Il Museo “Ugo Guidi” aderisce all’Empatismo
Qualche tempo fa, c’era uno scultore che lavorava nel giardino della sua casa a Vittoria Apuania, fra platani, pini e pioppi: era un uomo taciturno, affabile e timido, con occhi piccoli che “emanavano una luce concentrata, molto intensa”, come ha sostenuto il poeta Raffaele Carrieri, nel 1969. Quell’uomo era Ugo Guidi (1912-1977), uno dei massimi scultori del novecento, a cui è stato dedicato il Museo di Forte dei Marmi, nella stessa dimora dell’artista, inserita dalla Regione Toscana nell’elenco delle Case della Memoria, insieme a quelle di importanti personaggi toscani di ogni tempo, come Dante, Boccaccio, Giotto, Piero della Francesca, Michelangelo e Leonardo.
Il Museo, che conserva la produzione artistica di Guidi, circa 600 tra sculture, disegni e tempere, di recente ha aderito formalmente all’Empatismo, il Progetto nato nel Triangolo/Piramide Culturale del Cilento Antico, per poi espandersi con l’ingresso di numerosi organismi nazionali ed internazionali.
Ugo Guidi nasce a Montiscendi (Pietrasanta), ma trascorre a Querceta l’infanzia e la gioventù. È l’arte che subito lo appassiona: la sua sensibilità si realizza nel disegno, in cui raffigura molti soggetti della realtà quotidiana. Frequenta la Scuola d’Arte di Pietrasanta, poi l’Accademia di Belle Arti di Carrara, lavorando a stretto contatto con lo scultore Arturo Dazzi, che lo chiamerà in seguito nella stessa Accademia come assistente.
I suoi studi proseguono fino al 1937, quando si classifica al Premio Dervillé di Carrara. Nel 1940 sposa Giuliana Iacometti, la compagna di tutta la vita che gestisce i problemi del quotidiano per consentirgli di realizzare la sua arte in piena autonomia, libero da qualsiasi condizionamento. Nasceranno da quell’unione i figli Vittorio nel 1944 e Fabrizio nel 1952. Dopo la scomparsa di Guidi, la donna lotterà con passione perché la sua opera possa avere un ampio riconoscimento, allestendo e promuovendo manifestazioni espositive in varie città italiane.
Lo scultore in vita aveva ricevuto molti premi: era stato invitato alle maggiori rassegne nazionali quali le Biennali di Milano, le Quadriennali di Roma, il Fiorino di Firenze, le Biennali di Scultura di Carrara, Arte e Sport di Firenze, Biennali del Bronzetto di Padova. Dal 1958 mostre personali si svolgono da Roma a Milano, Torino, Parma, Modena, Potenza. Si avvicina a molti artisti e intellettuali: Rosai, Soffici, Funi, Mirko, Maccari, Cagli, Gatto, Dallapiccola, De Grada, Migneco e Treccani.
Dal 1948 al 1976 è insegnante di scultura presso l’Accademia di Belle Arti di Carrara, prodigandosi per la formazione di molti allievi, cui insegnerà che prima d’essere artisti devono essere abili artigiani, padroni del proprio mestiere. La sua giornata sarà dedicata all’insegnamento in Accademia, la mattina; nel pomeriggio lavorerà in maniera instancabile nel suo studio/abitazione di Forte dei Marmi, dove è andato ad abitare dopo il matrimonio.
Guidi lavora qualsiasi materiale ma soprattutto la locale pietra di Porta, un tufo, che caratterizzerà tutta la produzione scultorea dal 1950 al 1965. La conoscenza di Artemio Franchi, presidente della Federazione Italiana Gioco Calcio, lo stimola alla realizzazione di numerose opere aventi per soggetto il gioco del calcio. Fra queste, la monumentale: “I Calciatori”, scultura posta nel Centro Tecnico Federale di Calcio di Coverciano a Firenze. Nel 1977 realizza unicamente disegni e tempere, dalle quali è possibile ricostruire il dramma fisico e psicologico di un uomo vitale che lotta senza speranza contro il male. Quest’ultima produzione è presentata pochi giorni prima della morte (10 luglio 1977) alla Galleria “La Vecchia Farmacia” di Forte dei Marmi, col titolo: “Il Grido”.
La sua arte non è riconducibile a un preciso movimento artistico, perché cercò sempre di mantenere una linea indipendente, in accordo anche con il suo carattere schivo, mite e riservato.
La sua produzione è suddivisa per temi: la natura si trova nella prima sala del Museo, dove ci sono opere come: il “Maialino”, la “Capretta” e la “Pecora accovacciata”. Nella stessa sala risaltano alcuni lavori del ciclo dei mestieri: i “Pescatori” e il “Tosatore”. Al piano superiore, si incontrano sculture che appartengono alla religione: “Santa Chiara benedice i pani” e “La danza di Salomè”.
Già agli inizi degli anni quaranta, Ugo Guidi aveva realizzato opere che mettevano in luce la sua personale scelta artistica e stilistica, soprattutto per l’utilizzo di materiali molteplici: dal marmo, al tufo versiliese, alla pietra, all’argilla, al gesso. Sviluppa nel tempo la ricerca nella rivisitazione dell’arcaismo, del primitivismo, del gotico-romano e realizza opere prevalentemente di piccole e medie dimensioni che parlano di cose semplici, genuine e rispecchiano momenti di vita lavorativa e di intimità personale. Utilizza uno stile realistico e naturalistico, spesso con rivisitazioni gotiche, romaniche ed etrusche. Nella ritrattistica, che inizia sul finire degli anni quaranta, i riferimenti etruschi si fanno più marcati: il soggetto viene interpretato, studiato, capito nella sua sfera spirituale e fissati i tratti che ne determinano l’aspetto esteriore. All’interno di questa tematica, c’è l’individuazione dei “tipi” appartenenti alle varie località toscane: “Il Carrarino”, in gesso (1954); “Stella, contadina versiliese”, in terracotta (1954); “La Livornese”, in terracotta, (1955). In questi anni, compare con insistenza il tufo versiliese utilizzato prevalentemente per i gruppi scultorei che affrontano la tematica dei mestieri: “Il tosatore”, “L’uomo con maialino”, “I pescatori”, “L’arrotino”, “La visita medica”.
Dagli anni sessanta in poi, introduce materiali nuovi, ampliando così la sua ricerca e sperimentazione verso proposte diversificate. Abbiamo quindi lavori in ceramica, bronzo e cemento, che incrementano la sua già variegata produzione. Gli animali sono molto presenti nel passaggio degli anni, quando l’arcaicismo lascia spazio all’informale: “Bue squartato”, in terracotta (1962); “Figura a cavallo”, in terracotta (1966). All’astrazione seguirà la scomposizione di volumi geometrici dalle ampie superfici: “Belva”, in terracotta (1969).
Successivamente sarà l’interpretazione dello spazio ad assorbire la creatività di Guidi con la serie di opere astratte che affrontano: “Figura in ambiente”, terrecotte (1966); “Svolgimento della figura nello spazio”, terrecotte patinate (1966); “Partoriente”, cemento (1968).
Tra gli anni sessanta e settanta inizia una nuova ricerca: “Le figure totem”, particolarmente rilevanti non tanto in chiave simbolica quanto perché rappresentano forme più astratte e geometriche, che tuttavia hanno un sottile filo che le lega alla realtà. Le figure umane sono “stilizzate” all’estremo, vengono colti soltanto i tratti principali dei soggetti: una linea curva per delineare una bocca, un cerchio per un occhio, qualche filo per i capelli.
Guidi mantiene costante il grande amore verso l’universo femminile. La donna è affrontata con delicatezza e sensibilità, e la femminilità viene esaltata senza mai trascendere. Se da un lato c’è la “Donna femminea”, che con la sua elegante sensualità affascinava l’artista, la “Donna madre” suscitava in lui forti sentimenti di rispetto e di stima per la capacità di generare la vita.
Gli ultimi anni di vita dello scultore sono caratterizzati da una produzione inquieta, espressione della sofferenza fisica e psichica dovuta alla malattia. La “Figura ferita” rappresenta l’ultima fase: lo scultore dà vita alla materia rappresentando un blocco di marmo, che in realtà è terracotta dipinta di bianco, da cui esce un rivolo di sangue.
Le ultime opere sono legate al ciclo delle pitture del “Grido”, con figure urlanti e straziate dal dolore, dove il colore del viso si trasforma in un grigio cupo. “Vincitori”, del 1976, è l’ultima scultura che vuole esaltare la vittoria contro tutti gli ostacoli: è il senso di un’arte che sopravvive nel tempo, come accade con le iniziative del Museo di Forte dei Marmi che intende rendere immortale la grande opera dell’artista