Nel centenario della nascita di Rocco Scotellaro gli eterni Sud dei Mediterranei
Pierfranco Bruni*
I luoghi diventano geografia di esistenze. In un intreccio tra ricordanze, tentativi di dimenticanza e tempo. Tempo – Memoria. Tricarico. La storia di Rocco Scotellaro. Il destino di un poeta a 100 anni dalla nascita. Rocco Scotellaro nasce a Tricarico, in provincia di Matera, novanta anni fa. Muore a Portici settanta anni fa. È necessario ripensare il poeta delle “tomaie” e della madre che cuciva con la sua “Singer”. È fatto giorno … Una pioggia a fili e un paese vuoto che cerca a stento di ricordare. Un paese ormai come tanti di una Basilicata che si raccoglie tra le pietre e le tondeggianti colline. Gli sguardi dei vecchi hanno onde di nostalgia e sembrano raccontare fatti di secoli, avvenimenti lontanissimi, giorni in cui appartengono ad epoche distanti.
E qui tra queste case, tra i vicoli stretti, in un paesaggio di angoli affollati, la gente lo ricorda, perché è necessario ricordarlo. Una strada dedicata a lui. La vecchia Via Roma. La casa natale, lungo questa strada, con una lapide. Un’altra lapide ancora in una piazza dove vi è il monumento dei caduti di tutte le guerre, una scuola che porta il suo nome. Ma neanche un busto per dire che questo paese è il paese dove è nato e vissuto, tutto sommato, il poeta.
Un libro dal titolo “Rocco Scotellaro. Poeta del Mediterraneo contadino”, curato da Gerardo Picardo, ha raccolto, un decennio fa testimonianze importanti e significative (per il Centro Studi e Ricerche “Francesco Grisi”), oltre che delle pagine inedite dello stesso Scotellaro, della madre Francesca, di Leonardo Sciascia e di lettere ancora di Scotellaro indirizzate ai coniugi Leone – Padula.
Il poeta dei “Contadini del Sud”. Il poeta di “È fatto giorno”. Il poeta di “Margherite e rosolacci”. Il poeta di “L’uva puttanella”. E sì, voglio ricordare il poeta e non il sindaco. Voglio ricordare: “Mamma, tu sola sei vera. / E non muori perché sei sicura”.
Rocco Scotellaro. Amico di Carlo Levi. Il Levi della Lucania dai volti stanchi e dei paesi abbandonati in una conca di terra. Tricarico. Si trova quasi a metà strada tra Potenza e Matera. Nel materano. Percorrere la strada che va da Potenza a Tricarico è un penetrare la campagna fitta, gli alberi che visualizzano immagini silane con la pioggia lenta e un vento leggero ma pungente. Aria fresca e ancora volti contadini e contadine nelle terre. E Rocco Scotellaro è ancora tra questa gente. Ma non lo si riconosce abbastanza. È un qualcosa che c’è e basta.
Sulla lapide dove è nato si legge questa scritta: “A Rocco Scotellaro – Sindaco socialista di Tricarico – Poeta della libertà contadina”. Via Rocco Scotellaro, numero civico 37. Tricarico. E poi? Era nato il 19 aprile 1923 e morto a Portici il 15 dicembre 1953.
Sono stato a Tricarico. Tanta solitudine e i versi di Rocco nel vento e tra le margherite e i rosolacci e le ginestre avevano la violenza del giallo. Il giallo da queste parti inonda le campagne. Le viti basse e le terre hanno colori nell’arcobaleno. E questo paese dove “siamo entrati in gioco anche noi/ con i panni e le scarpe e le facce che avevamo” si raccoglie nella storia in questa Basilicata che sembra recintare la favola dei contadini del Sud. Ma Scotellaro voleva renderla realtà, quella favola: “Noi non ci bagneremo sulle spiagge/ a mietere andremo noi / e il sole ci cuocerà come la crosta del pane”. Il fatalismo, il sonno, il sogno, la stanchezza: “Ognuno ha le ossa torte /non sogna di salire sulle donne / che dormono fresche nelle vesti corte”. Il racconto di un mondo che recita una preghiera antica è nell’immagine di un paese che intreccia presente e memoria: “Dormono sulle aie / attaccati alle cavezze dei muli”. “Si sente l’asina nel sottoscala, / i suoi brividi, il suo raschiare./ In un altro sottoscala / dorme mia madre da settant’anni”.
È tutto passato. Si potrebbe dire: è proprio passato il tempo. Ma resta a filigrana una pioggia che tocca le pietre della piazza e i vicoli dai quali, come fantasmi, compaiono gli uomini e vanno oltre. Ci sono ricordi che restano e che si perdono. Ma ci sono ricordi che sono ancora realtà.
I segni di quel mondo sono onde vellutate. Ci parlano e le parole sono fiumi di silenzio che tracciano destini. “Ho capito fin troppo gli anni e i giorni e le ore / gli intrecci degli uomini, chi ride e chi urla / … / Sole d’oro, luna piena, le ore dell’inverno / le mattine degli uccelli a primavera / le maledizioni e le preghiere”.
È come se il tempo fosse ieri. Tricarico è immobile. E nelle stagioni ascolta il vento. Il vento che viene da Portici. Lì, dove Scotellaro è morto, lì dove cercava qualcosa di diverso dalle sue colline tondeggianti e dal giallo delle ginestre.
Il tempo che cerchiamo in Scotellaro è il tempo della poesia che vive anche tra le pagine di saggistica. Ed è quello lo Scotellaro che lascia tracciati, che continua nella sua storia letteraria, che ci ha spinto sino a Tricarico a vivere per un pomeriggio il fascino che non c’è mai ma che si ascolta solo nei suoi versi e nelle sue malinconie.
Ancora sassi. Anzi più sassi. Un camminare lento.
“… ognuno canta una storia / e insieme viene l’armonia”. “… il paese continua la sua storia / sotto il cielo stellato a foglia a foglia / per chi parte se vuol ritornare”.
Tricarico deve riscoprire il suo poeta. E forse deve amarlo di più. Si agita nella memoria, nei ricordi di alcuni o di molti; ma occorre altro. Di più.
Si è fatto notte. Il giorno lo si è depositato dietro i monti. Entriamo nella città dei sassi. Il caso o il destino? La prima strada che incocciamo è quella che porta il nome di Rocco Scotellaro. Strano? È il segnale preciso in questa terra di contadini antichi e di amori folli. Amori folli.
Questa Basilicata è anche la terra di Isabella Morra, la poetessa cantata da Benedetto Croce. Il castello di Valsinni, quelle strade che angustiano. Un altro paese nella poesia e nei ricordi. Siamo stati anche lì. In un’altra occasione. Il tempo scorre e traccia colori nella memoria delle parole. Ma questa è un’altra storia che non so se racconterò.
“È rimasto l’odore / della tua carne nel mio letto. / È calda così la malva / che ci teniamo ad essiccare / per i colori dell’inverno”. Era il 1948 quando Scotellaro scriveva questi versi. Il destino si fa avventura e i ricordi non bastano più se la memoria non li raccoglie. Forse mi appartengono. Sono parte di una mia storia. Della mia storia. Questo Sud infinito nei Mediterranei è un viaggio lungo non quando la storia, ma oltre il ricordo la memoria e la nostalgia. È oltre la storia anche in Scotellaro c’è il tempo.
*Presidente Nazionale Centro Studi e Ricerche Francesco Grisi