Mobilitazione politica delle donne
di Francesco S. Amoroso
La storia delle donne è stata scandita dalle lotte per ottenere dei diritti necessari a garantire una effettiva uguaglianza di genere che fino ad oggi, purtroppo, rimane incompiuta.
Nel 1944 a Roma venne costituita l’UDI (Unione Donne Italiane) con il fine di promuovere la mobilitazione politica femminile.
L’associazione femminile si costituì in seguito alla fusione tra i Gruppi di difesa della donna (GDD), nati nel 1943, ed il Comitato di iniziativa provvisorio dell’UDI, attivo nell’Italia centro meridionale.
Sempre nel 1944 uscì a Napoli il primo numero del giornale Noi donne, strumento di riflessione sulla condizione femminile, e per la elaborazione di contenuti per una politica in rosa, che diventerà poi rivista ufficiale dell’UDI.
Alcune tra le firme più importanti furono: Miriam Mafai, Nilde Iotti, Marisa Rodano, Rita Montagnana, Maria Antonietta Macciocchi, Sibilla Aleramo, Joyce Lussu.
Dal 2016 Noi Donne è diventato un settimanale online mentre l’Archivio storico della testata è diventato patrimonio nazionale culturale.
In seguito alla fondazione la sua azione si concentrò su obiettivi specifici concernenti prioritariamente l’emancipazione delle donne per il raggiungimento della parità dei diritti.
Il Primo Congresso Nazionale fondativo si svolse a Firenze al teatro della Pergola nell’ ottobre del 1945 e segnò l’unificazione tra l’UDI e i GDD. Le delegazioni più numerose provenivano dall’Emilia (45), dalla Toscana (39), dal Piemonte (35), dal Veneto (34) e dalla Lombardia (33) e tra le categorie maggiormente rappresentate vi erano le intellettuali (124), le casalinghe (69), le impiegate (54) e le operaie (31). L’organizzazione all’epoca contava già 400.000 iscritte provenienti da 78 province e vi prendevano parte donne di varia estrazione politica.
L’associazione si mise al lavoro nel primo semestre del ’46 per portare le donne per la prima volta alle urne con la campagna elettorale del 2 giugno: referendum istituzionale e elezioni per l’Assemblea costituente; vennero elette 21 donne su 556 deputati.
Tra loro 11 provenivano dall’esperienza nell’UDI, ne ricordiamo alcune: Lina Merlin, Rita Montagnana e Nilde Iotti.
Nell’immediato dopoguerra le donne dell’UDI parteciparono alla ricostruzione del Paese e, in virtù del loro lavoro e del loro impegno, entrarono a far parte delle prime strutture nelle quali si riorganizzarono la vita civile e l’amministrazione pubblica.
Nel ’56 la Carta della donna italiana venne sottoscritta da due milioni e mezzo di donne. Il documento proponeva un programma che disegnava i vari aspetti sui quali si incardinava l’emancipazione della donna, dal diritto al lavoro alla parità, alla pensione alle casalinghe.
Negli anni ’60 le donne dell’UDI iniziarono a chiedere alle istituzioni di affrontare la riforma del diritto di famiglia e le norme penali su adulterio, divorzio, la libera vendita di anticoncezionali e l’educazione sessuale. Sono gli anni della battaglia per affidare gli asili nido in capo agli enti locali e rendere la scuola dell’infanzia pubblica per bambini dai 3 ai 6 anni.
Sempre negli anni ‘60 l’UDI denunciò il doppio lavoro svolto dalle donne e chiese che il lavoro casalingo fosse riconosciuto come lavoro, battendosi per la pensione alle casalinghe (1963), per la parità di salario, per il riconoscimento del lavoro della donna contadina, per il divieto di licenziamento delle donne che si sposavano.
L’UDI cominciò inoltre a rivendicare una politica dei servizi sociali: nel febbraio 1965 consegnò 50.000 firme raccolte per presentare una legge di iniziativa popolare per l’istituzione degli asili nido.
E a partire dagli anni ’70 per la riforma del diritto di famiglia, il divorzio, l’interruzione volontaria della gravidanza, e per la modifica della legge contro la violenza sessuale.