CANNOCCHIALE SUL FUTURO
Interrogativi in crescita allo scorrere del XXI secolo: guerre, pandemie, aumento termico e cambiamenti climatici a livello globale con scioglimento di ghiacciai, innalzamento del livello dei mari e salinizzazione, riduzione dell’acqua potabile e problemi di produzione alimentare, dissesti idrogeologici e tanto altro derivato dallo scarso rispetto delle attività umane per l’ambiente. Se il progresso supera la soglia della sostenibilità conviene soffermarsi a meditare. E’ quanto si è fatto, almeno sulla carta, dal lontano 1987 nel Rapporto Brundtland, dove la sostenibilità è identificata come condizione di sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri. Ed è stato inoltre considerato il celere progredire della Artificial Intelligence: nel mentre va incontro ai suoi creatori volti a trovare il meglio per danneggiarsi l’un l’altro, come le armi belliche dimostrano, offre aiuto in ogni settore agli umani sempre più stressati da logoranti sistemi di vita. Per il galoppante balzo in avanti degli ultimi decenni, fa sorgere, però, negli stessi scienziati interrogativi anche sulla prosecuzione della razza umana. Un altro problema che il Novecento, pur con le sue tante difficoltà, ancora teneva solo relativamente in conto. L’andare della cosiddetta AI, in celerrimi tempi avanti con sorprendenti realizzazioni, dà sì compiacimento ma al tempo stesso impone, in quanti riflettono con lungimiranza, angoscianti interrogativi sul futuro lontano. Io appartengo all’unica razza che conosco: quella umana, soleva dire Einstein. Fino a quando potranno gli esseri umani affermarlo se essi stessi hanno creato automi che si rivelano molto più competenti, mirabili a tal punto da volere gli umani equipararsi a quelli? Si è, a esempio, visto come la comunità scacchistica umana non possa tenere il passo dei computer, i quali sono in grado di una potenza di calcolo di gran lunga maggiore. I bravissimi scacchisti umani sono inevitabilmente battuti: alle loro decine di alternative esaminate per ogni mossa, il computer può arrivare a esaminarne migliaia e persino milioni. Ora, per essere ancor più celere, sta avviandosi pure a riconoscere i filoni di indagine utile, a scartare quelli che non lo sono, in alcuni casi a eliminarli per evitare la saturazione dei dati. A operare è sempre il sapiens, volto a quel di più che gli possa dare vantaggi ma che non riesce poi a controllare. Le sconfitte agli scacchi, subite dagli umani, sono emblematiche di quanto potrebbe accadere in altri confronti. Quale il futuro della razza umana, non diciamo a fine secolo XXI (relativamente breve) o fra diecimila anni (molto lontano), ma, a esempio, fra mille anni? Non sono poi tanti se si pensa che basta una dozzina di generazioni per arrivarci, anzi forse meno, considerando l’allungarsi della vita. Il matematico, fisico, cosmologo e astrofisico Stephen William Hawking (Oxford, 8 gennaio 1942 – Cambridge, 14 marzo 2018) nel suo ultimo libro Le mie brevi risposte alle grandi domande (edizione inglese 2018, italiana 2019) prevede, tra mille anni, una Terra del tutto inabitabile per gli effetti delle guerre nucleari e delle calamità naturali, per i cambiamenti climatici (la temperatura potrebbe, a detta di Hawking, toccare i 250° C), inoltre per il pericolo di asteroidi in rotta di collusione. Secondo lo scienziato potranno sopravvivere gli esseri umani che, usando la tecnologia (è ambivalente, può porre riparo al negativo), saranno riusciti a modificare il proprio codice genetico anche con la resistenza alle malattie, divenendo pertanto in grado di riprogettarsi. Comunque dovranno abbandonare la Terra divenuta inabitabile, trasferirsi sul pianeta che saranno riusciti a colonizzare. L’AI lasciava Hawking molto perplesso poiché prevedeva lo sviluppo di intelligenze artificiali in grado di ragionare autonomamente per raggiungere qualsiasi scopo prefissato, riteneva quindi estremamente pericoloso per gli umani se i loro scopi non erano allineati, dato che, come per il gioco degli scacchi, sono le intelligenze artificiali ad essere in grado di avere la meglio. Lo scienziato era allarmato. Roger Penrose (Colchester –Gran Bretagna, 1931), matematico, fisico, cosmologo e filosofo, amico anche di Hawking, sembra, invece, riconsiderare la differenza cartesiana tra res cogitans e res extensa, ossia tra la natura umana in grado di pensare e tutto il resto che non lo è, fra l’unica ad avere capacità di generalizzazione ed emozionali selettive e la res extensa. Penrose puntualizza che l’intuizione matematica, caso particolare della generale capacità di comprensione della mente umana, non è sovrapponibile al processo computazionale avente alla base la esecuzione di algoritmi, e aggiunge che ugualmente non rientrano nella computazione coscienza, creatività e volontà. Un esempio lampante: alla domanda se esista un numero dispari come somma di due numeri pari, il computer vaglia ad infinitum, l’intuizione umana dà subito la risposta negativa. Il programma della macchina fa fronte in maniera ottimale a svariati programmi, non può, però, offrire nulla oltre gli obiettivi in fase di progettazione. Ma resta il dubbio: si può escludere l’avvio a un iter che possa realizzare macchine dotate di intelligenza naturale? Torniamo a Stephen Hawking, a quel che disse in una intervista alla BBC: Lo sviluppo dell’intelligenza artificiale potrebbe significare la fine della razza umana… decollerebbe da sola e si riprogetterà a un ritmo sempre crescente. Gli umani, che sono limitati dalla lenta evoluzione biologica, non potrebbero competere e verrebbero superati.
Antonietta Benagiano