Dopo la scuola? Altro che “posto fisso”: 1 neodiplomato su 6 vorrebbe diventare imprenditore, 1 su 4 aspira al lavoro autonomo
Solo una minoranza dei giovani diplomati, al momento, punta a un lavoro alle dipendenze. A parte una fisiologica quota di indecisi, la metà di loro preferisce la flessibilità del lavoro autonomo o il rischio di un’attività imprenditoriale. E, tra questi, in tanti pensano di avere già in mente l’idea giusta, da sviluppare da soli o in team: si tratta soprattutto di ragazzi. Ma, in molti casi, le “prove tecniche di lavoro” iniziano ben prima: circa 1 su 2 ha fatto esperienza durante le superiori, puntando anche sui “lavoretti digitali”, che in qualche caso potrebbero diventare una vera occupazione. A dirlo la ricerca “Dopo il diploma” di Skuola.net ed ELIS
- Lo spirito imprenditoriale pervade la Generazione Z: tra i neodiplomati, ben 1 su 6 un domani vorrebbe aprire un’attività tutta sua mentre il 23% punta al lavoro autonomo.
- Fondamentale la formazione “on the job”: sempre 1 su 6 vorrebbe essere orientato da manager di realtà pubbliche o private. E 1 su 5 baratterebbe la laurea con un corso professionalizzante o un percorso di affiancamento sul fare impresa.
- Emerge purtroppo un gender gap: tra i maschi gli aspiranti imprenditori salgono al 21%, mentre tra le ragazze ci si ferma al 15%.
- In tanti hanno fatto delle “prove tecniche” prima di conseguire la Maturità. Circa la metà dei recenti diplomati ha svolto qualche lavoretto durante gli anni di scuola: il 16% puntando sui mestieri “digitali” rispetto ai classici lavoretti da studente.
Altro che posto fisso, i giovani d’oggi preferiscono la libera professione o l’impresa privata.
A svelarlo è “Dopo il diploma” una recente ricerca condotta da Skuola.net in collaborazione con ELIS, realtà no profit che forma persone al lavoro. Sono tanti, infatti, gli studenti in uscita dal sistema scolastico che dichiarano di avere programmi davvero ambiziosi per il futuro: su 600 neo diplomati intervistati, ad esempio, ben 1 su 6 vorrebbe presto calarsi nei panni dell’imprenditore, provando a costruire un’attività tutta sua. A cui va aggiunto un altro quarto (23%) che vorrebbe svolgere un lavoro autonomo, che se non è impresa in qualche modo gli somiglia. Insomma il mito del posto fisso sembra essere meno attraente di quanto non lo fosse per le generazioni precedenti: solo il 25% degli intervistati punta sulla sicurezza del lavoro dipendente, mentre il restante 35% non ha ancora sciolto la riserva.
Non sembra invece avere cedimenti, almeno nelle intenzioni dei diretti interessati, il gender gap nell’accesso all’imprenditoria. Tra i maschi, infatti, la proporzione sale ulteriormente: oltre 1 su 5 è tentato da questo mondo. Mentre tra le ragazze ci si ferma al 15%, probabilmente perché queste ultime si sentono “frenate” dalle difficoltà che, più nel sentire comune che all’atto pratico, ancora oggi l’imprenditoria femminile registra nel nostro Paese.
Certo, per circa la metà degli aspiranti “capitani d’azienda” (46%) si tratta ancora di una intenzione non ancora suffragata da una visione concreta. Ma è comunque confortante constatare che oltre 1 su 2 ha già individuato un’idea, a proprio dire vincente, su cui lavorare: il 42% la vorrebbe sviluppare in piena autonomia – una percentuale che tra i maschi sale al 47% – mentre il 12% l’ha pensata come qualcosa su cui operare in team. È interessante notare anche come la mentalità da startupper si stia sviluppando già in età scolare, perché in qualche caso la squadra si è formata da tempo e già sta pianificando i prossimi step.
Ovviamente, i ragazzi sono consapevoli che non si diventa imprenditori dalla sera alla mattina. Specialmente l’iniziativa privata ha bisogno dei suoi tempi per essere “matura”. Una sorta di percorso a tappe che, gli stessi studenti, vorrebbero iniziare il prima possibile. Così, circa 1 su 6 – guarda caso la stessa proporzione di quanti aspirano a puntare su loro stessi – vorrebbero già oggi essere orientati o avere suggerimenti sul mercato del lavoro da chi li ha preceduti, manager di realtà pubbliche e private consolidate. E, parallelamente, credono che una formazione ad hoc possa fare la differenza: tra chi ha proseguito gli studi all’università dopo la Maturità, ben 1 su 5 cambierebbe idea se ci fosse un corso professionalizzante o un percorso di affiancamento che gli permetta di bruciare le tappe.
Proprio su quest’ultimo punto, rispetto a qualche decade fa, il nostro Paese è sicuramente più attrezzato a supportare i giovani imprenditori in erba ma privi di risorse economiche. Sono, ad esempio, sempre più diffusi sul territorio acceleratori e incubatori che, insieme a investitori pubblici o privati, accolgono le idee appena abbozzate e ne guidano la trasformazione verso imprese vere e proprie, all’interno di progetti di Open Innovation. Mettendole in condizione di camminare sulle proprie gambe o, in altri casi, a essere inglobate in grandi aziende alla ricerca di innovazione.
Nel frattempo, in attesa di capire se effettivamente riusciranno a concretizzare le loro ambizioni, molti si sono portati avanti sulla tabella di marcia con largo anticipo. Facendo delle “prove tecniche” di lavoro quando erano ancora tra i banchi di scuola, per toccare con mano cosa significa mettersi all’opera: il 27% le ha concentrate nei periodi di stop delle lezioni (vacanze estive, sosta natalizia, ecc.), il 23% le ha svolte anche durante l’anno scolastico. E se nella stragrande maggioranza dei casi (84%) si è trattato dei classici “”lavoretti” (cameriere, baby sitter, ripetizioni, ecc.), un po’ fine a sé stessi, per qualcuno sono stati davvero dei piccoli passi nel mondo che li potrebbe attendere al varco molto presto.
Il 16% dei lavoratori precoci – che isolando la componente maschile diventano il 24%, confermando la maggior propensione degli uomini verso approcci lavorativi meno tradizionali – ha sfruttato proprio le nuove tecnologie, al centro dei percorsi di Open Innovation a cui si accennato, applicandosi nei cosiddetti “mestieri digitali”. E, tra questi, oltre 1 su 3 vorrebbe che quell’attività si trasformi un domani nella propria occupazione principale.
Quali sono i settori innovativi su cui i neo-diplomati hanno puntato maggiormente per incrementare il proprio reddito? Al primo posto troviamo l’e-commerce e, più in generale, la “vendita” di beni e servizi tramite siti web o social network (23%), a seguire si piazza l’influencer marketing e la creazione di contenuti sulle piattaforme digitali (21%), terzo posto per le operazioni fintech come il trading online o la compravendita di criptovalute (19%). Meno presidiati, invece, i campi dello sviluppo e gestione di App o servizi online, dei social media (sia lato contenuti che marketing), dell’informazione online (web editor, blogger, ecc.): sono tutti e tre appaiati al 10%. A chiudere la classifica, gli e-sports e il gaming professionale, da cui ha ricavato una fonte di reddito il 7% di coloro che si sono cimentati con i mestieri innovativi già alle scuole superiori.
Interessante, a tal proposito, osservare un’eloquente dinamica: sebbene a trainare questo nuovo filone siano soprattutto i giovani del Centro-Sud (sono il 21%, cinque punti percentuali più della media complessiva), nel Mezzogiorno sono in pochi quelli che ci intravedono delle reali prospettive (il 25%, a fronte di una media nazionale del 37%). A ribadire quella tendenziale sfiducia che affligge alcune aree d’Italia.