La Via plumbea
di lorenzo merlo
Dal volume della realtà possiamo prendere solo gli elementi che restano impigliati nella nostra rete biografica. Sono andato a pesca e quanto qui sotto è quello che ho portato a casa.
Siamo alla colorazione di una bozza tracciata da molto tempo. “Per il nostro bene” ci dicono. Ma lo scopo necessario è radunare le forze e ridurre i costi per combattere la guerra mondiale dell’egemonia.
Più che mai la democrazia attuata rivela la distanza, ormai esiziale, da quella dichiarata.
La Quarta rivoluzione industriale è in corso. La sua concretizzazione non sarà a carico di filosofi illuminati (1). Come per le precedenti il conto arriverà sui tavoli dei trash food, mai stati tanto frequentati.
Fallimento o altro?
Gli stati sono falliti. Erogano servizi secondo un arco di efficienza decrescente. Dispongono di strutture che non possono mantenere. Svendono ricchezze a enti privati la cui mira è il profitto, quindi un mercato da sfruttare invece che una cittadinanza da servire. Prelevano dai cittadini sempre più, e sempre più deliberatamente, quando e quanto vogliono. Il debito pubblico non potrà essere sanato. E non è loro interesse lo sia. Gli stati lo sanno da tempo. Per questo la politica si è venduta senza traumi all’economia. Anzi, ha trovato giusto farlo. Vi vedeva la sola possibilità di aggiornamento storico. Vendersi significava restare in sella ai purosangue messi a disposizione dalle scuderie dei potentati economici, strutture finanziarie più capaci di interi stati, in grado di imporre politiche, leggi, guerre, paci, colpi di stato. Espedienti indispensabili al raduno delle forze necessarie per fronteggiare il nuovo nemico cinese. Non bastava più la svendita della politica all’economia, lo Stato era superato di concetto, la frammentazione non bastava alle fauci del globalismo ordoliberista.
Il fallimento e il globalismo, nonché ora il mantenimento dell’egemonia mondiale dell’Occidente, hanno generato il progetto-concetto di stati-apparenti, non più nazionali. È uno scopo necessario a rendere obsoleti i parlamenti, la politica sociale, le elezioni. Esso elegge la tecnocrazia come strumento di applicazione del potere e la tecnologia applicata al costo beneficio e/o guadagno di funzione come solo referente discriminatorio del bene e del male. La salute, il corpo, la persona sono definitivamente ridotti a biochimica. Ogni dimensione non accessibile alla scienza, meglio però chiamarla tecnica, sparisce una volta di più nelle profondità cieche della bidimensione materialistica. Da persone, sebbene già malridotte dalla cultura meccanicistica e inconsapevoli della nostra infinita genialità, possiamo dire ora che siamo a pieno titolo elementi di zolle sociali quanto mai corrispondenti alla prospettiva stalinista. Così, come la Rivoluzione d’ottobre aveva portato alla creazione dell’Unione sovietica, la Quarta rivoluzione industriale ci porta a dare corpo alla nuova Unione capitalistica, ovvero al Nuovo ordine mondiale.
La triade occidentale
Efficienza, competizione, alienazione. È il trinomio venutosi a creare con l’insorgere della società capitalista. Esso esaurisce l’umano a forza lavoro e a forza sopraffattrice. Le due forze sono permeabili. Il gioco concentra la creatività umana per passare o restare dalla parte dominatrice. Secondo le regole equatoriali, nulla supera la verità che mors tua vita mea o, secondo quelle di discendenza divina, poi aristocratica, quindi puritanesima e infine classista della violenza in forma morale, entro cui tutto è possibile, che business is business.
Il terzo elemento della triadica entità, che governa il pensiero delle singole menti e ne determina i sentimenti, è l’alienazione. Ogni individuo non consapevole ritiene che la storia, come comunemente intesa, sia la sola espressione della realtà, ovvero che altro non ci sia, né che sia possibile. Il migliore dei mondi possibili ben rappresenta il dominio che essa ha su di noi ed esaurisce in quella formula l’infinita creatività di cui disponiamo, che viene così mortificata e zittita. Ma essa è un seme, qualunque pioggia di consapevolezze lo farà fiorire. Il dominio sui nostri pensieri e sull’orientamento dei nostri sentimenti è necessario all’entità per potersi nutrire della nostra energia. La sua fame è famelica e incessante. Ogni nostra battaglia dedicata a stare dalla parte giusta, a difendere un principio, un’appartenenza, mantiene lo status quo. Ovvero, ci impedisce di prendere coscienza di ciò che realmente è un essere vivente; un esponente della vita non può e non deve essere ridotto al ruolo che l’istante gli impone. In quel modo, esso perde se stesso e si rende disponibile a sottomettersi a ideologie che scambia per verità. Vedi Orwell.
Quando non ci si rende conto della prostrazione alle regole, queste definiscono per noi il reale. Tuttavia, nel profondo giace la vita creatrice che siamo. Da laggiù risalgono impulsi che non sappiamo riconoscere, necessariamente contrari a quanto ci stiamo dedicando. Nel buio dell’occulto conflitto periamo. Lentamente, ma periamo. Ci troviamo in una condizione di vita aliena a noi stessi, ma non abbiamo alcuna educazione per potercene emancipare. Ma tutto il necessario per evolverla in malattie fisiche e psichiche. Andiamo avanti così, spesso anche per tutta la nostra esistenza. È una condizione connaturata al capitalismo, alla sua triade, all’industrialismo che ogni tipo di studioso e ogni tipo di ospedale ha trattato. Ma lo ha fatto in termini specialistici, analitici. Di fatto, la massima espressione dell’esiziale malattia che stiamo alimentando, è stata catalogata come semplice effetto collaterale. Ma è un cancro nero che si rivela a qualunque osservazione olistica.
Ma, per una realtà circoscritta al dominio del pensiero economicista, si tratta di fuffa irrilevante. E in effetti per loro lo è. Secondo il principio economicistico dei costi/benefici e quello sanitario del guadagno di funzione, non conta altro che il perorare della triade. Qualunque elemento di consapevolezza che possa inficiarne la verità, che possa – come sarebbe opportuno fare – renderlo relativo e non più assoluto, non è necessariamente ammesso e contemplato dal sistema.
Digitalizzare | La mente
Il dichiarato intento digitalizzatore del sistema compie due atti di grande portata. Ne conferma l’assolutismo, nessun mondo è migliore di questo, e ne moltiplica gli effetti primari e – secondo loro – secondari.
Il capitale deve crescere, ma non può più farlo con le modalità analogiche. Lo avevano capito negli anni in cui il Club di Roma annunciò al mondo l’incongruenza tra la concezione della crescita infinita e la madre terra. Tutti e tre gli elementi della triade – efficienza, competizione, alienazione – sono destinati a crescere d’intensità. Puntando il dito sull’efficienza, le energie rinnovabili, l’impatto zero, l’economia circolare, la sostenibilità e la cura del pianeta non fanno altro che distogliere l’attenzione dall’alienazione. Ma, come sempre, è meglio guardare la luna invece del dito. C’avevano già provato con la Green revolution, per aiutare il terzo mondo. Salvo aver provocato desertificazioni, inquinamento delle falde freatiche e vari danni all’ambiente e alla salute, prima di abbandonare la barca. A maggiore efficienza corrisponde una riduzione delle imprese di matrice analogica. A maggior competizione corrisponde un incremento di fratricide lotte fra poveri. Per non soffermarsi sulla sua ontologica spinta allo sfruttamento. Dovrebbe scomparire, invece è il cuore pulsante dell’ordoliberismo. L’alienazione viene cancellata dall’attenzione, se non quando serva loro mostrare che se ne prendono cura erogando assegni di sopravvivenza. Strumento con un lato nascosto, pronto ad emergere quando i beneficiari si accorgeranno che con quei denari fare figli è inopportuno. Li potranno invece fare, senza più timore di far tracimare dal vaso del proprio benessere la popolazione mondiale, quelli che, a colpi di gomiti e di benefit, riusciranno a risalire la liquamica scala che orgogliosamente abitano e vantano. Questioni che non riguardano i pochi iscritti al Club della nazione degli eletti. Al quale, sotto l’egida di facciata delle pari opportunità, nonostante nessuna legge lo vieti e lo vieterà, nessuno degli alienati sarà permesso di salire a mezzo dell’immonda scala, salvo diverso interesse, fino a loro.
E come potrebbero, possono e potranno? Persone che senza saperlo hanno sottoscritto tutte le possibili carte di principio per disfarsi di patria, nazione, famiglia, radici, tradizioni. Un’azione politica per la crescita spirituale di tutte le comunità sarebbe necessaria. Tuttavia, l’intento sotteso e utile al governo globalistico corrisponde alla liquefazione delle identità tradizionali e culturali.
Naufraghi su zattere regalate per le quali la riconoscenza ha concesso ai loro venti di spingerle ovunque. I poveracci sbarcano e sbarcheranno su banchine edulcorate di luminarie e plastiche dove con offerte al ribasso potevano accettare impieghi e lavori, perché, glielo avevano insegnato, la responsabilità era la loro. Disoccupazione endemica, robotizzazione, precarietà assoluta, diritti in picchiata, obbedienza samuraica erano le linee che segnavano il nuovo campo di gioco. Lo stesso era avvenuto con la delocalizzazione, con il reddito di cittadinanza con la riduzione dei parlamentari, ovvero della rappresentanza. Ridotti a bestie nell’arena, non aspettavano altro che il pollice verso quando vincevano e alto quando perdevano. Non è un’illazione. Ce lo dice in altre parole il signor Mario Monti: “bisogna trovare delle modalità meno democratiche nella somministrazione dell’informazione” (2).
Bello il trucco di assegnare la massima responsabilità al singolo. Da un lato è solo un laccio di controllo, dall’altro un espediente di evoluzione. Tuttavia, solo il primo sussiste e si compie. Per il secondo serve un uomo compiuto, pienamente consapevole della propria dote di creatività, in grado di mantenere forza e stabilità, che in nessun alienato ha più spazio di sussistenza.
Digitalizzare | Il braccio
Se per qualcuno queste o parte di queste considerazioni, o strampalate considerazioni, hanno il sapore del nuovo o magari anche dell’illuminante, c’è qualcosa che non va. Chi deve difendere la propria posizione egemonica dedica gran parte delle sue energie per stimare il come, il dove e il quando sia utile e necessario intervenire al fine di realizzare il proprio intento.
Infatti, l’intento digitalizzatore del mondo occidentale non è che un progetto di lunga data, stimato come sostanziale al contenimento dei costi di sussistenza necessari alla concorrenza sino-tripartitica. Non solo. Digitalizzare gli individui permette anche di mettere le mani avanti nei confronti della questione demografica, che altro non è che una bomba emozionale. E anche un terzo fattore: qualunque problema tende ad essere risolto o gestito nei piccoli numeri, mentre tende ad essere irrisolvibile e ingestibile nei grandi. La previsione razionale dei comportamenti è improbabile in sistemi complessi. Meglio creare masse con un orientamento univoco, come fosse una sola persona. Meglio alimentare il pensiero unico e criminalizzare dissenso, critiche e alternative.
“Ma [in secondo luogo] la storia si fa in modo tale che il risultato finale scaturisce sempre da i conflitti di molte volontà singole, ognuna delle quali a sua volta è resa quel che è da una gran quantità di particolari condizioni di vita; sono perciò innumerevoli forze che si intersecano tra loro, un gruppo infinito di parallelogrammi di forze, da cui scaturisce una risultante – l’avvenimento storico – che a sua volta può essere considerata come il prodotto di una potenza che agisce come totalità, in modo non cosciente e non volontario. Infatti quel che ogni singolo vuole è ostacolato da ogni altro, e quel che ne viene fuori è qualcosa che nessuno ha voluto” (3).
Il razionalismo non ha mezzi per elevare la giustizia, ridurre l’occupazione e l’implicito malcontento sociale. E tutto rende inevitabile pensare si tratti di aspetti destinati a divenire micce nel TNT sociale. Nessun metodo coercitivo vecchio stile corporeo-brutale potrebbe più contenere il grande popolo del web. Meglio indirizzarsi al controllo preventivo di raffinata concezione mentale. Molte vetrine di libertà di plastica sarebbero risparmiate dai mattoni criminali dei Black bloc.
Se consideriamo che qualunque cosa facciano otto e passa miliardi di persone è necessariamente un problema di consumi, di scarti, di nazionalismi, di sanità, di rifiuti, di trasporti, di inquinamento, di mercato, non si può che condividere che più si controllano i singoli individui meglio è. Non è un caso che la rete 5G sia stata in grande misura implementata durante i domiciliari.
Tecnologia
“Sul modello tecnico che ricalca l’esigenza del ‘tutto calcolabile’, le cose tendono sempre più a perdere la loro segreta e specifica valenza per consegnarsi alla mesta equivalenza della regola, che in modo univoco e prestabilito codifica il significato di tutto” (4).
Al centro della questione sta la tecnologia. Essa permette di elevare il controllo a quote di efficienza e di minuziosità analogicamente impensabili e inaccessibili. La sua permanente celebrazione, in quanto solo e ultimo totem cui genuflettersi per ottenere la buona sorte del mondo, rivela quanto l’arroganza degli uomini li abbia portati sideralmente lontani da ciò che li ha creati. Così come una politica tecnocratica, una cultura prostrata alla tecnologia, implica una direzione del mondo contraria alla natura senza bisogno di andare a riferire gli intenti relativi al concetto di transumanesimo.
Per gli sparuti stupidi che osservano la blasfemia del nuovo culto tecnologico, si tratta di una direzione funesta. Nel corso del tempo lo hanno detto in molti, tra cui Theodore John Kaczynski, il cui messaggio è tanto compiuto quanto semplice. La deriva tecnologica in quanto supremo valore è mortale, è alienante, è superficiale, è apparente, è estraneo alla natura che siamo. E lo diceva in tempo analogico. Essa crea dipendenza e impone il suo dominio sugli individui che ne vedono soltanto l’apparente semplificazione della vita che comporterebbe.
Per vedere gli effetti digitali basterà davvero poco tempo. Oppure si può buttare il suo discorso dalla finestra, visto che un ergastolano non può che valere nulla.
Confucianesimo dell’Ovest | Covid | Intruglio
Nonostante le malefatte governative, una sola delle quali basterebbe alle dimissioni di qualunque uomo compiuto, la narrazione terrifica – resterà nella storia “Se non ti vaccini muori” – non è che un momento critico, dominato dalla paura, assai utile per far avanzare il progetto della futura gestione del mondo. Il cui perno è il tentativo di evitare il collasso capitalista-occidentale e il mantenimento dell’egemonia attraverso modalità che decurtino i costi di autosostentamento in funzione di una concorrenzialità nei confronti del capitalismo cinese. Non solo. Il linguaggio e le leggi cui stiamo assistendo sembra vogliano condurci verso una concezione di sé, del lavoro, delle autorità, che potremmo definire – sembra un ossimoro ma non lo è – confucianesimo dell’Ovest.
Anche se in senso stretto dire confucianesimo dell’Ovest è un’eresia, pare che la neurochirurgia antroposociale stia riuscendo a fare degli individui dei soldati ubbidienti e rispettosi, che mai saranno neppure caporali. Diversamente dal fondamento spirituale del confucianesimo autentico, i comandanti del vapore occidentali lo stanno facendo a mezzo del bieco denaro o di altro di materiale. Chi non lavora – e saranno sempre di più – avrà di che vivere garantito; chi lavora dovrà rigare diritto, pena la gogna che prima era dei lavativi e degli assenteisti; chi fa bene avrà promozioni e bonus; chi ha bonus, con tanto di targa ricordo, sarà celebrato come il miglior commesso da McDonald e farà da modello di riferimento nei salotti dell’apparenza della tv. Ricordiamo che, come
“la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza” (5), anche l’apparenza è sostanza. La vita a punti di merito o a consumo, già presente in Cina da sette anni, come sistema di credito sociale, è stata avviata anche qui. Il grinpaz lo dimostra a chiare lettere a tutti, tranne che ai divanisti televisivi convinti che ci abbia salvato dal propagare la malattia. Il grinpaz non era il frutto dell’ubbidienza. Era il vaccino – meglio, la paura di morire dal quale esso ci avrebbe sottratto – a fare da rompighiaccio per l’ingresso nelle abitudini della tessera a punti. In quale altro modo intendere le proibizioni a chi non aveva fatto il necessario per meritarselo, visto che un tampone, farlocco pure lui, garantiva assai di più? Misteri della fede governativa per chi ne rispetta devotamente i precetti, ma evidenze del dispiegamento del disegno per chi è in grado di elaborare ragionamenti indipendenti. Siamo al post-democrazia e al post-stato di diritto. Li hanno sostituiti l’autopoietica tecnocrazia oligarchica e il diritto a virtù. Sì, ci attende una vita a punti coi quali perdere o guadagnare vacanze o sanità, scuola o lavoro. Varrà anche per i detenuti, probabile fonte di risparmio delle amministrazioni pubbliche in quanto forza lavoro che garantirà agli interessati una riduzione della pena.
Tutti gli sforzi del regime andranno alla realizzazione definitiva del pensiero unico. Un aspetto chiave per semplificare la complessità della società e renderla più facilmente governabile. Ma sarà una battaglia persa. Il confucianesimo in senso stretto ha una nuce spirituale che l’occidente non può che sostituire con un succedaneo materiale. Il suo nominalismo ha ucciso tutto quello che non è in grado di misurare e mercificare. Un po’ come in Afghanistan, e non solo là, proveranno a spaccare tutto senza preoccuparsi di intendere il punto di concezione del mondo altrui. Sono previsti danni, perché non basta dirglielo. Le altre voci spariscono nel frastuono dei loro cingolati.
Il vaccino per la SARS-cov-2, così come ci è stato presentato, aveva un doppio intento sociale e nessuno o limitato sanitario se non per i sistemi immunitari già debilitati (6). Se l’attenzione fosse stata realmente sulla questione sanitaria, tutte, ma proprio tutte, le segnalazioni di cure esperite dai molti medici nel mondo sarebbero state delle benvenute, sarebbero state studiate e sfruttate. Ma è successo esattamente l’opposto. Quei medici, quei loro positivi risultati di cura dal Covid, quegli studi non hanno avuto attenzione né risposta da parte delle autorità. Il doppio intento sociale è consistito nello stimare l’efficacia/dabbenaggine.
Stampa
Sembra essere in atto uno stordimento generale al cui culmine anche i più guardinghi potrebbero non riuscire più a tenere ferme le idee, a credere non sia pazzia ma saggezza.
Quanto ci ha mostrato la stampa fa rimanere increduli. Non si può più esimersi dal chiamarla di regime. I padroni degli impiegati di redazione non possono che imporre una linea editoriale che porti gocce al mare del nuovo ordine mondiale, che concorra a tenera a galla il barcone capitalista. Le testate sono merce. I giornalisti operai in catena di montaggio. Più che offendersi davanti a tanto affronto, dovrebbero dimettersi o riconoscere tale critica come ovvia e scontata, nonché seguitare a sgomitare per diventare capireparto.
Con la paura di perdere il posto o l’assegno di sopravvivenza si affermerà il modo di controllo anche della classe misera e di quella media. Il principio della paura sarà alla base della cultura produttiva, la sola che si vorrà valorizzare. Gran parte del denaro di ognuno andrà a finire nelle casse delle assicurazioni. Il grande piano della société sécuritaire si sarà realizzato. Gli uomini saranno surrogati di se stessi e, contenti, non lo sospetteranno.
Censura
Per quanto si possa dire molto, basterà dire due cose. Una indirizzata ai giornalisti e ai loro ordini di cui faccio parte con somma contraddizione, pena e vergogna. Riguarda Julian Assange, il quale sta perendo, mentre i giornalisti maggnano insieme a chi lo sta eliminando. L’altra a tutti coloro i quali hanno scordato, tralasciato di soppesare o non saputo, che al convegno del World economic forum del 2021, oltre a capi di stato, amministratori delegati di aziende più forti di stati, esponenti di istituzioni internazionali, c’erano anche i possessori e i dirigenti dei media di comunicazione.
“La fondazione è finanziata da numerose imprese, per lo più grandi banche d’affari, multinazionali, società leader nel proprio settore o Paese, che hanno un ruolo chiave nell’orientare lo sviluppo futuro” (7).
“Il consesso riunisce i principali esponenti internazionali dello mondo della politica, degli affari, dello spettacolo e dei media […]” (8).
Sempre per i distratti, ricordo che lo scopo della riunione dei potentati era soltanto “per definire le strategie future per guidare gli Stati e i mercati mondiali nella cornice della globalizzazione” (9). Non ha più senso chiedersi perché le testate di regime abbiano preso denaro per partecipare al grande progetto. Mica volevano morire d’inedia. Pur di non farsi sfuggire la pagnotta e restare in sella al cavallo vincente hanno abdicato a se stessi come persone, ai codici deontologici (10) come professionisti. Con tali premesse, cosa vuoi che sia una censura?
Il nuovo tripartito
Unisce Russia, India e Cina. Culture estranee strette nella medesima trincea per fronteggiare gli attacchi atlantici. Lo scontro appare di maggior portata di quanto non fosse quello della Guerra fredda. L’accerchiamento e l’avanzamento atlantico non potranno più proseguire sostanzialmente indisturbati come è finora stato. Senza contare la probabile spaccatura Est/Ovest del mondo insita nella creazione di una valuta diversa dal dollaro. E neppure il peso delle critiche interne provenienti dalle stesse società occidentali.
La rete – non da sola – ha contemporaneamente disgregato e reso obsoleti i momenti di vita della comunità civile e messo in relazione, intellettuale e spirituale, individui in quantità superiore a quanto disponibile in ambito analogico. Si sono creati centri virtuali di pensiero in cui le consapevolezze e le critiche al pensiero dominante si sono diffuse e radunate con una consistenza maggiore di quanto non si sarebbe potuto analogicamente. Essere atlantisti e essere democratici, secondo la blasfema accezione disponibile oggi, non passa più inosservato e non è più la sola cosa giusta. La democrazia è oggi gianica: edulcorata vetrina di facciata e immondo sottoscala di sostanza.
Se il capitalismo corrisponde alle economie di ambo le parti, del tutto aggiornata è l’incarnazione del Destino manifesto, formula di riferimento per intendere l’arroganza da padroni del mondo degli americani e il pensiero dei paesi del tripartito.
“Il futuro a lungo termine, il futuro dell’eternità sarà l’era della grandezza americana. Nella sua magnifica condizione spaziale e temporale, la nazione nata da molte nazioni è predestinata a mostrare al genere umano la virtù dei principi divini, a fondare il più splendido tempio mai dedicato sulla terra al culto del Signore, Santo e Vero” (11).
“Non dimenticherò mai che siamo una razza di conquistatori e che dobbiamo obbedire al nostro sangue, occupando nuovi mercati e, se necessario, nuove terre” (12).
L’american life style, che tanto ha affascinato gran parte del mondo e il sotteso liberismo, oggi ordoliberismo, non ha più appeal. Anzi, è scorpionescamente mutato in un segnale di attenzione che le antenne della gran parte del medesimo mondo ora sanno captare e intelligere in quanto tentacoli e avamposti di un colonialismo prima culturale, poi economico, quindi militare e, infine, di sottomissione-integrazione.
“Sempre nella storia di cui si conserva memoria, il ‘destino manifesto’ è stato l’assassino di esseri umani. Ha commesso crimini, ha contribuito all’oppressione e alle ingiuste sofferenze degli abitanti del mondo più di qualsiasi altro tributo che l’umanità abbia mai ereditato. […] Il ‘destino manifesto’ è semplicemente il grido del più forte per giustificare il saccheggio del più debole” (13).
Islam
L’esaurimento della favola dei buoni potrebbe riuscire in un’impresa razionalisticamente improponibile: l’unione al tripartito del mondo islamico. E, a quel punto, anche la magia di un cambio di registro da parte di un Israele ridotto ad enclave senza più il sostegno deliberato a scorribanda degli americani. La Turchia – anomalia Nato – non si vede perché, a quel punto, non possa o voglia ergersi a metronomo, ad ago della bilancia, a comandante in capo della sezione islamica per il grande ribaltone che relegherebbe gli Stati uniti, e a questo punto anche il Canada, a stati forzatamente autarchici. Come non concepire un sentimento di vendetta nei confronti delle malefatte americane o semplice ristabilimento e ripartizione dei diritti delle culture presenti nel mondo?
C’è una luna nel cielo
Il Great reset è dunque un progetto di sopravvivenza del capitalismo occidentale, affinché la sua egemonia non perisca sotto il maglio dei gong dell’avanzata cinese.
“Nel nostro caso si tratta del progetto globale di Nuovo Ordine Mondiale che il potere non nasconde più, ma pubblicizza in maniera ossessiva a partire dei testi scolastici, nei discorsi dei politici, nei congressi internazionali e che oggi viene espresso nel dettaglio in libri come ‘Covid 19 The Great Reset’, ‘La Quarta Rivoluzione Industriale’, ‘Governare la Quarta rivoluzione industriale’ tutti di Klaus Schwab.
Questo progetto/utopia ha assunto nel tempo nomi diversi: Agenda 21, Agenda 2030, Nuovo Ordine Mondiale, The Great Reset” (14).
Per quanto l’opera di Schwab sia meritevole, lasciando perdere l’eventualità complottista di un sordido intento elitario, l’applicazione del Great reset sarà compiuta da uomini ordinari che senza dubbio alcuno ci obbligheranno ad avere a che fare più con il lato negativo che con quello positivo, entrambi così ben descritti nei suoi libri. In ultimo, se non primario, il concetto che nessun capitalismo, il cui scopo è il profitto, potrà mai risolvere i problemi che ha creato. E nessuna società potrà mai seguire i piani di avanzamento e progresso elaborati da qualsivoglia visionario.
Vedremo quanto e come la guerra russo-ucraina modificherà gli assetti e gli sviluppi. Infatti, è più opportuno e corrispondente alla realtà geopolitica chiamarla russo-atlantica o mono-pluripolare. E ancora, è meglio non tralasciare la verità umana che Milton Friedman ha saputo declinare in modalità politica e geopolitica: “Soltanto una crisi – reale o percepita – produce vero cambiamento… il politicamente impossibile diventa politicamente inevitabile”. E che qui dobbiamo necessariamente mutuare anche alla protoepidemia da SARS-cov-2. Non c’è niente da fare, dice chi soppesa le sproporzionate forze in campo. Invece no. È vero, abbiamo a che fare con correnti potenti ma è solo la predisposizione che le rende invincibili. Cessare di sottostare al non c’è niente da fare è la prima cosa che possiamo fare.
Nel frattempo, sempre e comunque, se si va a pesca, questi qui su esposti sono i pesci che restano impigliati. Come un oracolo raccontano il disegno della “Nuova normalità”, detta anche “Per il vostro bene”. Se non si guarda il dito la si può vedere. È la nuova costellazione nella Via plumbea. Più della Stella polare segnerà la rotta del mondo.
Saluti dal nuovo mondo
Se nulla accadrà, la prossima generazione se la troverà pronta la nuova normalità. A scuola ne assimilerà tutti i vantaggi, la storia non servirà più a formare i neoirreggimentati e sarà buttata, così la filosofia, la mamma, il papà, l’identità sessuale e quella nazionale, nonché le relazioni personali e il valore delle emozioni. Tutto in una sola app. E non sospetterà di essere un Truman Burbank tra molti, ad abitare nell’artefatta realtà di un mondo chiamato Seaside.
Note
- Schwab Klaus, La quarta rivoluzione industriale, Milano, Franco Angeli, 2016.
Schwab Klaus, Governare la quarta rivoluzione industriale, Milano, Franco Angeli, 2019.
Schwab Klaus, Malleret Thierry, COVID-19: The Great Reset, Cologny/Geneva, World Economic Forum, 2020.
- Friedrich Engels in Kaczynski Theodore John, Rivoluzione antitecnologica – Perché e come, Aprilia (Lt), Ortica editore, 2021, p. 39.
- Grassani Enrico, L’altra faccia della tecnica – Lineamenti di una deriva sociale prodotta e subita dall’uomo, Milano, Mimesis, 2002, p. 101.
- Orwell George, 1984, Milano, Mondadori, 1973, p. 39.
- Bifarini Ilaria, Il Grande reset – Dalla pandemia alla nuova normalità, s.l., s.e., 2020, p. 30.
- Ivi, p. 29.
- Anders Stephanson, Destino manifesto – L’espansionismo americano e l’Impero del Bene, Milano, Feltrinelli, 2004, p. 61.
- Ivi, p. 131.
- Ivi, p. 137.