Papa Francesco ha rotto il silenzio sulla storica ed epocale decisione della Corte Suprema degli Stati Uniti di rovesciare la sentenza Roe v. Wade, che concede agli Stati il potere di vietare l’aborto. In un’intervista di 90 minuti con Philip Pullella, corrispondente vaticano della Reuters, il Papa ha asserito che, pur rispettando la decisione della Corte di rovesciare la storica sentenza del 1973 che imponeva l’aborto a tutti i 50 Stati, non può “parlarne da un punto di vista giuridico” perché non ha studiato la legge. Ma non solo, invece di esultare per la salvezza di migliaia di vite innocenti, ha aggiunto che i vescovi devono essere “pastorali” (leggasi tolleranti e benigni) con i politici pro-aborto. Un’indiretta strizzata d’occhio a chi pensa che le leggi umane siano superiori alla legge di Dio. Interrogato dal Pulella riguardo la distribuzione della Comunione a politici favorevoli all’aborto come Pelosi, Francesco, ha detto: “Quando la Chiesa perde la sua natura pastorale, quando un vescovo perde la sua natura pastorale, questo causa un problema politico. Questo è tutto quello che posso dire”. Un’ elegante lavaggio mani di pilatesca memoria. Che il canone 915 del Codice di diritto canonico stabilisca che: “Coloro che sono stati scomunicati o interdetti dopo l’imposizione o la dichiarazione della pena e gli altri che perseverano ostinatamente in un peccato grave manifesto non devono essere ammessi alla santa comunione”, poco importa. Al papa venuto dalla fine del mondo, non interessa surclassare i predecessori nelle virtù della Santità e della Fedeltà alla Tradizione. Gli unici obiettivi del suo Pontificato sono: venire ricordato e incensato come il Magno curatore fallimentare della Chiesa Cattolica e l’edificazione di una nuova religione umanitaria dove l’uomo avrà preso il posto di Dio. A giudicare dallo svuotamento delle chiese, dal pauroso calo di vocazioni, matrimoni e battesimi e dal quasi azzeramento dell’8×1000 alla Chiesa Cattolica, i target sono stati ampiamente raggiunti.
Gianni Toffali