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La straordinaria valenza del restaurant branding

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La straordinaria valenza del restaurant branding

 

di Franco Presicci

 

Le idee per il professor Francesco Lenoci sono come le ciliegie: ne assaggi una e ne hai già pronta un’altra e un’altra ancora. Lui realizza un progetto e sul diario della sua segretaria, signora dolce, preparata e premurosa, c’è una lista di appuntamenti che fa pensare senza esagerare a quella del presidente Draghi. Viene da domandarsi se qualche volta la notte dorma. E, se dorme, sogni la presentazione di una boutique, di una ditta di confezioni della sua Martina Franca, di un forno a legna, che cuoce pane, pizze o friselle, di un caseificio, di una mostra fotografica a Verona o a Taranto o a Matera o a Roma o nel capoluogo lombardo, dove vive e ha lo studio nel Grattacielo della Terrazza Martini, in piazza Diaz. Credo che non riposi neppure nei week-end.

L’ho incontrato questa estate nell’Antico Forno San Martino, in via Mercadante, nella città dei trulli, impegnato in una discussione sulla panificazione con il proprietario Martino Montanaro, uomo alla mano, cortese e disponibile. Con le mani in pasta non so più da quanti anni, Martino gli mostrava i vari tipi di pane che uscivano profumati dal suo laboratorio, accolto dai sorrisi comunicativi, coinvolgenti di Francesco, sul quale era puntato l’obiettivo del fotografo che lo ritraeva con gli ottimi prodotti di Martino nelle forme più fantasiose. Subito dopo mi ha parlato di ciò che aveva messo in cantiere.

L’ho conosciuto una trentina di anni fa nel Chiostro di San Domenico a Martina, la sera in cui gli venne consegnato un premio importante, alla presenza di un pubblico scelto e numeroso e di giornalisti, tra cui una “troupe” di Rai 3. Lo trovai empatico, dall’eloquio scorrevole e semplice, con batture ironiche, di quell’ironia garbata, sapida, confidenziale che rende meno solenne, meno professorale una serata culturale.

Questa volta, il 19 marzo alle Stelline di Milano, farà da “navigatore” alla presentazione di un libro intitolato “Creative restaurant branding”. Un libro per i ristoratori, scritto durante la pandemia sanitaria da Nicoletta Polliotto e da Ilaria Legato e pubblicato dalla casa editrice Hoepli. “Un libro che potrebbe sembrare un’idea folle, invece non è un caso”, annota nella prefazione Gaetano Grizzanti, che subito rende omaggio alle due autrici e alla stessa casa editrice, “che hanno pensato a un modo di aiutare una delle categorie più colpite, mettendo a disposizione la loro competenza ed esperienza, specifiche nel settore dell’hospitality, affinché i professionisti del settore possano riprogettare l’identità del proprio locale per rilanciarlo e ricominciare.

 

Durante o dopo una crisi economica, il brand è come un salvagente. È in questi momenti che un brand adempie anche alla parte di scudo protettivo, mettendo in campo la sua capacità di farsi ricordare e distinguere sul mercato, dando una ragione di scelta al cliente. Un brand ha l’abilità di creare solidi rapporti relazionali e interattivi con i propri clienti. Un brand ha l’incarico intrinseco di comunicare valori e messaggi indiretti, costruendo una credibilità che rassicuri il consumatore e trasformi l’insegna di un ristorante in una porta d’accesso a un’esperienza identitaria”. Il libro è indirizzato agli imprenditori e ai lavoratori del regno dell’ospitalità e della ristorazione e a coloro che si stanno formando per entrare in quest’agone. Tutti hanno bisogno di un’ancora, di una boa, di una spinta d’incoraggiamento, di un sostegno anche morale.

 

Sarà Francesco Lenoci, docente di metodologie e determinazioni quantitative d’azienda all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e fondatore-gestore su Facebook di un gruppo dedicato al turismo enogastronomico e all’oleoturismo a fornire gli assist all’esperta Ilaria Legato. Il noto docente già tante volte ha tenuto conferenze sulla gastronomia, sui locali più famosi non soltanto in Lombardia, sui cibi tradizionali e no anche della Puglia, dell’Abruzzo

 

Di alcuni ristoranti conosce la storia, i piatti, il tipo di accoglienza, gli chef pluristellati, gli arredi, l’atmosfera e altro ancora. Una volta, durante l’illustrazione di un volume di Goffredo Palmerini, giornalista e scrittore, abruzzese doc, viaggiatore alla ricerca di storie di emigrati da raccontare in libri voluminosi e interessanti, l’ho sentito disquisire sul ristorante “Le Tre Marie” dell’Aquila, locale storico che si pregiava di una stella Michelin nel 1959, frequentato da Federico Fellini, Giulietta Masina, Franco Zeffirelli e tanti altri esponenti del cinema, della politica, della letteratura, della pittura. Un’altra volta l’ho sentito ricordare il più famoso film di Vittorio De Sica “Miracolo a Milano”, in occasione dell’inaugurazione da parte sua di un ristorante in piazzale Lavater a Milano denominato “Olio”.

 

Ascoltare Lenoci non è solo un piacere: è interessante, è come aprire le pagine dei Locali storici d’Italia e apprendere che ad un tavolo del “Gambrinus” di Napoli Gabriele d’Annunzio scrisse il testo di “’A vucchella”, forse per una provocazione (come dire che una canzone napoletana la poteva scrivere anche uno che non aveva avuto i natali sotto il Vesuvio); è come entrare nel “Catullo“ di Sirmione (intestato al poeta dei carmi del delirio d’amore); o nel “Cova”, di via Montenapoleone di Milano, che a suo tempo fu ritrovo dei patrioti delle Cinque Giornate e dove in tempi più recenti Wanda Osiris, la Wandissima, andava a prendere l’aperitivo con le amiche; o nel “Del Cambio” di Torino, che, sorto nel 1757, ospitava Depretis, Cavour…

 

In un’altra occasione l’ho sentito parlare del ristorante “Santa Lucia”. che aveva come avventori abituali alcuni valenti cronisti del “Corriere della Sera” e nel 1929 portò la pizza a Milano, subito apprezzata dai poliziotti addetti alla questura, che allora era in piazza San Fedele, a un passo dal “Santa Lucia” e dai meridionali.  E non parliamo delle conferenze sulle botteghe della ceramica di Grottaglie, sui produttori di vino di Manduria, sul pane di Altamura, sul capocollo di Martina Franca e di tanti altri valori della nostra terra così fertile, delle sartorie di alta moda, che aprono vecchi ricordi: il padre Martino, oggi 98 anni, che nel fare vestiti era un artista, tanto che molti a Martina preferivano farsi fare l’abito da questo signore preciso, attento, che manovrava l’ago come il pittore il pennello.

 

Mi si perdoni il deragliamento, sempre possibile quando l’argomento prende chi scrive. E su Francesco Lenoci, fra l’altro, “patriae decus” di Martina Franca, città del Festival musicale della Valle d’Itria, c’è molto da dire. L’ho sempre visto in movimento, volare da una città ad un’altra, tanto da avere il sospetto che abbia il dono dell’ubiquità. Torno subito ai binari prestabiliti, per ribadire che il libro verrà presentato nella Sala Leonardo al Palazzo delle Stelline di Milano sabato 19 marzo alle ore 12, nell’ambito di Olio Officina Festival, evento ideato da Luigi Caricato, giunto all’undicesima edizione “L’olio della bellezza”, pronto a fornire come sempre tanti condimenti per il palato e per la mente.

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