FOTO: nella foto il prof. Alessio Pace e la piccola Moira con I genitori. Il chirurgo, responsabile della Clinica addominale di Roma (oggi Karol Wojtyla) e della chirurgia d’urgenza dell’Aurelia Hospital, è stato anche docente presso le scuole di specializzazione dell’Università Tor Vergata di Roma. E’ autore di circa 50 pubblicazioni scientifiche.
Alessio Pace, pioniere medicina senza sangue: diagnosi tempestiva e chiudere subito ‘rubinetto’
“Il paziente non trasfuso sta meglio”: da necessità per la fede dei Testimoni Geova, ora il patient blood management incoraggiato dall’Oms
Roma – Attraverso la voce di specialisti ed esperti l’agenzia Dire racconta la storia della medicina senza sangue in Italia: quarant’anni di vita dai difficili inizi fino agli importanti sviluppi, tanto da diventare oggi una pratica suggerita dalla stessa Organizzazione mondiale della sanità (OMS). Una storia di successi della sanità italiana ancora poco nota, che merita di essere conosciuta attraverso la voce dei medici che l’hanno scritta. In ogni intervista, un medico di una specializzazione diversa ci aiuterà a conoscere i vari aspetti coinvolti: dall’anestesista, al cardiochirurgo, dalla medicina legale ai trapianti. Iniziamo il racconto dalle origini con il professor Alessio Pace: un vero pioniere che raccolse la richiesta di essere curati senza sangue da parte del crescente numero di pazienti Testimoni di Geova che proprio 40 anni fa costituirono degli organismi di mediazione e informazione con i medici chiamati Comitati di assistenza sanitaria.
LA STORIA DEL PROF. PACE, UN PIONIERE – C’è Mariannina, mamma quarantenne che dopo il quarto cesareo inizia ad avere un’emorragia post partum e viene salvata in extremis. Poi Moira una bambina di Malta di appena cinque anni, talassemica, che viene stesa sul tavolo operatorio con appena 4.9 di emoglobina. E ancora, quella giovanissima che per un incidente grave e una milza distrutta, dopo ore di discussioni tra medici di un pronto soccorso della provincia e i parenti, arriva in un ospedale della Capitale sul filo, con 3.2 di emoglobina. Siamo negli anni ’80 e l’Aurelia Hospital a Roma, dove opera il professor Alessio Pace, diventa un centro di riferimento per la medicina senza sangue. Sono tanti i Testimoni di Geova che, rifiutando le trasfusioni per ragioni di fede, in quegli anni arrivano in questo ospedale a farsi operare: una media di 50 a settimana. Poi non saranno solo loro, ma chiunque non voglia essere trasfuso. E’ un album di ricordi pieno di sentimenti quello che il chirurgo abruzzese, pioniere della chirurgia senza trasfusioni, condivide con l’agenzia Dire, fatto di puntuali spiegazioni tecniche, ma anche di memorie: “Avevo coraggio- ammette con un filo di voce da occhi lucidi oggi che ha 83 anni- ricordo quelle goccioline di sudore freddo che attraversavano la colonna vertebrale quando si iniziava ad operare queste persone e gli spasmi alle coronarie”. Perchè allora nessuno operava sotto il valore di 7 di emoglobina ed era impossibile pensare di non trasfondere le persone. Ma il chirurgo ‘senza sangue’ inizia a scrivere un’altra storia e traccia una strada tutta nuova.
UN CHIRURGO IN PRIMA LINEA – Pace ha effettuato almeno 40mila interventi, la maggioranza dei quali senza bisogno di trasfusioni, di questi circa 13mila erano Testimoni di Geova. Sono stati loro, con i Comitati di assistenza sanitaria, ad essere precursori sia del consenso informato che oggi disciplina qualsiasi trattamento sanitario, sia di quella che oggi viene riconosciuta come ‘chirurgia bloodless’ e anche l’OMS, con un’ apposita risoluzione che ha promosso il ‘Patient Blood Management’, riconosce che le strategie messe in atto per curare i Testimoni di Geova sono ormai la base di un approccio volto a preservare i livelli di emoglobina, favorire l’emostasi e ridurre al minimo le perdite ematiche. Si tratta di una pratica la cui implementazione viene incoraggiata per la salute di tutti i pazienti.
“La medicina senza sangue ha una validità scientifica”, tiene a ribadire il professor Pace che spiega accuratamente cosa osservava sui suoi pazienti. “Nel corso degli interventi che ho eseguito ho riscontrato alcuni fatti. Ogni trasfusione, va precisato, blocca il midollo nella produzione dei globuli bianchi, dei rossi e delle piastrine e questo vale sia per la trasfusione che per il predeposito perché nel momento in cui il sangue esce dalla circolazione si comporta come quello di un altro soggetto. Ho riscontrato che il primo giorno post operatorio il paziente trasfuso si sentiva più tonico e in forma, quello non trasfuso però dal secondo giorno iniziava a stare sempre meglio, mentre l’altro dopo 15 giorni ancora tribolava per uscire, l’altro stava bene e tornava a casa. La trasfusione è uno shock. Bisogna che la gente capisca- sottolinea- che il sangue serve in alcuni casi, ma va anche detto che noi lo utilizziamo con molta superficialità. Mettere 1 o 2 unità di sangue non serve a nulla, anzi è un danno per quel blocco al midollo che spiegavo”, aggiunge. “Infatti la trasfusione deve essere considerata un vero e proprio trapianto d’organo e, come tutti i trapianti, provoca una depressione immunitaria e forme di rigetto”, chiarisce.
In tempi estivi gli appelli alla donazione del sangue si moltiplicano e proprio su questo Pace si sofferma: “La donazione è un atto volontario, ma gli ospedali pagano per le sacche di sangue e magari non acquistiamo altro per sperperare denaro in questo. Il motivo per cui la medicina senza sangue non è stata mai incoraggiata è di natura economica”, taglia corto.
Nel 1986, in occasione di un congresso internazionale sulle metodiche alternative al sangue, è stato il professor Angeloni, allora direttore del centro trasfusionale della Croce Rossa Italiana, a dire: “Fino alla perdita di 4 unità, circa 1 litro, non c’è bisogno di rinfondere sangue perché l’ organismo recupera da solo e se il vostro chirurgo pensa di perderne di più, allora… cambiatelo”.
L’AVANGUARDIA CHIRURGICA – Per operare senza sangue infatti bisogna che il chirurgo abbia “buone mani”. Lo spiega così Pace: “Bisogna subito andare a chiudere il rubinetto, la perdita. Prima di tutto la diagnosi deve essere tempestiva; prima aprivi l’ addome e non sapevi quello che c’era, oggi con una migliore diagnostica a disposizione cerchiamo di essere precisi prima. Un medico anche a 100 anni ha bisogno di andarsi a leggere qualcosa, e si rende conto che qualcosa aveva dimenticato. Noi medici siamo un po’ presuntuosi sa- dice con un velato sorriso- Mi sono arrabbiato con tanti colleghi, cosa bisogna fare per operare chi non vuole essere trasfuso? Non far perdere troppo sangue, vedere qual è il vaso che porta sangue alla zona che io devo togliere, studiarsi quell’organo e chiudere quel vaso”.
Così il chirurgo d’avanguardia scardina ai suoi tempi tutte le consuetudini: “Sotto i 7 di emoglobina non si operava”, ma “io chi sono- incalza il chirurgo- per dire a una persona che deve rinunciare alla sua fede o contravvenire ad essa?”. Un medico deve fare il medico e mettere a disposizione la sua competenza, ma anche la sua “missione per gli altri”. Il pensiero corre a “quel vecchietto testimone di Geova al quale le figlie avevano imposto la trasfusione: su quel letto c’ era un uomo sconfitto e bastonato”, ricorda con amarezza il medico.
Il primo paziente Testimone di Geova ad essere operato senza trasfusioni in Italia è stato un uomo con calcolosi renale nel 1979 nella clinica Città di Roma. E ancora nel 1986 è il professor Benedetto Marino a eseguire al Policlinico il primo trapianto di cuore di una bimba di 8 anni Testimone di Geova. Tra il 1995 e il 1998, altro intervento di avanguardia, viene operata per cancro del pancreas una donna Testimone di Geova. Nell’occasione per la prima volta al mondo viene eseguito un intervento di duodenocefalopancreasectomia senza sangue. La paziente dopo l’intervento è sopravvissuta per altri 30 anni. Sono proprio le istanze di fede di questa comunità religiosa, come la storia professionale e personale del professor Pace conferma, a diventare stimolo per metodiche sempre nuove nella chirurgia. “Mariannina, giovane mamma, arriva all’Aurelia- ricorda il noto chirurgo- dopo esser stata in vari ospedali dei Castelli romani e altri di Roma. Aveva 1 milione e 9 di globuli rossi e 3-4 di emoglobina ed è stata sottoposta a istero-annessiectomia. Erano i primi anni Ottanta in cui I Testimoni di Geova erano sotto l’occhio del ciclone”, sottolinea il professore.
“Poi la piccola Moira, talassemica”, e qui l’intervista s’interrompe, un bicchiere d’acqua e scorrono le foto della bimba che oggi è una donna ormai guarita grazie ad una terapia negli USA ed è diventata mamma. La piccola doveva togliere la milza, era stata in Francia, Germania, Inghilterra e infine anche lei arriva dal professor Pace con 4.8-9 di emoglobina. Moira, era il 1990, durante l’intervento non perde una goccia di sangue.
QUALE FUTURO PER LA MEDICINA SENZA SANGUE – Oggi, secondo il professore, la medicina senza sangue ha una strada di crescita e sviluppo davanti.
“In futuro- precisa- credo si farà a meno del sangue, nella mia esperienza il sangue si deve usare al massimo sul 7-8% dei casi. Alcune cose senza non si possono fare. Ci vuole un minimo di interesse in più da parte dei medici,e studio” ecco l’appello che lancia ai suoi colleghi medici.
La scelta del prof. Pace è stata guidata da quella che lui definisce “determinazione nel rispettare l’altrui coscienza e una sfida anche medica”.
Alla luce dei dati e dei casi che il chirurgo pioniere inizia a riportare nelle cartelle cliniche anche gli scettici iniziano a seguirlo. “Oggi- aggiunge- sono venuti fuori farmaci che si usano per evitare trasfusioni come l’ eritropoietina’.
Pace alla sua età e dopo una vita in trincea ad accogliere sfide che le sue mani da chirurgo hanno tradotto in salvezza, insiste sull’appello alla conoscenza, su un metodo che i medici non devono mai abbandonare. “Vede a 83 anni ho imparato a usare il web e nemmeno sapevo accendere il PC- racconta prima di terminare l’intervista e citando Socrate che ‘sa di non sapere’- ecco… trovare le notizie, andare ovunque a cercare è una gioia infinita. Ti dà un così grande piacere la nuova conoscenza”, conclude con uno sguardo pieno di serenità che richiama il giovane chirurgo coraggioso che è stato, ed è ancora.