Il rapporto annuale di Amnesty International: la deplorevole situazione dei diritti umani e la crisi dell’impunità in Iran
Il 29 marzo, Amnesty International ha pubblicato il suo rapporto annuale, che valuta la situazione mondiale dei diritti umani. Quattro pagine di questo rapporto completo fanno luce sulla deplorevole situazione dei diritti umani in Iran sotto la teocrazia al potere.
Oltre ad affrontare le sistematiche violazioni dei diritti umani da parte del regime iraniano, come l’alto numero di esecuzioni in rapporto alla popolazione e l’uso della tortura per estorcere confessioni ai prigionieri, il rapporto di Amnesty fa riferimento anche al peggior crimine contro l’umanità del regime iraniano, ovvero il massacro di migliaia di prigionieri politici nel 1988.
Il rapporto di Amnesty si riferisce in particolare all’ascesa alla presidenza di Ebrahim Raisi, che è uno dei noti responsabili del genocidio del 1988 e svolse un ruolo chiave durante quel tragico evento come membro della cosiddetta “Commissione della morte”.
“In Iran, Ebrahim Raisi è salito alla presidenza invece di essere indagato per crimini contro l’umanità legati alle sparizioni forzate di massa e alle esecuzioni extragiudiziali del 1988” – si legge nel rapporto.
Amnesty evidenzia che l’ascesa di Raisi alla presidenza riflette “l’impunità sistemica in Iran”. Il rapporto dell’organizzazione si riferisce anche al boicottaggio elettorale senza precedenti delle elezioni presidenziali fittizie svolte dal regime nel giugno 2021, che hanno portato alla presidenza Raisi.
Vale la pena notare che dopo che il regime ha annunciato Raisi come vincitore, la signora Agnes Callamard, segretario generale di Amnesty, ha affermato: “che Ebrahim Raisi sia salito alla presidenza invece di essere indagato per i crimini contro l’umanità di omicidio, sparizione forzata e tortura, è un cupo promemoria del fatto che l’impunità regna sovrana in Iran”. La crisi dell’impunità era stata anche evidenziata da sette esperti di diritti umani delle Nazioni Unite, inclusa la Callamard, nel dicembre 2020.
“C’è una sistematica impunità di cui godono coloro che hanno ordinato ed eseguito le esecuzioni extragiudiziali e le sparizioni forzate” – hanno scritto gli esperti delle Nazioni Unite.
Il rapporto annuale di Amnesty riferisce anche dei tentativi del regime iraniano di distruggere le prove del massacro del 1988, inclusa la demolizione di fosse comuni.
“Le autorità hanno impedito ai baha’i di seppellire i loro cari in appezzamenti vuoti in un cimitero vicino a Teheran, insistendo sul fatto che li seppellissero tra le tombe esistenti o nel vicino sito di fosse comuni di Khavaran correlato ai massacri di prigionieri del 1988”, ha scritto l’organizzazione nel suo rapporto.
Il rapporto di Amnesty ha anche evidenziato la repressione mortale del regime iraniano nei confronti dei manifestanti durante le principali proteste in Iran nel 2019 e l’effettiva portata di questo atroce massacro.
“Le autorità hanno continuato a coprire il numero delle persone uccise durante le proteste del novembre 2019, hanno respinto le denunce delle famiglie delle vittime e hanno elogiato le forze di sicurezza per la repressione. Durante tutto l’anno, le forze di sicurezza hanno disperso pacifici raduni di parenti in cerca di giustizia e li hanno picchiati e detenuti temporaneamente” – aggiunge il rapporto.
Nel suo rapporto annuale, l’organizzazione per i diritti umani fa riferimento anche al processo in corso di Hamid Noury (Abbasi), un funzionario carcerario iraniano arrestato in Svezia nel 2019. “Il processo di Hamid Nouri, arrestato in Svezia per presunto coinvolgimento nei massacri nelle carceri del 1988, è iniziato ad agosto in base al principio della giurisdizione universale”.
Il rapporto annuale di Amnesty evidenzia ancora una volta la necessità di chiamare il regime iraniano a rispondere delle sue violazioni dei diritti umani. La comunità mondiale dovrebbe utilizzare il principio della “giurisdizione universale” e punire criminali come Raisi.
Contesto
Nell’estate del 1988, oltre 30.000 prigionieri politici furono mandati al patibolo. Per la maggior parte erano membri e sostenitori dell’Organizzazione dei Mojahedin del Popolo dell’Iran (OMPI/MEK).
Nel 1988, l’allora leader supremo del regime iraniano, Ruhollah Khomeini, vide il MEK e la sua interpretazione progressista dell’Islam come una seria minaccia al suo regno e alla sua ideologia. Quindi, decise di eliminare tutti coloro che non erano disposti a sottomettersi. L’intero regime avrebbe preferito che quelle decine di migliaia di giovani si arrendessero e tornassero alle loro famiglie con il messaggio che il dissenso contro Khomeini era inutile. Invece, quegli uomini e quelle donne si opposero con fermezza e scelsero di morire per un’idea che sarebbe sopravvissuta per ispirare amore, uguaglianza e prosperità per le generazioni a venire. Le rivolte di oggi in Iran mostrano che il messaggio e lo spirito dei giustiziati nel 1988 sopravvivono e che non sono morti invano.
In effetti, l’erede designato e successivamente licenziato da Khomeini, il defunto ayatollah Hossein Ali Montazeri
, disse ai membri della “Commissione della morte” il 14 agosto 1988: “I Mojahedin del Popolo non sono individui; sono un’ideologia e una visione del mondo. Hanno una logica. Ci vuole la logica giusta per rispondere alla logica sbagliata. Non puoi correggere il torto con gli omicidi; lo diffondi soltanto”.