CULTURA DEL BICIPITE
Tra un dibattito e l’altro sul fenomeno del bullismo, continua lo sfacelo della rappresentazione per niente virtuale di quanti si impegnano a fare i maledetti per forza. Tra un prof. che mena uno studente, adolescenti che sparano alzo zero verso la docente, altri ragazzotti che in gruppo menano un coetaneo, svastiche disegnate sulla cattedra e per chiudere in bellezza un bel cazzotto sul viso della malcapitata insegnante. C’è poco da stare allegri, dunque sarebbe ora di preoccuparsi un po’ di più delle nostre incapacità e superficialità erette a misura. Gli imputati sono chiaramente i nostri figli ma a quella sbarra sono assenti come minimo i corresponsabili, dovremmo esser lì anche noi, volenti o non volenti. Nei salotti buoni si fa bella mostra di aggettivi e superlativi assoluti per indicare il disagio giovanile, per fare man bassa di causa e effetto, di attenuanti e giustificazioni più o meno puerili, grammatiche immature più ancora dei protagonisti che imperversano nelle aule scolastiche. A mio avviso il primo punto fermo è la scelta educativa di non soffermarsi più sulla sospensione e sul richiamo verbale, quando l’azione posta in essere è violenta e subdola al punto da risultare un vero e proprio reato. Nella violenza gratuita, non vi è traccia alcuna di trasgressione o ribellismo eroico, la lezione al bullo deviante di turno non si può limitare al solito rimbrotto, ma all’allontanamento dall’istituto. Questa decisione prevista dal consiglio d’istituto non ha soltanto una funzione retributiva, ma risulta essere un percorso prodromo allo svolgimento di servizi socialmente utili, volontariato di pubblica utilità che ha la sua radice profonda nella fatica della risalita, non nel viaggio turistico da un istituto all’altro, nella performance da mettere in scena nel nuovo palcoscenico teatrale. In questa dinamica ripetuta come un disco incantato da una classe all’altra, c’è l’abitudine poco corretta di declinare pestaggi e prevaricazioni come un “gioco”, ma di scherzoso non c’è niente nel metter in scena il bicipite violento che distribuisce botte e umiliazioni. Quando le regole, il rispetto, l’educazione e la sua cura vengono asfissiati dal delirio di onnipotenza di iracondi e balbuzienti esistenziali, c’è un’insorgenza pericolosa che frattura la tutela salvavita della vittima naturalmente, ma anche del potenziale maledetto per vocazione. Credo che la severità necessaria al rispetto di se stessi e dunque per gli altri, debba essere radice profonda dell’autorevolezza che contraddistingue la scuola, proprio per evitare il ripetersi di eventi estranei al contesto educativo e relazionale a cui ognuno ha diritto e dovere appartenere. Credo sia comprensibile lo sdegno per tanta inutile violenza ma altrettanto impellente rimane la giusta risposta da dare nei riguardi di chi non salvaguarda i valori della comunità educativa che ti ospita e accompagna.