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La scomparsa di Raffaele La Capria. Uno scrittore di un Novecento letterario raffinato ed elegante

 

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Pierfranco Bruni

 

Ci ha lasciato Raffaele La Capria.  Un vero scrittore. Uno scrittore dal linguaggio raffinato, elegante esteticamente unico. Raffaele La Capria è nato Napoli il 3 ottobre del 1922. È scomparso a Roma il 26 giugno scorso,  2022. Testimone e protagonista in un vocabolario di linguaggi raccontati.
“Quando si degrada il linguaggio ci degradiamo anche noi che lo parliamo… Come il linguaggio anche le emozioni si logorano, si logorano per l’assuefazione… La poesia restituisce al linguaggio e all’emozione l’intensità della ‘prima volta’. E’ la meraviglia di fronte alle cose. La meraviglia di stare al mondo” (in “Letteratura e salti mortali con Il sentimento della letteratura”, 2011).
Tra il narrato e il pensato il viaggio di Raffaele La Capria è un viaggio certamente che si intaglia nella vita ma questa vita, la vita, per uno scrittore ha sempre definizioni letterarie nelle quali il coppia e incolla, metaforicamente, ha un suo destino. Ma tutto il tempo della letteratura di La Capria è contornato, costellato, di pensieri, riflessioni, meditazioni che puntano al senso delle cose. E’ una scrittore che si intaglia nella vera tradizione per bene della letteratura. Non ci sono dubbi su questo. La conferma viene proprio da questo ultimo testo. Ma c’è tutto un itinerio che non andrebbe mai dimenticato. Da “Ferito a morte” in poi” direi che la scrittura contemporanea (oggi dovremmo dire del Novecento)  trova in La Capria un riferimento che dovrebbe servire da testimonianze anche alle nuove generazioni. E’ proprio ciò che scrive nella lettera al padre (nell’ultimo testo) quando sottolinea “…la vita è quel che accade mentre ci occupiamo d’altro”. E la letteratura?

Tre racconti, ma forse un unico romanzo. O una lunga riflessione su quel rapporto che è vita e letteratura. Mi riferisco all’ultimo testo di Raffaele La Capria dal titolo “L’armoniosa inchiesta” (edito da Mondadori, € 16,50). Una lettera scritta al primo amore, una lettera scritta alla prima figlia, una lettera scritta al padre. Non è un intermezzo di esistenza. E’ piuttosto l’esistenza che recupera il sentiero del sentimento e si fa linguaggio. Si fa parola. Un libro che consiglio di leggere non solo per la facilità di approccio, in questo tempo troppo mascherato, ai sentimenti veri ma anche un libro che ha uno straordinario linguaggio. Linguaggio come lingua. E’ un libro che educa alla bellezza della parola. A ciò che una volta chiamavamo estetica.
Tre filtri nella vita di un uomo che sono una garanzia di estetica dell’essere. Cosa è questa amorosa inchiesta? Il tempo e gli intrecci amorosi. Una sintesi che caratterizza la vita lungo il corso degli anni, dei giorni, del vissuto attimo per attimo. E il tempo e gli amori sono dentro la speranza. Una speranza che accompagna la nostra vita, ovvero la vita nei tasselli che richiamano mosaici che danno il senso al quotidiano. Ad un quotidiano sempre più impegnativo che occupa lo scenario dei ricordi nel sempre che viaggia nel cuore frazionando i segni di una memoria che mai scomparirà. C’è dentro di noi una costante “amorosa inchiesta” che invade nella frammentazione dei silenzi gli affetti nel ricordare le tappe della vita che hanno lasciato indelebili nostalgie nel nostro vivere.

Scrive, in un precedente testo, appunto, Raffaele La Capria: “La letteratura è la nostra memoria, una memoria che ci riguarda tutti, individuale e collettiva. Ma che tipo di memoria è? Non la memoria di fatti accaduti, battaglie, paci e guerre – quelli ce li racconta la Storia – ma la memoria di ciò che gli uomini di oggi e fino a Omero e prima di Omero hanno sentito, sognato, immaginato. La memoria delle loro passioni e delle loro emozioni, la memoria di ciò che hanno amato, patito, sperato nel corso della loro vita e nel loro tempo, del significato che vi hanno attribuito, e soprattutto del linguaggio con cui lo hanno espresso e tramandato fino a noi. Solo attraverso questa memoria che si è fatta letteratura noi riusciamo a stabilire un rapporto col mondo immaginario degli uomini che ci hanno preceduto, con la loro fantasia e i loro più riposti pensieri, e solo così sappiamo intimamente chi siamo”.
E poi aggiunge: “Come si tramanda la memoria che ci trasmette la letteratura? Come arriva fino a noi? Essa ci arriva attraverso la tradizione” (in “Il sentimento della letteratura”).

La combinazione tra la “tradizione” e il “talento individuale” portano alla “creatività”. Così ancora nella riflessione di La Capria. Il punto è proprio qui e la domanda insiste. Perché si fa letteratura? certamente non per consegnare delle regole che sono già nel divenire culturale. Lo scrittore (nato nella città partenopea nel 1922), che a Napoli ha dedicato diversi suoi libri (si pensi, tra gli altri, a Ferito a morte del 1961, Capri e non più Capri del 1991, L’occhio di Napoli del 1994, Napolitan graffiti del 1998 o ai racconti di La neve del Vesuvio del 1988), pone Napoli e la “napoletanità” al centro non solo della sua ricerca ma soprattutto del suo esistere e del suo vivere il rapporto tra la letteratura e la vita.
Scrive La Capria nel capitolo “Quel mare che bagna Napoli”, in un altro testo dal titolo: “L’armonia perduta. Una fantasia sulla storia di Napoli”: “Il mare, il mio mare, è il Mediterraneo. Ma cosa fosse il Mediterraneo io non sapevo, perché essendoci nato dentro, credevo che ogni mare fosse più o meno come questo. Ricordo esattamente il luogo e il momento in cui mi accorsi, anzi vidi, anzi ebbi la rivelazione, che il Mediterraneo era unico e diverso da ogni altro mare”.

Il Mediterraneo, anche in La Capria, diventa un punto di riferimento letterario, ma, grazie al sentimento di appartenenza, si fa memoria e, in modo particolare, corrispondenza onirica, verso un’armonia che non riguarda solo Napoli ma tutto il Sud. Quel Sud che vive dentro le componenti mediterranee di Napoli, di Capri, di Posillipo, del Vesuvio. Appunto in La neve del Vesuvio le intermittenze oniriche sono segni tangibili di un viaggio in una idea di appartenenza.
Raffaele La Capria racconta Napoli e il tempo della napoletanità raccontandosi. A tal proposito scrive Alfonso Berardinelli, riportato nella Introduzione da Silvio Perrella al libro L’armonia perduta, che: “Raffaele La Capria, raccontando di se stesso e di Napoli, parla di qualcosa che potremmo definire il rapporto tra il nostro inconscio collettivo e la nostra recita pubblica”.
Questo libro è un diario e come tale lega biografia e appunti per il futuro. Un viaggio nei sentimenti dello scrittore attraverso i volti di una città. E questa città diventa soggetto di una narrazione che riscopre il senso della letterarietà in un contesto in cui si prende atto di una armonia perduta e che questa armonia comunque continua a vivere nell’essere dei luoghi e nella coscienza degli uomini.
D’altronde La Capria è felice in questa espressione che sembra racchiudere il motivo non solo di questo libro ma di tutto il senso del suo scrivere: “Se penso al mio rapporto con Napoli mi sembra di poterlo esprimere soltanto per immagini. E la prima è quella di Palazzo Donn’Anna, dove ho trascorso gran parte della mia infanzia e della mia giovinezza”.

Così anche in “L’amorosa inchiesta” il primo amore, la prima figlia e il padre passano attraverso i luoghi. La città e i sentimenti in un interrogarsi continuo sulla vita e sulla letteratura nel segno di uno sguardo che è antico ma sempre ci appartiene.
La metafora che emerge è la “bella giornata”. Avvero l’al’re che è luce, pazienza, incontro. La vita è una amorosa inchiesta dentro di noi e tra le memorie che sono parti integranti del nostro essere. Tutto gira intono alla comprensione d ella memoria e dei ricordi perché è il ritorno a un tempo, è il ritrovare un’infanzia, è il ritrovare il sogno della speranza di una città, di un essere, di un viaggio, di un distacco, di un ritrovarsi. Poi tutto si infrange e la poesia diventa un’immagine sbiadita mentre i ricordi insistono e invadono il cuore e la mente.
Così recita, la recita che è vita e letteratura, Raffaele La Capria. Una recita che non riguarda soltanto il desiderio di raccogliersi nella malinconia di un viaggio nel tempo ma interessa la malinconia di quel sentimento che è appunto l’attesa dentro il cuore di una civiltà che è quella dello scrittore. Una inchiesta armoniosa e amorosa per non disperderci.

Una rievocazione sulle ali della metafora. Ovvero sulle onde di un mare che va alla ricerca delle sue onde. E le onde sono le pieghe del tempo e tra le pieghe del tempo la memoria si fa ascoltare. Intrecci e destini tra una figlia e un padre. Non è un’altra storia. E’ una storia dentro la storia. Ma c’è lo scrittore che resta, che illumina la pagina, che da esempio di vitalità ai ricordi attraverso le parole e i sentimenti.
Ecco perché le immagini custodiscono il senso del tempo. Perché i tasselli dei ricordi cercano di dare forma al mosaico della memoria. E tutto questo lo scrittore lo sa molto bene. La letteratura, in fondo, sa far vivere o rivivere proprio quello che non c’è più: “…mentre ti scrivo mi appari c’m’eri allora quando per la prima volta ti vidi”. Così in “L’amorosa inchiesta”. Uno scrittore dalle inchieste amorose nelle forme di una apparenza in cui la dimensione fenomenica e fenomenologica della letteratura resta centrale.

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