bene che nel male. Per quanto invece attiene al popolo degli zar, vorrei esprimere un giudizio da me maturato in banca quando, negli anni 50/60, avevo rapporti di lavoro con il sistema dei pagamenti internazionali facente parte dell’ex Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, vale a dire quando (i colleghi della mia età lo ricorderanno), si facevano i pagamenti attraverso il clearing accentrato, realtà che non sto a spiegare in questa sede.

In questa occasione ho avuto modo di rapportarmi con diversi cittadini russi, anche con esponenti di primo piano delle banche di stato che accompagnavo, per dovere di ospitalità,  addirittura al Teatro La Scala di Milano, su richiesta della banca cove lavoravo. Al di là del fatto che gli esponenti maschili preferivano disertare il Teatro per… altre musiche piuttosto libertine, lasciando allo scrivente di seguire le vecchie signore rispetto a me che avevo allora poco più di vent’anni, avevo notato già da allora una forma-mentis che confliggeva completamente con il mio modo di pensare, esattamente come il giorno fosse notte, tanto da nutrire dei forti dubbi su qualsiasi tipo di dialogo.

Oggi vorrei quasi, non dico giustificare quanto sta succedendo, e neanche capire se non la guerra attuale nella sua infamia,  ma vorrei quanto meno esplicitare che, già da allora, due mentalità tanto diverse non potevano assimilarsi facilmente e che, di conseguenza, dovevano inevitabilmente fomentare conflittualità tali da portare ad un conflitto, demandando solo al Padre Eterno la facoltà di un giudizio finale.

E mi fermo qui, per mantenere la promessa iniziale di non toccare la politica. Almeno per una volta…

Arnaldo De Porti

Belluno Feltre

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