Da vero a vuoto
di lorenzo merlo
Osservando alcuni passaggi della storia umana, si può riconoscere in essa un processo di progressiva mortificazione della dimensione magica a favore di un’identità esaurita in quella razionale. Una sintesi in cinque mosse dell’arco che ha svuotato l’uomo. Ognuna delle quali appare dall’interno nel suo carattere omeostatico, quindi definitivo. Ma anche dai confini più o meno permeabili.
Pieno iniziale vuoto finale
La storia è natura, non fa sconti, non ha riguardi. Si può affermare che se ora siamo in una certa condizione, certamente ci sono state le ragioni storiche che l’hanno permessa/imposta.
Quindi, in qualunque situazione ci si trovi, è opportuno legittimare quanto si osserva, al fine di trovarne le ragioni che lo sostengono. È una modalità – la legittimazione – di tipo fenomenologico: non antepone il giudizio morale, non attribuisce valori. A suo modo contiene l’intento di una concezione immacolata della realtà.
La Storia procede sincopata, per opposti. Come se ogni stagione avesse in sé il suo stesso termine. Gli uomini che le animano esplorano la vita secondo la vena che le connota, finché l’assuefazione può crescere. Quindi, collassano sotto il maglio di idee nuove avviando così un nuovo ciclo dall’identica struttura vitale.
Come in ogni crisi, i cambi di paradigma hanno il terreno per affermare ciò che nel flusso pieno della stagione non aveva la forza per far mutare lo status quo.
Con tale promessa proviamo a seguire un arco dell’escursione dell’umanità occidentale e non solo.
La parabola si compone di cinque periodi/miti: Magico, Divino, Logico, Illogico, Virtuale.
Il periodo qui nominato Magico corre dalla preistoria all’avvento del cristianesimo.
È il tempo il cui cuore è il sentimento di dominio della natura sull’uomo. La natura, da un lato è del tutto inaccessibile e misteriosa, dall’altro, si identifica in essa o ne sente la sopraffazione. La visione è olistica. L’uomo non si sente separato dalla natura che è la sola entità esistente.
È il momento della vita piena e vera, in cui l’immaginato non è meno reale della realtà. La simbologia e i rituali creano un ponte energetico tra gli uomini e i poteri che lo sovrastano. Come un bimbo che immagina di galoppare a cavallo di una scopa e non sarà mai convinto né di aver solo immaginato, né che era una scopa e non un cavallo.
Nel periodo magico, l’uomo non è succube del pensiero speculativo. I suoi poteri sono pieni e veri. La morale e il senso di colpa gli sono sconosciuti. I saperi sono sintetizzati dal sentire e, attraverso il sentire, permanentemente modulati. Una specie di so di non sapere ante litteram. Non si conosce la condizione della paura, questa non sottintende il suo pensare e le sue scelte. La paura di morte non condiziona la vita.
Il tempo Divino si avvia con l’anno zero e si protrae fino ad oggi. Corrisponde all’affermazione del cristianesimo bigotto, ovvero di quel cristianesimo che nulla ha a che fare con il vero messaggio di Cristo, del tutto rimasto estraneo alla vulgata.
È il tempo del dominio di Dio.
In esso sussiste l’idea del dominio esterno all’uomo. Una psicologia che si appesantisce con l’idea della punizione/espiazione in funzione di un aldilà di salvezza. Il terrore degli inferi presiede a tutto.
Il mistero è un’entità ed è per sua natura insondabile.
Per quanto l’uomo sia altro dalla natura, tanto che proprio con il cristianesimo si avvia il discorso del dominio sul creato, il potere divino domina nella coscienza degli uomini che si sentono controllati, in difetto e procedono timorati.
La paura della morte condiziona la vita, ora costretta al giogo del peccato.
Mentre il cristianesimo, con il cardine del perdono, ha in sé l’idea dell’Uno-Dio, entità disincarnata alla quale si può accedere, nell’islam e nell’ebraismo sussiste la vendetta. Come a dire che la storia è la sola verità, che l’altro non sarà mai un noi.
Il periodo Logico si attesta nella storia tra il Cinquecento e la fine dell’Ottocento. Ad esso corrispondono l’avvento del razionalismo e, soprattutto, del suo assolutismo culturale e dell’oggettivazione della realtà. Il mistero, il flusso, il movimento, il divenire che il periodo magico contemplava, vengono meno a favore di un mondo fisso, determinato e determinabile. La scienza meccanicistica che prende avvio da Bacone, Galileo, poi celebrata da Cartesio, ha rinchiuso la realtà entro i regolamenti che aveva escogitato, escludendo da essa ogni altra indagine del reale, ogni altro linguaggio lo riferisse.
L’uomo formula il pensiero di poter esercitare il proprio dominio sulla natura. La scienza, da magica, imponderabile, olistica, spirituale e metafisica, diviene esclusiva del misurabile, del materiale e, quindi, fisica, marziale. La presunzione umana implicata in questa fase conduce alla celebrazione dell’ego e dell’egoico. Una presunzione radicale, visto che mai si è messo in discussione il senso di un presunto dominio sempre maggiore sulla natura. Un ulteriore passo di separazione dal sé spirituale.
La realtà, la verità e, dunque, l’infinito sono compressi nel misurabile. Il mistero è posto sul vetrino del microscopio in quanto entità disvelabile, composta da particelle.
Il periodo Illogico è collocabile nel Novecento. È un momento, per il momento, rimasto sotto traccia. Troppo destabilizzante. Corrisponde alla relatività della realtà e alla sua indeterminabilità.
Riconoscendo il significato culturale e valoriale della fisica quantistica e dell’epistemologia che ne emerge – precisata nientemeno che dallo stesso Heisenberg (1) – tutta la struttura che componeva la meccanica classica e il pensiero deterministico che ne derivava viene meno, quando si tratta definire la realtà, la verità, il mondo. La fisica tradizionale resta funzionale per un mondo ridotto a bidimensione. Dunque, il suo potere sul nostro pensare da assoluto diviene relativo. Se in campo amministrativo, ovvero quel terreno governato da regole, linguaggio e sue accezioni condivisi, la meccanica classica ha ancora ragione d’essere e d’essere impiegata come sfondo e riferimento, in ambito relazionale, didattico, pedagogico, terapeutico e psicoterapeutico, perde il suo potere, anzi diviene un elefante in cristalleria.
Nella fase illogica – popolarmente parlando, rimasta lettera morta – l’uomo compiuto avrebbe avuto a disposizione una prospettiva per svincolare il proprio pensiero dai lacci dall’oggettività della materia, quale sola realtà attendibile e, parallelamente, avrebbe fatto sue la relatività, la reciprocità, l’identicità con quanto credeva differente da sé; avrebbe scoperto la serietà dell’illogicità; sarebbe ritornato in grado di recuperare la dimensione spirituale e la sua verità nel contesto del reale. Sarebbe divenuto idoneo a osservare la realtà in quanto flussi di energia che scorrono o si annodano. Si sarebbe emancipato dalla dimensione analitica della realtà e del sapere, fino ad assumersi la responsabilità di tutto, sola modalità per alzare il livello di stabilità, serenità, benessere.
Nella verità quantica, anche l’assolutismo dell’oggettività viene meno. La mutevolezza diviene la sola permanenza.
Viene recuperata la concezione olistica della realtà e del pensiero. L’intento del dominio viene meno, nella misura in cui subentrano a pieno titolo i principi del rispetto, della legittimazione dell’altro e della pari dignità delle posizioni.
Con la fisica quantica si compie una sorta di sincretismo con il pensiero orientale, caratterizzato dall’osservazione che dietro la materia vi è lo spirito. Miracoli ed entanglement sono due espressioni ora in relazione.
In questo tempo assistiamo alla crisi delle certezze, al crollo dei valori identitari e religiosi, all’angoscia esistenziale, all’alienazione diffusa ed endemica della struttura sociale, all’avvento della psicoanalisi come popolare rincorsa, tanto alla ricerca, quanto ad un salvifico sollievo esistenziale. Un terreno apparentemente ottimo per scoprire cosa fosse stato nascosto sotto al tappeto della storia. Ma la cui interpretazione spesso meccanicistica, mutuata dallo status quo ereditato, ne ha tarpato il potenziale creativo.
Nonostante la portata culturale, questo periodo illogico passa inosservato, se non strategicamente tenuto lontano dal suo benefico significato sociale, destinato a produrre tolleranza, emancipazione da luoghi comuni, legittimità e pari dignità tra le persone.
Il quinto periodo, qui detto Virtuale, corrisponde al tempo contemporaneo. Si estende da oggi ad un futuro potenzialmente lontano. Incarna, realizza l’intento della cosiddetta IV Rivoluzione industriale, un progetto di gestione sociale attraverso la digitalizzazione del maggior numero di prassie personali, private, pubbliche, imprenditoriali e relazionali. In esso si possono evincere le basi del tentativo Occidentale filoatlantico di mantenersi in vita e di affermare l’egemonia sul mondo.
La natura della fase virtuale è di tipo binario, manichea. Una modalità culturale che implica separazione. Il cui aspetto socio-politico corrisponde all’ubbidienza vissuta dal singolo come attestazione di se stesso dalla parte giusta.
Una modalità che comporta spaccature e contrapposizioni civili, come la vicenda Covid e il conflitto Nato-Russia mettono in evidenza.
Nel tempo detto virtuale, le lacerazioni, da problema in carico alla politica, tendono a divenire culturalmente legittimate, giuste.
Finora, la modalità analogica aveva tenuto il campo dell’umanità, in quanto diretta espressione della natura dell’uomo. L’avvento del virtuale interrompe il corso naturale e avvia quello tecnologico-digitale, che viene ad assumere il ruolo e il centro che nei tempi precedenti erano stati di Dio. Il transumanesimo oggi è già presente in noi. I pensieri ad esso dedicati sono su come e quando ne vedremo il progredire o, se contestativi, sono considerazioni disperate e inefficaci: per quanto si possa dire e fare, ormai non c’è più niente da fare. Si tratta di un’ennesima, ma più radicale, mortificazione dell’uomo. La cui dimensione infinita sarà relegata all’arte come enclave protetta e ricca, ma senza più valore sociale, solo commerciale. È l’arte addomesticata. Il modello sovietico, che imponeva un’arte dedicata al lavoro, alla produzione, ai lavoratori, ben lo rappresenta.
L’accredito assoluto all’ideologia tecnocratica, il fideismo nella sua capacità e idoneità al miglioramento della vita, fanno dell’epoca digitalizzata un’epoca manichea. Nella quale, il raffinato controllo del pensiero si concretizza come endogeno negli individui inconsapevoli. Persone che, più o meno costrette dalle loro stesse circostanze, non possono che giocare la partita della vita, solo e soltanto entro un campo delimitato da regole scambiate per giuste, vere ed ineludibili. Gabbie virtuali più vincolanti di un filo spinato staliniano.
Epoca magica mai recuperata, tanto dalla logico-analitica, quanto da quella incipiente digitale, perché nel mondo, ridotto ed esaurito ad apparenza di fenomeni e consuetudini, è meglio estromettere e anche criminalizzare il pensiero che ne mina la struttura.
Famelici dell’accumulo infinito di potere, lo sfruttamento di terra e uomini ha affermato la narrazione del progresso come abbondanza di merci e di saperi analitici. Se ciò sussisteva anche nel periodo logico, ora il popolo, che era stato il motore delle ricchezze dei pochi, non serve più. Nella neoconomia esso è un costo e, in quanto tale, da eliminare o comunque ridurre al minimo. Riduzione dei servizi, privatizzazioni, assegni di sussistenza, soffocamento della piccola impresa, tassazioni progressive, alti costi della vita, formazione irreggimentativa, ne sono l’evidenza
- Werner Heisenberg, Fisica e filosofia, Milano, Il Saggiatore, 1963.