“…Scompari a te stesso, giacché questo richiede l’unione! Perditi in Lui, giacché tutto il resto non è che delirio. Entra nell’Uno, da “due” trasformati in Uno! Sii un cuore, un volto, una direzione.” (Da “Il verbo degli uccelli” di FARID AL-DIN ‘ATTAR)
FOTO Uccelli e fiori
Oggi sembra normale parlare di buddismo tibetano, le frequenti visite del Dalai Lama, i numerosi libri scritti sulla spiritualità del Tetto del Mondo e la rivolta in corso in Tibet, hanno contribuito enormemente a pubblicizzare un sistema di pensiero che sino a trent’anni fa era riservato a pochi studiosi, e di cui le vestigia “ammuffivano” nelle sale dell’Ismeo (Istituto per il medio ed estremo oriente) di via Merulana o nella libreria esoterica di Rotondi (sempre in Via Merulana).
Ci fu però un’occasione, che voglio qui ricordare, in cui improvvisamente quella antica conoscenza venne alla luce…
Lo spiraglio sul mistero, l’aurora della trasmissione eclissata risorse durante la visita in Italia di un gran santo, l’erede spirituale nella linea di Milarepa (ricordate il film della Cavani?). Questo santo si chiama Karmapa ed è una “manifestazione” come lo è il Dalai Lama, solo che Karmapa è il simbolo di un grande potere spirituale e non politico.
Sentii parlare di Karmapa (incarnazione riconosciuta del mistico Milarepa) in India, allorché visitò l’ashram di Muktananda nel 1973. Il suo carisma spirituale era molto forte ed affascinò -sembra- non pochi ashramiti occidentali lì residenti.
Personalmente invece lo conobbi un anno più tardi a Roma (credo nel 1974) accadde quasi per caso, egli era in visita ed ospite dell’ambasciatore indiano in Italia, che risiedeva in una villa all’Olgiata, sulla via Cassia. Qualche amico (od amica) del giro sincretico mi invitò a partecipare ad un incontro ufficiale a cui sarebbe seguito un rinfresco vegetariano.
Avevo letto la vita di Milarepa, che viveva di sola ortica in mezzo ai monti, e l’avevo trovata avventurosa, piena di alti e bassi, affascinante e protesa inflessibilmente verso l’affrancamento, verso la totale libertà dall’io.
Certo, mi interessava conoscere il suo diretto successore ed accettai prontamente l’invito. Il satsang (dialogo con un saggio) era alquanto informale, Karmapa sedeva su una poltroncina leggermente elevata, vicino a lui c’erano l’ambasciatore ed altre persone di riguardo. Vestito d’indaco, con l’aria sorniona ed un po’ ironica, il santo dei “Berretti Rossi” dominava la sala con la sua energia.
Circolava una storia su di lui, pare che durante la permanenza a Roma avesse visitato un negozio di uccelli acquistando alcuni volatili lì prigionieri ma non per restituirli al cielo bensì per liberarli definitivamente dalla gabbia della vita. Non so se questa storia fosse vera ma spesso avevo sentito parlare degli strani comportamenti di certi lama tibetani, fra cui alcuni non sono vegetariani e seguono misteriose pratiche tantriche. Insomma, pare che gli uccelli “prigionieri di un brutto karma (destino)” fossero stati liberati dal Karmapa nello stesso modo in cui l’avatar Krishna “liberò” i demoni ed i Kaurava (opponenti dei Pandava nel Mahabarata) cioè uccidendoli.
Comunque sia il discorso durante il satsang andò spontaneamente sull’argomento del destino e sulla reincarnazione. In particolare vi fu un dialogo con un anziano diplomatico italiano, che evidentemente conosceva la cultura tibetana, egli sembrava sinceramente interessato all’argomento. Poneva insistentemente domande riguardanti qualche sua esperienza, e voleva che gli fossero svelati i segreti della rinascita, ma Karmapa nicchiava e scherniva dicendo che certe cose non si possono capire razionalmente. Il diplomatico sembrava a disagio mentre il Karmapa allegramente ed affettuosamente gli batteva una mano sulla spalla, come volesse tener calmo un bambino irrequieto.
L’anziano signore era evidentemente imbarazzato, forse offeso, rosso in viso ed emozionalmente a disagio, stava per scoppiare in una crisi isterica ed in effetti pianse, ma quando alzò lo sguardo incontrando quello di Karmapa che rideva, anch’egli si illuminò in volto, come se veramente tutto ciò non avesse importanza.
L’atmosfera attorno era molto carica, piena di energia spirituale.
Io ero rimasto per tutto il tempo in piedi, appoggiato ad una parete, e non perdevo nulla di quel che accadeva, intuitivamente percepivo che c’era un messaggio.
Terminato l’incontro Karmapa si alzò e si diresse verso il lato della sala, dov’ero stazionato, lì c’era un passaggio fra le sedie che conduce al salone ove si sarebbe tenuto il rinfresco. In quel momento egli stava transitando proprio davanti a me, quasi ci toccavamo, allorché senza alcuna ragione apparente egli si voltò verso di me e mi guardò fisso negli occhi. Sentii il mio io esplodere, la mia mente rovesciata come una saccoccia, quel che c’era venne fuori, ero nudo, totalmente nudo. Provai un’espansione di coscienza incredibile, non vi erano dubbi o segreti, solo lucida consapevolezza, vuoto pieno.
Quel “gesto” dirompente ed inaspettato che Karmapa aveva compiuto (ma perché proprio a me?) mi aveva spogliato di ogni maschera, l’io solo un fantasma. Uno shock forse troppo forte per un “apprendista” come me e dopo i primi attimi di totale apertura, mentre lui si gira e continua a camminare con indifferenza, cominciai a sentire le maglie dell’ego che tesseva ancora la sua tela.
Mi scoprii a sospettare che Karmapa avesse “violato la mia privacy” e sentii l’io ricostruire la gabbia della schiavitù. Provavo rabbia verso Karmapa ed anche verso la mia stupidità, l’impotenza l’incapacità di essere libero, senza bisogni aggiunti, senza orpelli…. (e l’analogia con gli uccelli mi viene spontanea).
Paolo D’Arpini – spiritolaico@gmail.com
Il Karmapa da me incontrato nel 1974 a Roma
The 16th Karmapa, Rangjung Rigpe Dorje (1924 – 1981)
Tratto da: “Compagni” di viaggio di Paolo D’Arpini